I Nomadi festeggiano 60 anni di carriera. Il gruppo musicale conosciuto in tutto il mondo nacque nel 1963 grazie a Beppe Carletti e allo scomparso Augusto Daolio, che ne fu anche la voce fino al 1992.
Raramente si può raggiungere un traguardo così durevole e ricco di successi e di interventi sociali. Infatti, i Nomadi sono, fra le band ancora in attività, secondi per longevità nel mondo dopo i Rolling Stons.
Come si legge sui canali dei social, «hanno pubblicato ottantadue album, tra dischi registrati in studio o dal vivo e raccolte varie, e sono fra i più longevi complessi al mondo con sessanta anni di attività. Avendo venduto complessivamente 15 milioni di dischi, sono il terzo complesso italiano per vendite, preceduto dai Pooh e dai Ricchi e Poveri».
Il fondatore dei Nomadi, il tastierista, l’autore di numerosi brani, la bandiera, Beppe Carletti ci onora della sua disponibilità a rispondere alle nostre domande. 

D. Carletti, siete una delle band più longeve a livello nazionale ed internazionale. Qual è stato e qual è il vostro segreto?
R. «Il nostro segreto è la coerenza. Non siamo certamente i più bravi, però i più coerenti quello sì». 

D. Le vostre canzoni si contraddistinguono perché trasmettono messaggi di denuncia e impegno sociale, ma anche temi come l’amore e i sentimenti in genere. Da che cosa nascono i vostri temi? E con quali argomenti li manifestate?
R. «Nascono da quello che vediamo, dall’aria che tira incontrando la gente, i disagi…, da tutte le cose che appartengono alla quotidianità di noi umani; nella ricerca delle tematiche parliamo un po’ di tutto, contro la guerra e di ciò che ci circonda; dell’aria e del tempo che respiriamo. Questo ci porta a interpretare certi tipi di canzoni. Ne abbiamo incise 370 e non ci siamo mai ripetuti e sono certo che non accadrà, perché curiamo molto l’onestà, e onestà è anche non ripetersi. E’ facile vivere sulle cose già fatte, ripeterle e incidere canzoni una uguale all’altra, ma i Nomadi non sono così». 

D. Cosa portò i Nomadi, negli anni ’60, a rinunciare alla collaborazione con l’emergente Lucio Battisti quando allora nel gruppo avevano un giovane di nome Francesco Guccini?
R. «Fu una scelta ponderata. Quando incontrammo Lucio Battisti che ci propose una sua canzone, noi incidevamo “Dio è morto”. Credevamo già nelle canzoni di Francesco Guccini, non che quelle di Battisti fossero da buttare perché la sua “Non è Francesca” l’avremmo incisa molto volentieri, però ci dissero che dovevamo fare tutto Battisti o niente. Noi decidemmo per il niente. Non fu una scelta imbarazzante perché credevamo in ciò che stavamo facendo in quel momento e venivamo dal successo della canzone “Noi non ci saremo”. Però, ripeto, “Non è Francesca” l’avremmo incisa volentieri se non ci avessero detto Battisti o niente».

D. Durante la vostra lunga carriera avete attraversato cambiamenti generazionali di pubblico. Questo ha influito sulla vostra produzione musicale?
R. «Fino ad un certo punto. Alla fine degli anni’ 70 con l’avvento della disco music ci avevano dati per spacciati insieme a tanti altri e, addirittura, fino agli anni ’80 siamo stati sempre anche casa discografica perché nessuno ci voleva. Non abbiamo seguito l’onda della disco music e altre cose. Abbiamo continuato imperterriti sul nostro essere e sul nostro credo e ciò ci ha premiato. Questo significa coerenza come ho precisato precedentemente. Ognuno deve avere la propria identità e se si riesce a mantenerla si può risultare vincenti. I Nomadi non cambiano secondo come tira il vento. Siamo sempre andati per la nostra strada e il pubblico ci ha sempre seguito».

D. Quali emozioni avverte per aver fondato “I Nomadi” e per aver scritto numerosi dei suoi più grandi successi?
R. «Questi 60 anni sono passati in modo veloce, con momenti anche tristi e in cui avremmo voluto sbattere la testa contro il muro. Però, io ho la testa dura e, quindi, se la battevo non mi facevo male. A volte non mi sembra neanche vero, però se mi giro indietro dico: “Sono passati 60 anni e sono volati via nel bene e nel male”. In questi anni ho messo sul palco ventitre persone che hanno composto i Nomadi nel corso di questi 60 anni. Talvolta si sono dovuti fare dei cambiamenti non voluti, ma la vita è anche questa. Quest’anno festeggeremo i 60 anni dei Nomadi prima a Novellara e poi a Riccione. Mai avrei pensato a 60 anni per i Nomadi, soprattutto dopo la scomparsa di Augusto Daolio; in quell’occasione, il timore che tutto potesse finire c’è stato, la paura di non poter proseguire a mantenere ciò che avevamo costruito in trent’anni. Non è andata così. La gente ha continuato a seguirci, anzi è aumentato il pubblico che si è stretto ancora più vicino alla nostra storia. La cosa bella è che i Nomadi non dipendono da nessuno, dipendiamo solo dal nostro pubblico»

