Cento anni fa, il 27 maggio 1923 nasceva a Firenze don Lorenzo Milani. Si potrebbe scrivere e parlare a lungo su questo sacerdote vissuto appena 44 anni di cui venti di sacerdozio. Un sacerdote ligio ai principi del Vangelo apprezzato anche da papa Francesco e dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella che hanno voluto recarsi in preghiera sulla sua tomba nel piccolo cimitero di Barbiana.
Don Milani continua ad essere motivo di studio e riflessioni in tutto il mondo.
In occasione del centenario della sua nascita abbiamo rivolto alcune domande a Francesco Gesualdi vissuto nella canonica con don Lorenzo Milani, tra i primi allievi della scuola di Barbiana. Di don Milani ha saputo nel tempo incarnare i valori, principi e messaggi.
D. Cosa rappresenta per lei don Lorenzo Milani e quale ruolo occupa nella sua vita?
R. «E’ una domanda che mi pongono gli altri, che io non mi pongo mai. Barbiana fa parte della mia vita: è stato il luogo dei miei affetti e della mia formazione. Lì si è strutturato il mio approccio alla vita, all’uso da farne. I suoi insegnamenti e il suo spirito mi accompagnano sempre, spontaneamente emergono quando devo prendere delle decisioni sia personali che collettive. Se proprio dovessi essere schematico, direi che i grandi messaggi barbianesi che mi fanno da faro sono riflessione, responsabilità, coerenza. A volte riesco ad applicare ciò che mi pare corretto, a volte no, ma so qual è il cammino da seguire».
D. Come insegnava a vivere?
R. «Il bello di Barbiana era che tutti imparavano da tutti. Noi da lui imparavamo la riflessione e la coerenza. Ma lui da noi imparava l’essenzialità, l’impellenza di fare cambiare le cose. E di nuovo lui, trasmettendoci gli strumenti della lingua e dell’analisi, ci permetteva di poter diventare protagonisti del cambiamento che solo noi allievi, proiettati verso il futuro, avremmo potuto attuare. Perché la scuola, come diceva lui, siede fra passato e futuro. Una scuola grande è quella che produce persone che prendono il maestro a riferimento per i valori, ma individuano loro le strategie di cambiamento più adatte al tempo che vivono».
D. In poche parole ci può descrivere i metodi scolastici utilizzati da don Milani nella sua scuola?
R. «Consiglio chiunque voglia approfondire i metodi utilizzati alla scuola di Barbiana di leggere “Lettera a una professoressa”. Lì scoprirà che più che una scuola eravamo una comunità impegnata per permettere a tutti di raggiungere la dignità ed esercitare la libertà, quella vera di chi capisce la realtà, sa giudicarla e sa fare proposte di cambiamento. Per questo si comprende come Barbiana non avesse programmi, non avesse voti, non avesse orari. Gli stessi metodi di apprendimento erano inventati sul momento tenendo presente che gli allievi debbono essere i protagonisti del proprio apprendimento, che insieme si impara meglio che da soli, che il contenuto principale deve essere la realtà sia quella vicina che lontana, raggiungibile attraverso la lettura del giornale».
D. Come lo ricorda a coloro che gli chiedono di parlare di lui quale educatore e sacerdote?
R. «Mi dispiace deludere chi si aspetta rievocazione di aneddoti o descrizione di aspetti inediti. Né Barbiana e tanto meno il suo maestro possono essere ridotti a oggetto di curiosità. Solo l’approfondimento è ammesso e non fine a se stesso, ma per trarne insegnamento per il proprio impegno e la propria vita. Il suo esempio è stato quello di un educatore che ha speso la vita per i suoi allievi e di un prete che ha amava così tanto la sua Chiesa da denunciarne i difetti per renderla migliore. Questa scelta, purtroppo, gli è costata l’esilio».
D. Nella breve ma intensa vita di don Milani non sono mancati né i detrattori, né i momenti poco felici. Con quale atteggiamento reagiva?
R. «Sempre con la serietà del maestro che viviseziona le affermazioni per capire cosa c’è di giusto e di sbagliato sul piano dei contenuti, come le forme condizionano la formazione delle idee, come si distingue il cialtrone che punta solo a denigrare, dal critico serio che ha voglia di costruire e di contribuire alla verità. Barbiana era molto accogliente: permetteva a tutti di poter assistere ai suoi lavori, pratica che nessuna scuola segue. Chi si sogna di entrare in una classe e assistere alle lezioni? A Barbiana invece tutti potevano entrare, ma dovevano rispettare due regole: umiltà e serietà. Chi non le rispettava veniva buttato fuori».
D. Il “Centro Nuovo Modello di Sviluppo”, di cui è stato uno dei fondatori, come si rapporta alla figura e all’azione di don Milani?
R. «Come un ispiratore da un punto di vista degli obiettivi e delle proposte di azione. Sul piano degli obiettivi lo scopo è quello di analizzare i processi di impoverimento e di degrado ambientale in modo da costruire un modello alternativo capace di garantire dignità a tutti utilizzando meno risorse possibile, producendo meno rifiuti possibile e anche lavorando il meno possibile perché il tempo lo dobbiamo utilizzare piuttosto per noi, per la famiglia, per la collettività. Sul piano delle azioni, proponiamo di non sottovalutare mai i nostri gesti quotidiani perché il potere si tiene sull’obbedienza. Per questo abbiamo esaltato il ruolo del consumo critico, del risparmio responsabile, di un’informazione accurata».
D. Sono numerose e importanti le testimonianze di voi allievi sull’opera straordinaria di don Lorenzo Milani. A suo avviso, cosa manca per comprendere completamente il suo messaggio?
R. «A mio avviso sul piano dei testi non manca niente. Chi vuole approfondire le sue scelte e il suo pensiero può leggersi “Esperienze Pastorali”, “L’Obbedienza non è più una virtù”, “Lettera a una professoressa”, le lettere che sono state pubblicate. Sono state pubblicate anche varie biografie che inquadrano il contesto storico e geografico. Dunque di materiale ce n’è tanto, ma è importante lo spirito con cui ci si avvicina al Milani. Serve uno spirito di ricerca e di riflessione, per capire quali insegnamenti possiamo trarre da lui per affrontare i nodi del tempo presente».
D. Secondo lei, cosa potrebbe “insegnare” don Milani al mondo politico, alla scuola e alla Chiesa di oggi?
R. «Tre cose fondamentalmente: onestà, serietà, coerenza. Onestà per non farsi scudo dei poveri o del Vangelo per perseguire finalità di tutt’altro tipo. Serietà per trovare soluzioni che non siano solo d’immagine, ma capaci di risolvere in profondità le problematiche esistenti. Coerenza per evitare il rischio di finire fagocitati dalle logiche di potere che puntano a garantire posizioni di comando, ma non a liberare gli oppressi dalle loro schiavitù. Se volessimo sintetizzare con un consiglio contenuto in “Lettera a una professoressa”, bisogna mettersi al servizio dei poveri, non a capo dei poveri».