Papa Benedetto XVI, il 265° pontefice della Chiesa cattolica si è spento il 31 dicembre 2022. Aveva 95 anni e il 28 febbraio 2013 aveva rinunciato al trono di Pietro dopo otto anni di pontificato.
Pubblichiamo questa intervista con la quale il celebre vaticanista Fabio Zavattaro di TG1 ricorda il pontefice defunto.
D. Dott. Zavattaro, quale saranno le azioni e le opere distintive del pontificato di Benedetto XVI?
R. «Credo che la prima parola da utilizzare per Papa Benedetto XVI sia umiltà. Tutti i suoi atti, le sue iniziative vanno sotto questa parola a partire dal giorno della sua elezione quando si è presentato come un “semplice e umile operaio nella vigna del Signore”. Certamente sarà ricordato per i suoi tre libri su Gesù di Nazareth, che hanno accompagnato i sette anni, dieci mesi e nove giorni del Pontificato: il primo lo ha iniziato poco prima della sua elezione, l’ultimo lo ha terminato nel giugno del 2012, praticamente quando ha iniziato a pensare alla rinuncia. Resteranno le sue prese di posizione e i gesti contro lo scandalo della pedofilia, l’aver avvicinato le vittime degli abusi; resteranno i suoi gesti ecumenici, il dialogo interreligioso, in continuità con i suoi predecessori. Resteranno le visite al campo di concentramento di Auschwitz, una visita che non poteva non compiere come tedesco, come uomo e come Papa, come lui stesso ha detto; e ancora la preghiera silenziosa nella Moschea Blu a Istanbul. Così come, insieme ai tre volumi su Gesù, avremo modo e tempo di riflettere sulle sue tre encicliche, Deus Caritas est, Spe Salvi e Caritas in veritate».
D. Come si giunse alla sua elezione petrina?
R. «In un certo senso possiamo dire che non vi fosse altro candidato: è stato per 23 anni il più stretto collaboratore di Giovanni Paolo II e ne ha condiviso scelte e documenti pontifici: penso alla Fides et ratio, alla Veritatis Splendor. Penso all’appuntamento di Assisi, preghiera delle religioni per la pace, in un primo momento contrario per il rischio del sincretismo. Ancora, penso agli incontri ecumenici, alla celebrazione dei mea culpa in San Pietro nell’Anno santo del duemila.
C’è da dire che la sua elezione è stata favorita anche dalle sue parole il Venerdì Santo del 2005, la riflessione alla nona stazione sulla sporcizia nella chiesa, anticipo, in un certo senso, di quello che avrebbe messo in atto sul tema della pedofilia; ancora il discorso a Subiaco nel monastero di Santa Scolastica sull’Europa, e le omelie alle esequie di Papa Wojtyla e alla Missa pro eligendo Pontifice. Certo fa un certo effetto pensare che i cardinali, tutti creati da Giovanni Paolo II abbiamo scelto, nel Conclave, l’unico nominato da Paolo VI».
D. A suo avviso, come sarà ricordato nella storia della Chiesa?
R. «Come un grande teologo, un pastore attento all’uomo che ha messo al centro della vita della chiesa e della comunità cristiana la parola di Dio. Nel suo testamento spirituale Benedetto XVI ringrazia Dio “per tutto il bello che ho potuto sperimentare in tutte le tappe del mio cammino”, e si rivolge “a tutti quelli che nella Chiesa sono stati affidati al mio servizio” chiedendo di rimanere “saldi nella fede! Non lasciatevi confondere! Spesso sembra che la scienza — le scienze naturali da un lato e la ricerca storica (in particolare l’esegesi della Sacra Scrittura) dall’altro — siano in grado di offrire risultati inconfutabili in contrasto con la fede cattolica… Gesù Cristo è veramente la via, la verità e la vita, e la Chiesa, con tutte le sue insufficienze, è veramente il Suo corpo”.
Certo sarà ricordato per la sua scelta di compiere la rinuncia, primo Papa dell’era moderna, un atto di grande fede e umiltà, in un mondo in cui non si rinuncia mai a nessuna carica. Ma di lui resteranno le omelie, gli interventi del mercoledì all’udienza generale, le parole pronunciate in occasione di incontri, e soprattutto resteranno i gesti dal grande significato nel dialogo tra fedi, come l’andare a Erfurt nell’ex monastero agostiniano dove Martin Lutero ha studiato e ha celebrato la sua prima messa».
D. Ritiene che la sapienza teologica di Ratzinger possa avere effetti positivi sulla dottrina ecclesiale dei prossimi decenni?
