Ha scritto numerose canzoni per tanti artisti come Renato Zero, Mia Martini, Mina, Loredana Berté, Pierangelo Bertoli, Riccardo Fogli, Fiorella Mannoia… La grande produzione musicale di Maurizio Piccoli consentirebbe di dare alle stampe un volume corposo.
E’ Piccoli stesso ad affermare nel suo curriculum vitae l’amore per la musica e per la composizione: «Dal 1969 a tutt’oggi mi dedico alla composizione di brani musicali e alla stesura di testi per canzoni. Dal 1979 al 2005 collaboro con articoli mensili in qualità di giornalista specializzato in musica e strumenti musicali alla rivista nazionale di carattere tecnico SM Strumenti Musicali. Collaboro con articoli alle riviste Backstage (carattere tecnico) e Granviale (informativa). Negli anni 2000 collaboro con la rivista Chitarra (carattere tecnico) e alla rivista digitale Accordo. Dal 1995 al 2003 lavoro quale traduttore/paroliere alle traduzioni-versioni italiane di tutti i testi relativi ai brani musicali contenuti nella serie di cartoon televisivi (98 episodi della durata media di 20 minuti ciascuno) intitolata “Animaniacs” prodotta da Steven Spielberg per la Warner Television International e in fase di realizzazione assumo il ruolo di direttore del doppiaggio di tutte le parti cantate».
D. Maestro Piccoli, se dovesse definire la sua carriera di autore di canzoni, quali aggettivi userebbe?
R. «Fortunata, gratificante, occasione impagabile per incontri con persone stimolanti».
D. Cosa la stimola a scrivere canzoni?
R. «E’ una esigenza non soffocabile, decisamente terapeutica, una sorta di rimessa in ordine di ricordi ed emozioni, un po’ come la fame che acquieta le tensioni. Scrivere un testo o una melodia salda i conti con i “sospesi” dell’anima, spesso è tutto già scritto dentro a chi fa questo lavoro creativo. Basta, ma spesso non ci si riesce, far trovare la strada a questo materiale che improvvisamente bussa per uscire. E’ un materiale per lo più disordinato, al quale bisogna dare forma, trovargli un linguaggio perché parli non solo all’autore o al compositore ma anche agli altri. In fondo, quello dell’autore è un lavoro di traduzione di questo “vocabolario” di emozioni che si agita e vuole uscire. Può essere un lavoro faticoso e meraviglioso allo stesso tempo, una magnifica fonte di felicità se l’esito, e lo si capisce, è positivo. Non capita spesso, ma c’è una soddisfazione straordinaria simile a quella di aver fatto parlare le emozioni mute, senza voce fino al momento in cui riesci a farle sgorgare dal di dentro come zampilli liberatori».
D. Con quale musicista ha riscontrato una maggiore intesa artistica?
R. «Direi con molti: Mia Martini, Ivano Fossati, Loredana Berté, Ornella Vanoni, Fiorella Mannoia, Nada e molti altri».
D. Come intuisce l’eventuale successo che potrà conseguire una canzone che scrive?
R. «Come dice lei è solo un’intuizione. E’ poi il pubblico che decreta un successo. Ma si avverte spesso la sensazione di aver fatto qualcosa che va oltre la “normalità”, che il linguaggio che hai creato si spinge oltre, che da “bravo postino delle emozioni” hai scritto “una lettera” che ha molte probabilità di arrivare a destinazione. Il primo indirizzo di consegna è il tuo e lo capisci perché avverti quel tremore del cuore e dell’anima che è il segnale inconfutabile che “la cosa” arriva dritta a toccare la sensibilità, per prima la tua».
