Stefania aveva un difetto – era bellissima – ed un pregio – tifava Inter.
Non ricordo l’ultima volta che la vidi, ma credo fosse verso aprile, perché mi disse che voleva provare a cuocere il coscio d’agnello nel nuovo forno che aveva comprato all’Ikea a Pisa pochi giorni prima che morisse. Io l’accompagnai. Quel giorno era, se possibile, ancora più bella. Stefania avrà avuto pure qualche tacca nel cervello come me del resto ma se c’era una cosa che lo poteva dire anche il prete dall’altare era che Stefania era davvero bella, magari non alta, ma bella questo sì.
Non eravamo fidanzati ma ci si dava ampiamente del tu. Mi chiamava Fabry. Ancora adesso se chiudo gli occhi mi viene di chiamarla anche solo per sentire la sua voce, che era armoniosa che pareva una sinfonia del vecchio Mozart, come diceva lei. Ma Stefania è morta e non può più rispondermi al telefono. La rivedrò all’inferno quanto prima. Già me la immagino laggiù a fare i cavoli suoi insieme con gli altri morti orgogliosi come lei. Perché Stefania era dannatamente orgogliosa di essere com’era. Tifava Inter anche se non capiva nulla di pallone come me.
Stefania il coscio d’agnello non l’ha mai comprato né cotto né tanto meno mangiato, perché è morta lo scorso venerdì santo sull’Aurelia, a meno di duecento metri da casa sua, a Castiglioncello, dove viveva insieme con tre gattacci neri nella sua villa ottocentesca che sembra abbracciare tutto quel gran mare lì sotto, blu come blu erano gli occhi di Stefania.
Lo sa lei che è morta di venerdì santo in un dannato pomeriggio mentre fuori c’era un sole che mandava ai matti e lei si è infilata con la sua Graziella fucsia sotto un furgoncino carico di libri usati a Livorno? Lo sanno i morti quando muoiono o stanno per morire?
Lo avrebbe detto anche lei: chi è quel disgraziato che legge di venerdì santo a Livorno? Lei ci avrebbe riso, me lo immagino. Era talmente bella che poteva ridere su qualsiasi cosa, anche la più orribile o terribile. È davvero un peccato che molti di voi non l’abbiate conosciuta. Ed è davvero triste che persone belle come la Stefania possano morire così, pedalando una bicicletta fucsia in direzione del mare, schiacciata come una formica da un furgoncino che trasporta libri usati a Livorno.
Non credo che credesse o almeno di queste cose non si parlava mai, come non si parlava mai di politica. Si parlava di pallone e di tutto il resto, ma mai di politica. In questo era buffa la Stefania. Aveva sempre un’idea originale su qualsiasi argomento. E guai a toccarle l’Inter. Era un pochino troppo fissata col pallone, ma io la lasciavo parlare. Non credo si faccia del male a parlare di pallone.
Ora che ci penso mi chiedo dove sia in questo momento che la ricordo. Scoccia morire, ma per chi è bella come la Stefania credo sia una cosa difficile da mandar giù. Non si ricordano le persone brutte quando muoiono, ma quelle belle invece sì. È come se sparisse la Flora di Tiziano da palazzo Pitti. Si vede subito che manca qualcosa.
Quando si andava a spasso per Castiglioncello lei mi strizzava così forte la mano destra che quasi mi bloccava la circolazione. Non so perché lo facesse. La psicologa che ogni tanto vedo il sabato mattina nel suo studio al Torricchio mi ha spiegato che lo faceva perché ci teneva a me, anche se era infinitamente più bella di me. È davvero buffo quando una persona enormemente bella ti tiene per mano. Ti pare di stringere il mondo intero. Io diventavo subito rosso perché pensavo alla gente che ci guardava. È sempre imbarazzante quando le persone ti guardano e te pensi le stesse cose che magari pensano loro.
Stefania si era laureata nel 1999 in Paleografia col Banti, che è nato lo stesso giorno ed anno di Marlon Brando. Fate un po’ voi. Io, per esempio, sono nato lo stesso giorno di Cristina d’Avena, con rispetto parlando. La Stefania credeva solo in sé stessa e nelle pergamene medioevali, che leggeva come io posso leggere il giornale o Hemingway.
Martedì c’è stato il funerale della Stefania. Io ero in fondo. Mi scoccia stare in prima fila. Ci stai solo se sei la sposa oppure il morto. Se no, in fondo va non bene ma benissimo. Il funerale mi è piaciuto parecchio. Ad un certo punto, quando don Mauro ha alzato l’ostia io mi sono voltato per vedere la gente che c’era ed ho visto un sacco di persone ginocchioni che piangevano come quando ai bambini gli rubi la palla colorata.
Mi piacerebbe vedere così tanta gente anche al mio funerale. È bello vedere tanta gente ad un funerale. Vuol dire che quella persona, lì, ai piedi dell’altare, rinchiusa in una bara di legno, era amata ed in fondo era una buona persona. Quel giorno c’erano pochi fiori perché Stefania era più bella di qualsiasi fiore.
Il prete, don Mauro, ha pure detto dall’altare che lui e lei, prima che lui entrasse in seminario, avevano dormito nello stesso letto un bel po’ di volte. Io questa non la sapevo e la Stefania non me ne aveva mai parlato. Immagino abbiano fatto quelle cose che si fanno a letto quando non si dorme e questo mi torna. Del resto, don Mauro è pure un bell’uomo. È bello vedere un prete bello dietro l’altare. Ti rammenta che la Chiesa fa anche cose belle. Tipo che un suo socio si sia divertito con la Stefania. Ma che avesse avuto una storia con lei io quando l’ho sentita dire da lui confesso che ci sono rimasto secco. Buon per lui. Non succederà più. Lui ora è un prete, mentre lei è morta.
Voi non sapete un accidente di nulla. Dovevate vederla mentre vicino alla finestra della sua villa gialla ad un metro dal Tirreno leggeva le pergamene che insieme avevamo fotografato all’archivio capitolare di Pisa. Stefania era come il suo maestro Banti: sapeva leggere l’illeggibile.
Ho ancora il suo numero memorizzato sul mio cellulare.
Ogni tanto provo a chiamarla, ma lei non mi risponde.
Non so chi abbia adesso il suo cellulare.
Devo ricordarmi che Stefania è morta.