Home CARLO PELLEGRINI Giovanni Toschi, il funambolo del pallone I intervista di Carlo Pellegrini

Giovanni Toschi, il funambolo del pallone I intervista di Carlo Pellegrini

Nel vasto panorama del mondo calcio emergono episodi e curiosità importanti da rimanere impressi negli annali storici. A volte un goal, una partita fondamentale, decisioni arbitrali discutibili, casi fortuiti… sono tutti “ingredienti” che inducono calciatori a diventare dei veri e propri protagonisti.
È il caso dell’attaccante Giovanni Toschi che, oltre che vantare una carriera esaltante sui campi di serie A e B, fu il calciatore a realizzare il primo goal del Cesena nella massima serie. 

D. Toschi, cinquanta anni fa terminava il suo biennio con la maglia del Torino, come vi giunse?
R. «Fu una trafila molto complicata e lunga. Agli inizi della mia carriera feci molti provini in più squadre come la Fiorentina, la Spal, il Perugia… e tutti riconoscevano i miei talenti ma dicevano: “È piccolino, è piccolino…”. Questo mi fece ritardare almeno quattro anni l’esordio in serie A. Dunque iniziai a giocare ad Altopascio, dove fui scoperto dagli osservatori della Lucchese, che mi vollero a Lucca e fu la mia fortuna. Infatti, dopo aver disputato un anno con la maglia della Lucchese guadagnai la convocazione nella Nazionale italiana di categoria e poi passai nella Reggina in serie B. A Reggio Calabria rimasi tre anni ed ebbi allenatori del calibro di Tommaso Maestrelli, Armando Segato ed Ezio Galbiati e compagni di squadra come Franco Causio e Nedo Sonetti. Però, al termine del secondo anno con la Reggina mi acquistò il Palermo che disputava il campionato in serie A con l’allenatore Carmelo Di Bella. Purtroppo, in quell’anno il Palermo non disponeva di risorse e non garantiva lo stipendio e così rimasi per il terzo anno consecutivo nella Reggina dopo le insistente del presidente Oreste Granillo.
Il Napoli e il Milan erano interessati a me, ma poi la scelta cadde sul Mantova. Fu l’allenatore mantovano Gustavo Giagnoni a volermi fortemente. Nella partita Reggina-Mantova realizzai il goal che impedì alla squadra mantovana la promozione in serie A, però piacqui a Giagnoni che, ripeto, mi volle a Mantova. Era una bella squadra e vincemmo il campionato 1970/71 che ci consentì la serie A. In quell’anno realizzai 11 reti senza calciare nessun rigore. Al termine di quel campionato Gustavo Giagnoni passò al Torino. In quegli anni Edmondo Fabbri allenava il Bologna. Ricordo che mi voleva a tutti costi nel Bologna, ma Giagnoni mi disse: “Ti porto con me nel Torino”. E così indossai la maglia del Torino».

D. Come furono gli anni trascorsi a Torino?
R. «Ricordo che esordii proprio nella partita Torino-Mantova e feci subito goal, il famoso goal dell’ex, e feci l’assist anche a Claudio Sala per segnare il secondo goal. Altri tre goal li realizzai in Coppa delle Coppe contro il Limerick, che ancora oggi costituiscono un record imbattuto. Un altro goal lo realizzai al Napoli al 90° minuto permettendoci di vincere quella partita. Purtroppo durante la mia permanenza a Torino uno stiramento mi impedì la convocazione nella Nazionale sperimentale italiana. A Torino mi infortunai anche ad una caviglia e rimasi fermo quasi sei mesi».

D. Erano anni in cui il derby con la Juventus era molto acceso…
R. «Vero. I derby li vincevamo sempre noi. Anche io fui autore di un goal contro la Juventus in occasione del girone di ritorno di Coppa Italia».

D. Anche il Campionato 1971/72 le regalò varie emozioni e un secondo posto…
R. «Al termine di quel campionato perdemmo lo scudetto per un punto e lo vinse la Juventus. Però, bisogna dire questo: a Genova contro la Sampdoria ci venne annullato un goal realizzato da Aldo Agroppi. La palla aveva superato di mezzo metro la linea della porta. Ricordo che la palla fu sventata da Marcello Lippi e che, ancora oggi, continua a dire che non era goal quando i filmati lo confermano chiaramente. A Milano, quando giocammo contro il Milan, mi fu annullato un goal valido. Se avevamo questi punti in più lo scudetto lo vincevamo noi. Insomma, la Juventus doveva vincere il campionato…».

D. Ricorda la formazione del Torino di quell’anno?
R. «Certo: Castellini, Mozzini, Fossati, Agroppi, Zecchini, Cereser, Rampanti, Ferrini, Paolino Pulici, Claudio Sala e Giovanni Toschi».

D. Terminato il biennio con il Torino approda al Cesena, vero?
R. «Verissimo. Il Cesena era appena promosso per la prima volta in serie A e io realizzai il primo goal della squadra romagnola nella massima serie nella partita Cesena-Verona, che vincemmo 1 a 0. Un goal storico. Furono due anni bellissimi a Cesena con Pierluigi Cera, Giampiero Ceccarelli, Braida… e con l’allenatore Eugenio Bersellini».

D. …e poi al Foggia.
R. «Nel Foggia disputai due campionati. Il primo in serie B e lo vincemmo e il secondo in serie A; ma agli inizi di quest’ultimo campionato passai al Novara con Giovanni Lodetti ed Eugenio Fumagalli. Prima nel Viareggio in serie C e poi nel Porcari conclusi la mia carriera agonistica».

D. Dopo aver terminato la sua carriera calcistica, per quale motivo si è dedicato ad allenare i giovani?
R. Premetto che più squadre mi avevano cercato come il Mantova, il Pontedera ecc… ma ho sempre preferito allenare bambini e ragazzi perché ti ascoltano e ti danno più gioia».

D. Come si deve approcciare l’allenatore con i bambini e i ragazzi?
R. «L’allenatore oltre a trasmettergli gli insegnamenti basilari calcistici deve far capire al bambino e al ragazzo che occorre divertirsi. La cosa principale alla loro età è il divertimento. Non devono imporsi di diventare un calciatore da serie A. Ognuno deve iniziare gradualmente con sacrificio, passione e impegno, nella massima tranquillità e mettendo in pratica quello che dice il mister. Ai bambini e ai ragazzi occorre insegnargli la tecnica. Grande errore insegnargli le tattiche a nove-dieci anni…».

D. Cosa occorre per diventare un buon calciatore?
R. «Secondo me, una persona ci nasce con il talento calcistico. Dentro di te devi avere delle qualità innate. A me non ha insegnato nessuno a palleggiare, scattare e tirare. Al mio tempo, l’allenatore ci faceva correre più volte ai bordi del campo, poi tirare in porta e fare la partitella. Le qualità che possiedi, gradualmente, le devi sviluppare giocando e imparando le realtà calcistiche. Poi sta a te poter migliorare. Se un bambino è superiore a un altro può arrivare alla serie A o alla serie B, ma deve essere superiore. I bambini di oggi hanno tutto e spesse volte sono i genitori a rovinare i figli pensando di avere un campione. Campioni lo si diventa piano piano con il sacrifico e allenandosi. È importante, poi, poter capire come è la vita del calciatore. Ai bambini di oggi non manca niente. Noi non avevamo nulla e si pensava solo a giocare. È questa la differenza».