D. C’è una frase di una sua canzone che non potrà mai dimenticare?
R. «Ci sono frasi che hanno il potere di raccogliere in poche parole un grande significato. Mi viene in mente “Come si cambia per non morire”. Si tratta di slogan, di concetti espressi in sintesi che però hanno bisogno di una cornice di tante altre parole per essere efficaci. Ecco una canzone è frutto di una sintesi. Purtroppo attualmente i testi delle canzoni sono sovrabbondanti, di scarsa capacità incisiva, creano confusione, scivolano via, sono un vento di parole che colpisce e spesso non lascia “il fresco sul viso”. Sono il segno dei tempi, confusi, tempi di “merendine di parole”, che rendono solo obeso il cervello e soddisfano un secondo. Dureranno poco la gran parte delle canzoni di adesso. Non sono alleate al tempo. Se penso che “Come si cambia”, scritta con Renato Pareti, ha 40 anni…».
D. “Come si cambia”, interpretata da Fiorella Mannoia, induce a profonde riflessioni. Cosa la preoccupa dei cambiamenti epocali di questi ultimi anni?
R. «A “Come si cambia” ne ho già accennato. La mia preoccupazione è che molta gente, a mio modesto avviso, si pone con leggerezza al cospetto della vita. La leggerezza è altamente desiderabile ma quando ti stacca i piedi da terra e dalla comprensione del profondo significato della vita allora diventa un pessimo atteggiamento e non permette di raccogliere i frutti più succosi di tutto quello che di straordinario ci sta intorno. Il mondo sta diventando sempre più autistico. Mi preoccupano l’indifferenza dilagante, l’egoismo, l’Intelligenza Artificiale e… troppe cose mi preoccupano, ma sono un ottimista e cerco con il sorriso e la comprensione di combattere tutto questo».
D. Se dovesse annoverare alcune delle sue numerose canzoni, quali menzionerebbe principalmente?
R. «Citerei anche “Inno”, “E stelle stan piovendo” di Mia Martini, “Così ti scrivo” e “Stiamo come stiamo” di Loredana Berté, “Appunti sull’anima” di Franco Califano. Comunque, sono tante quelle che rispecchiano il mio modo di sentire e trasformare questo mio sentire in parole e musica».
D. A Venezia, la sua città, ha dedicato una bellissima canzone “C’est Venise” interpretata da José Luis Rodríguez. Può parlarcene?
R. «E’ nata da una collaborazione con Toto Cutugno. Al dialetto veneziano ho dedicato molte canzoni con le quali sto cercando di organizzare un album e uno spettacolo».
D. Gli autori di canzoni spesso vengono definiti parolieri. Lei come le piace definirsi?
R. «Mi considero un autore di testi, si direbbe con maggior precisione “autore della parte letteraria”, e un compositore, cioè un autore della parte musicale. Direi che sono più un “paroliere”, un termine che non mi piace perché trovo che sia leggermente dispregiativo.
Attualmente amo definirmi, esagerando, “uno scrittore”, considerando i pochi libri che ho scritto. E’ un termine che mi affascina e che porto al collo come una bellissima collana!».
D. Oggi una canzone è composta da più autori. Un tempo se ne potevano contare al massimo tre. Come lo spiega?
R. «Credo dipenda che ai cantautori siano sopravvenuti i “confezionatori” o i pretendenti alla fetta di torta economica che si è fatta sempre più piccola. E’ per questo che in una canzone attuale è così difficile riconoscerne “l’anima” essendo questa il frutto di più anime piccole le cui voci si confondono, spesso creando una marmellata di parole di indefinita identità».
D. Come è nata in lei la passione per la musica elettronica e per la stesura di romanzi?
R. «Ho fatto il giornalista specializzato in strumenti per circa 30 anni per cui la frequentazione con questi mi ha regalato curiosità e frequentazione con le nuove tecnologie.
La scrittura di romanzi fantasy è nata da un fatto personale. E’ diventata una insopprimibile urgenza di sondare l’insondabile, di fare con la mente viaggi impossibili. E’ uno straordinario turismo dove posso inventarmi i paesaggi che voglio, terre lontane. Solo per un tempo limitato perché stare sulla terra mi esalta ancora!».