R. «Non solo, l’ha già avuta e l’avrà ancora. I suoi documenti, i suoi libri, le sue Encicliche e Lettere apostoliche, e ancora le parole pronunciate in tanti contesti sul tema della dottrina sono e resteranno guida sicura per chi vorrà proseguire nella ricerca teologica».
D. Ancora oggi destano sorpresa le sue dimissioni dal papato. Cosa può dirci in merito?
R. «Che sono state un gesto dal grande significato culturale, dottrinale e politico; ha fatto capire che anche la chiesa deve fare i conti con i tempi in cui vive. Il suo non è stato uno scendere dalla Croce, come lui stesso ha detto, ma piuttosto un “salire al monte” e proseguire la sua missione in un modo diverso ma non per questo meno intenso e profondo. È il Papa che ha mostrato l’umiltà di una scelta per il bene della chiesa, consapevole di non essere più in grado di fare fisicamente quanto veniva richiesto alla sua persona. Se mi hanno sorpreso? Si, sicuramente, anche se in una discussione sul Codice di diritto canonico e sul tema della rinuncia con amici e colleghi dissi nel 2012 che solo un Papa teologo come Ratzinger, così profondamente attento alla vita della chiesa e al rapporto con la comunità cristiana avrebbe potuto compiere questo passo, gesto che i suoi predecessori, da Pio XII a Paolo VI, che comunque avevano preparato un testo per la rinuncia, da Roncalli a Wojtyla non avevano compiuto».
D. Dott. Zavattaro, Lei ha incontrato più volte questo papa da tutti definito un teologo eccelso. Che cosa lo affascinava e quali erano i temi del suo arricchimento religioso spirituale?
R. «Mi ha sempre affascinato la sua timidezza, il suo modo di guardarti con profonda attenzione, di ascoltarti anche nelle banalità che probabilmente ascoltava dalla mia voce e dalla voce di altri. Affascinava il suo modo di parlare della fede, della chiesa. Ricordo un episodio divertente, di uno di coloro che in piazza San Pietro vendono i rosari e altri oggetti religiosi ai turisti e fedeli, con il quale spesso scambiavo una chiacchiera. Un giorno, nei primi mesi del Pontificato ratzingeriano, dopo aver ascoltato le parole del Papa all’udienza del mercoledì, mi ferma, mentre stavo uscendo dalla piazza per andare a preparare il servizio per il tg1, e mi dice in romanesco: ao, sto Papa ce crede davvero. Credo che non sia necessario fare una traduzione. Sorprendente il fatto che anche una persona abituata a ascoltare la voce dei Papi in più occasioni, abbia percepito la novità del pensiero di Benedetto XVI.
Ascoltarlo non solo era un piacere e un arricchimento spirituale, ma soprattutto era un invito a riflettere, a cercare modi e tempo per tornare sulle sue parole».
D. Papa Benedetto XVI e papa Francesco due grandi successori di Pietro ma due grandi personalità letteralmente diverse l’una dall’altra. Pure in questa evidente diversità riscontra degli elementi di continuità?
R. «Continuità è la parola che accompagna tutti i Papi. Tra Papa Francesco e Benedetto XVI il rapporto è molto profondo. “È come avere un nonno saggio in casa” disse a noi giornalisti poco dopo la sua elezione nel 2013. Come non ricordare che la prima enciclica di Papa Francesco, la Lumen fidei, ha avuto come primo estensore proprio Benedetto XVI, che ha nello stesso tempo indetto l’Anno della fede concluso poi da Francesco.
Ecco un segno profondo della continuità tra i due Pontefici, nonostante le voci che nel tempo hanno accompagnato e cercato, in qualche modo, di metterli l’uno contro l’altro. Anche la questione della pedofilia, avviata da Benedetto XVI, ha trovato continuità in Francesco. Penso al cammino ecumenico, agli incontri con i rappresentanti di altre confessione religiose non cristiane, tutti momenti che hanno vissuto l’inizio nel Pontificato di Benedetto XVI. Con l’islam, ad esempio, il cammino iniziato da Papa Ratzinger è proseguito con Francesco che ha incontrato leader sunniti e sciiti; con l’ebraismo, dopo le aperture di Giovanni Paolo II e i gesti di Benedetto, nonostante alcuni momenti di frizione – la questione della scomunica tolta ai vescovi lefebvriani, compreso il negazionista Williamson, e la causa di beatificazione di Pio XII – Papa Bergoglio ha continuato il cammino in una continuità che, a mio parere, non vedrà marce indietro».