D. Che ricordi ha degli inizi del vostro gruppo?
R. «Ricordi bellissimi. Era il 1963 quando io e Augusto ci siamo incontrati su un palco di un dancing di Trecenta di Rovigo. Avevamo sedici anni e da lì è iniziato un cammino che aveva dell’incredibile perché entrambi abitavamo in piccoli paesi. Senza mai farsi prendere dai facili entusiasmi siamo sempre rimasti nei nostri paesi. Poi c’era il batterista Leonardo Manfredini che aveva sedici anni pure lui e poi c’erano gli altri più “vecchi”: 19, 20 e 22 anni. Ricordo che iniziammo a Riccione, dove ci esibimmo pomeriggio e sera per settantasette giorni consecutivi. Ci siamo fatte le ossa e siamo diventati uomini. Sono stati momenti davvero belli, di divertimento assoluto e senza mai pensare al successo. Noi abbiamo sempre pensato di vivere di musica andando a suonare nelle balere. La storia dei Nomadi è incomparabile e non si può avvicinarla a nessun’altra. Anche oggi continuiamo a divertici. Il gruppo musicale deve essere come una famiglia in cui c’è anche qualcuno che se ne va e che pensa di intraprendere una strada propria, perché ognuno è libero della propria scelta. Però, ho sempre detto a tutti: guardate ragazzi che quando scendete da questo palco siete degli “ex”. Dopo 60 anni siamo ancora qua. Quando non mi divertirò più sarà l’ora di smettere…». 

D. Qual è stato il momento più splendido e fecondo di questi lunghi decenni?
R. «E’ stato tra la metà degli anni ’60 e la metà degli anni ’70, anche con l’incontro con Francesco Guccini. Sono stati dieci anni veramente fecondi. Nel 1978 abbiamo compiuto una scelta molto selettiva e decisa, cioè abbiamo pensato di coinvolgere la gente nelle nostre canzoni: “prendere dalla gente per poi ridare alla gente”. Infatti, durante i nostri concerti invitavamo il pubblico ad inviarci idee o canzoni perché noi le avremmo elaborate e interpretate. Fu un momento abbastanza importante per la nostra storia. Altri eventi significativi sono state le partecipazioni ad un Disco per l’estate. Anche la partecipazione al Festival di Sanremo nel 2006 fu un bel momento. Però i momenti degli anni ’60 e ’70 avevano un altro valore. Ho diviso la storia dei Nomadi in due parti: Dagli inizi fino al 1977 e dal 1977 ad oggi».

D. Può elencarci alcuni titoli delle vostre canzoni che hanno segnato gli anni più importanti del vostro gruppo e che meritano di essere sempre ascoltate?
R. «”Io voglio vivere”, “Cartoline da qui”, “Dove si va”, “Io vagabondo”, “Dio è morto”, “Un pugno di sabbia”, “Noi non ci saremo”, “Canzone per un’amica”, “Mediterraneo”, “Ma che film la vita”, “Una storia da raccontare”… Sono canzoni che sono rimaste nel cuore delle persone e che sono state sempre tramandate».

D. Carletti sono vari gli autori con i quali ha scritto canzoni per i Nomadi, oltre a Francesco Guccini e all’indimenticato Augusto Daolio, vero?
R. «Sì. Abbiamo collaborato con diversi autori come Alberto Salerno, Luigi Albertelli e poi Cristiano Minellono, che ha scritto il testo meraviglioso della canzone “Mai come lei nessuna”, che gli fa onore. Minellono è veramente bravo».

D. Pensa che i Nomadi, in sessant’anni di onorata carriera artistica abbiano ricevuto gli onori che meritano?
R. «Gli onori che meritiamo li concede ogni volta il pubblico quando ci esibiamo e questa è la cosa più bella. Certo un riconoscimento al Festival di Sanremo di quest’anno per i nostri 60 anni ci poteva stare: senza duettare con altre canzoni, magari potevamo esibirci cantando Io vagabondo… Però, come ripeto, la gente partecipa in maniera incredibile ai nostri concerti e gli onori che meritiamo li riceviamo da loro».

D. Carletti, cosa le suscita la mente e il cuore festeggiando 60 anni di carriera con gli occhi protesi al futuro?
R. «Sto festeggiando tutte le sere i 60 anni di carriera… a parte Novellara e Riccione, che saranno i momenti clou dei festeggiamenti. Guardo avanti, infatti abbiamo realizzato un cd di canzoni tutte nuove. Non abbiamo festeggiato 60 anni di carriera con una raccolta di successi e questo significa proprio che guardiamo avanti. Il traguardo dei sessant’anni deve essere una spinta per affrontare gli anni che dovranno venire ancora finché il cuore batte e le gambe reggono».

All’amico Maurizio Natalini
cantante de “La Dimensione Nomadi cover band”