Quarantacinque anni fa, il 9 maggio 1978  fu ritrovato il corpo dello statista on. Aldo Moro privo di vita e umiliato in un bagagliaio di un auto utilitaria.
L’alto esponente della DC e protagonista autorevole della politica italiana fu freddato da mani assassine dopo 55 giorni di sequestro.
Ricordiamo la figura di Aldo Moro con una nostra intervista all’on. Miguel Gotor che del politico statista è un autorevole studioso. 

D. A quarantacinque anni dopo dal rapimento e dall’uccisione di Aldo Moro, secondo lei quali lati oscuri nasconde ancora oggi questa dolorosa vicenda?
R. «Le Brigate rosse hanno rivendicato l’uccisione dell’uomo politico ma le dinamiche della sua morte e gli ultimi giorni della sua prigionia non sono ancora sufficientemente chiari. Così anche la vicenda della scoperta del covo di Via Gradoli il 18 aprile 1978 deve essere meglio approfondita». 

D. A suo avviso, una alleanza governativa tra Aldo Moro ed Enrico Berlinguer quale scenario politico avrebbe determinato in Italia e in Europa?
R. «L’alleanza tra Dc e Pci nel governo di solidarietà nazionale tra il 1976 e il 1979 si è effettivamente realizzata e ha portato frutti positivi nella vita politica e sociale del Paese con una serie di significative riforme, tra tutte quella del sistema sanitario nazionale. Se Moro non fosse morto è verosimile che sarebbe diventato presidente della Repubblica al posto di Sandro Pertini e avrebbe potuto favorire equilibri più avanzati con un governo a guida democristiana con alcuni ministri comunisti confinati in dicasteri secondari. Ma come suol dirsi la storia non si fa con i se». 

D. Secondo lei, Aldo Moro era consapevole dei rischi e della pericolosità cui andava incontro per l’idea di realizzare un governo di solidarietà nazionale?
R. «Penso proprio di sì. Ce lo dicono diversi testimoni a lui vicini sia politici sia famigliari. Senza dubbio il suo progetto, condiviso con il segretario del Pci Enrico Berlinguer, stressava i limiti e gli equilibri fissati a Yalta dopo la Seconda guerra mondiale e su cui si reggeva il sistema geopolitico della Guerra fredda».

D. Ritiene che il governo di allora abbia compiuto tutte quelle azioni necessarie per salvargli la vita? Perché?
R. «Col senno di poi e davanti all’evidenza dei fatti è sin troppo facile dire che il governo di allora non fu in grado di proteggere Moro a sufficienza. È pur vero che Moro era scortato al massimo livello nonostante non rivestisse ufficialmente un ruolo di primo piano (era il presidente del consiglio nazionale della Dc), ma il fatto che non avesse una macchina blindata può avere facilitato l’azione dei sequestratori. C’erano stati anche diversi segnali di allarme che vennero sottovalutati».

D. Quali erano gli obiettivi politici che le brigate rosse ritenevano di conseguire con l’uccisione di Aldo Moro?
R. «Nell’analisi bisogna distinguere il momento del rapimento da quello dell’uccisione. In mezzo ci sono 54 giorni e una dimensione spionistica-informativa dell’operazione Moro che non è stata sufficientemente analizzata. Con il rapimento le Brigate rosse vogliono destabilizzare lo Stato e le istituzioni, aprire un baratro di diffidenza e di sospetto tra i famigliari dell’ostaggio e il mondo politico e, infine, distruggere la moralità personale e politica di Moro nell’immediato e affinché non potesse avere più eredi. Le dinamiche della morte sono invece collegate a questa dimensione spionistico-informativa del sequestro funzionale a raccogliere informazioni sensibili sulla sicurezza nazionale dell’Italia nel suo contesto internazionale (atlantico e mediorientale). La rivendicazione delle Brigate rosse è servita a stabilire la supremazia di questa organizzazione all’interno del cosiddetto Partito armato, dove vi erano invece delle forze che avrebbero voluto liberare Moro e hanno pensato di poter condizionare dall’esterno l’esito dell’operazione».

D. Tanto si è discusso sulle numerose lettere dell’on. Moro scritte durante il suo sequestro. Qual è la sua opinione in merito?
R. «Ho curato nel 2008 una edizione critica delle lettere che Moro ha scritto dalla prigionia dal titolo “Lettere dalla prigionia”, e ho scritto nel 2011 un libro sul cosiddetto Memoriale, ossia i risultati dell’interrogatorio subito dai sequestratori intitolato “Il memoriale della Repubblica. Gli scritti di Aldo Moro dalla prigionia e l’anatomia del potere italiano”. Rimando i lettori di questa intervista a questi miei due volumi, ripubblicati nel 2018 e nel 2020, che si soffermano su dei testi di straordinario interesse umano, politico, culturale e civile». 

D. Un cittadino che ancora oggi si ispiri ai valori di Aldo Moro, quali formazioni politiche può valorizzare?
R. «È difficile attualizzare il pensiero politico di Moro nel mondo di oggi che è radicalmente diverso dal suo perché è cambiato lo scenario internazionale e anche l’Italia dal momento che è passato quasi mezzo secolo dalla sua scomparsa. Credo che sia importante studiare Moro con le lenti della storia restituendolo al contesto in cui si è trovato ad agire e nel quale ha perso la vita».