Da tempo sono in atto i preparativi della celebrazione del centenario della nascita di don Lorenzo Milani, sacerdote e pedagogista, vissuto tra il 1923 e il 1967.
Per questo evento significativo ci è sembrato opportuno ascoltare la voce del sen. Vannino Chiti, già vice presidente del Senato e studioso del movimento cattolico. 

D. Quest’anno, il 27 maggio, ricorre il centenario della nascita di don Lorenzo Milani. Secondo lei, come si colloca nel terzo millennio questo prete considerato “scomodo” per la Chiesa preconciliare e definito “bravo prete” da papa Francesco?
R. «Don Milani si colloca nel nuovo millennio come ha detto papa Francesco: un bravo prete, per me anche un profeta che ha saputo guardare lontano. Ha fatto uscire la Chiesa dal chiuso della solo liturgia, per portarla – cito le parole usate spesso da papa Francesco – nelle periferie del mondo, incontro ai poveri, agli sfruttati, agli ultimi cui erano negati anche i diritti all’istruzione, alla salute, a un lavoro degno, alla casa. Senza questo rapporto la Chiesa si priverebbe della sua missione: annunciare e fare vivere il messaggio di Gesù».

D. Nella vita e nell’azione pastorale ed educativa di don Milani possiamo parlare di innovazione culturale e di anticipazione del Concilio Vaticano II?
R. «Don Milani aveva al centro della sua azione pastorale la dignità di ogni persona, il diritto a una uguaglianza nelle opportunità di vita. Sta solo in questo la missione del cristianesimo? No, certamente. E infatti don Lorenzo legava a questo impegno la sua fede in Dio, la sua preghiera, la coerenza della fede nella quotidianità. La preghiera, la comunità che insieme la vive, sono un aspetto fondamentale della religione ma se si separano dall’azione di solidarietà verso gli altri, dall’azione per rendere più giusta e fraterna la nostra convivenza nel mondo, diventano sterili, forme vuote, addirittura ipocrisia. Il Concilio Vaticano II ha creato le condizioni per ricomporre la frattura tra Chiesa e donne e uomini del nostro tempo. I profeti vedono prima e anticipano, spesso incompresi, i percorsi che poi saranno battuti dalle comunità».

D. Come valuta il concetto di laicità adottato nella sua scuola?
R. «Don Milani ha sempre considerato la scuola come laica. Compito della scuola è di formare tutti alla cittadinanza, dare un’istruzione che consenta di conoscere i propri doveri, non facendosi derubare i propri diritti. Tutti devono poter accedere all’istruzione. La trasmissione della fede non è compito della scuola ma delle confessioni religiose. Questa impostazione è sua da sempre : non solo nella scuola costruita a Barbiana, ma anche nel doposcuola che apre a Calenzano, per i giovani che non avevano potuto studiare per la necessità di sostenere con il lavoro la famiglia. In quel doposcuola, in un locale della parrocchia, non mette il crocifisso».

D. Come si è evoluta nel tempo la sua figura?
R. «Non direi che la figura di don Milani si sia evoluta: sono piuttosto evoluti o meglio estesi la comprensione e l’apprezzamento del suo pensiero e del suo impegno. Nella società è diventata un riferimento ineliminabile la sua idea dell’istruzione, vera via per l’emancipazione e l’uguaglianza. Nella Chiesa, mentre l’arcivescovo di Firenze, Florit, che lo aveva esiliato a Barbiana, non rispose alla domanda di don Milani sul letto di morte, che gli chiedeva se anche il suo era un modo giusto per essere prete, papa Francesco, recatosi a rendergli omaggio nel cimitero di quel piccolo paese, dove era stato parroco e dove volle esser sepolto, lo ha definito – come lei ha ricordato – “un buon prete”. Ecco, mi pare che questo esempio renda bene l’evoluzione che vi è stata nella valutazione di don Lorenzo».

D. Nella pedagogia milaniana è possibile intravedere un principio di sana politica ?
R. «Nell’azione di don Milani c’è il nucleo di “una sana e buona” politica. Politica, ha detto bene, non partitica, quella cioè a cui ognuno di noi è chiamato nel dovere di curarsi e operare per il bene comune. La buona politica è agire per affermare la dignità di ogni persona, per mettere a disposizione di tutti istruzione, sanità, lavoro degno, casa, ambiente vivibile, per contribuire a creare nel mondo fraternità e costruire la pace. La guerra non è mai giusta. Don Milani, con la lettera ai cappellani militari, per la quale fu processato e condannato, ci ha insegnato a opporsi alla guerra e che l’obbedienza non è più una virtù. Un insegnamento quantomai attuale e purtroppo da tanti dimenticato».

D. Notoriamente le opere più importanti di don Milani sono: Esperienze pastorali, L’obbedienza non è più una virtù. Lettera a una professoressa, Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana, Il Vangelo come catechismo, Lettere alla mamma. La disamina dei contenuti di queste opere, quale don Milani ci descrive?
R. «Dalle sue opere appare la figura di un prete che anticipa la Chiesa aperta sul mondo, non solo vicina ma accanto a chi ha bisogno e chiede giustizia e uguaglianza. Un prete /profeta che sa cogliere il segno dei tempi. Don Lorenzo è un uomo di fede, coerente nel vivere ogni giorno il messaggio del Vangelo, un prete che ci sprona a garantire a tutti uguaglianza dei diritti e che indica nell’istruzione la via maestra per l’emancipazione. Un prete che ci chiede di dire no alla guerra, al riarmo, a ogni forma di violenza».

D. Secondo lei, una figura come don Lorenzo Milani, presumibilmente, su quali schieramenti politici poté orientarsi?
R.  «Sarebbe fuori luogo per me iscrivere don Lorenzo Milani a uno schieramento politico. Penso che la sua scelta di fondo sia stata la persona, la sua dignità: in particolare la persona sfruttata, povera, privata della sua dignità e dei suoi sacrosanti diritti. Chi vuole capire di più della sua visione della politica può leggere la sua lettera al comunista Pipetta».