Pochi giorni fa si è spento Franco Battiato. Il celebre cantautore siciliano se ne è andato all’età di 76 anni al termine di una vita operosamente vissuta e carica di successi internazionali.
Rimane non facile comprendere la complessa personalità di questo maestro, filosofo, poeta, regista e pittore che ha consegnato alla storia della musica italiana canzoni, tra l’altro, come La Cura, Prospettiva Nevski, Centro di gravità permanente, La stagione dell’amore,E ti vengo a cercare, Bandiera Bianca e I treni di Tozeur.
Padre Orazio Barbarino, amico personale di Franco Battiato e che ha presieduto la celebrazione dei funerali, sottolinea in questa nostra intervista alcuni aspetti significativi della vita dell’artista scomparso.
D. Come e quando nacque la vostra amicizia?
R. «Ho sempre pensato che l’amicizia tra di noi fosse la via regale per entrare nella vita e per giungere più facilmente al cuore delle cose. Non c’è nulla di più sorprendente di essa, perché l’amicizia è un dono, un miracolo.
La mia amicizia con Franco Battiato risale agli inizi degli anni Ottanta, fin da quando io, giovane sacerdote, mi ero messo insieme ad altri a fare esperienza della bellezza della vita attraverso quella sfida alta e perenne che è il Vangelo di Cristo con la Comunità Tra i Tempi di Acireale.
Anche se su strade diverse e con percorsi esistenziali particolarissimi, appartenevamo ad una generazione di persone in ricerca, con la voglia di entrare più profondamente nella vita. L’amicizia con Battiato è figlia di uno sguardo che precedentemente tenevamo sulla vita, ognuno per conto proprio. E si diede allora l’occasione di incontrarci, di raccontarci e di dichiarare la nostra disponibilità a lasciarci “coinvolgere” in un cammino di ricerca, con assoluta libertà, procedendo su quelle tracce che avevano segnato le nostre esistenze.
Con Franco condividevo tante idee, lui andava alla ricerca della verità e lo faceva continuamente, in ogni cosa. Il suo verbo era sperimentare, era uno che cercava la bellezza e l’essenzialità e in tutto questo ci metteva grande umiltà, coniugandole con la precisione e la disciplina. Era un trappista della ricerca. Quando ci si sente veramente impegnati ad approfondire la vita, ci si sente anche sovranamente liberi. E Franco era tale. Questa sua indole, quella che chiamerà la sua essenza, lo porteranno a cercare, a bussare ad ogni porta, al fine di arrivare alla meta.
Come un missionario lasciò la sua terra e ne accettò tutte le sfide, pagando di persona e non rinunciando mai ad essere sé stesso».
D. Vari sono gli stili che hanno distinto l’intera opera musicale di Franco Battiato. Quali, a suo avviso, rispecchiano veramente la specificità di questo artista siciliano?
R. «Gli stili musicali che hanno contraddistinto l’intera sua opera sono stati tanti e vari, ma tutti da inserire in quel bisogno nuovo di afferrare la profondità delle cose, dell’essere, vedendo l’erba dalla parte delle radici. Emily Dickinson ebbe a scrivere “non sapendo quando arriverà l’aurora, apro ogni porta”.
La ricerca dell’aurora segnerà per sempre tutta la vita di Battiato, dall’inizio fino all’ultimo istante di essa, vissuta con grandissima dignità aspettando di attraversare il bardo, secondo un’immagine della filosofia buddista o di abbandonarsi, secondo quella preghiera del beato Charles de Foucauld, l’apostolo del deserto, morto perché favorì il dialogo tra cristiani e musulmani, che Franco recitava ogni mattina nella sua meditazione, che nel suo incipit recita: “Padre mio, io mi abbandono a te”.
Battiato, a mio avviso, è da ricercare in tutti i suoi stili, anche se di volta in volta oltrepassati, ma tutti necessari, anche per il semplice fatto che così si sono manifestati.
Gli esordi a Milano e la sperimentazione rappresentano il primo e necessario approdo.
La musica è stata la sua poetica, la contaminazione il suo stile, ma non rinuncerà alla pittura, alla cinematografia, a tutto ciò che lo aiutasse ad andare oltre la δόξα che è sempre ingannevole e a superare il velo di Maya.
Volere è potere egli diceva, ma senza alcuna arroganza. Nietzsche aveva parlato delle tre metamorfosi: quella del cammello, del leone e del bambino. Franco Battiato aveva da tempo rinunciato ad essere un cammello, come ad essere un leone e perseguiva la strada del diventare un bambino. Proprio Gesù nel suo Vangelo dice “se non diventerete come bambini non entrerete nel Regno dei Cieli” (Mt, 18,3)».
D. Può parlarci brevemente della spiritualità di Franco Battiato?
R. «La sua spiritualità è legata a questa tensione continua. Come una piccola luce, anelava alla luce vera. “Nasciamo, dice Rainer Maria Rilke, per così dire, provvisoriamente, da qualche parte; soltanto a poco a poco andiamo componendo in noi il luogo della nostra origine, per nascervi dopo, e ogni giorno più definitivamente”.
Quel “soltanto a poco a poco” di Rilke è per noi tutti, come per Franco Battiato, di grande respiro, perché se lo vogliamo possiamo ricostruire il luogo della nostra origine. Per questa ricostruzione della sua origine, Battiato, fin dagli inizi, aveva avviato una ricerca intensissima ed entusiasmante sulle religioni orientali, sul Buddismo e sull’Induismo, sull’Islam, specialmente sulla tradizione sufi, sulla filosofia, sui Padri del deserto, divorando libri di spiritualità, di patristica, di mistica e privilegiando gli incontri con i testimoni e i maestri.
Si mise in viaggio verso l’Oriente, visitò il Monte Athos e Konya, la città dei dervisci rotanti, lesse Gurdjieff, Tulku Urgyen Rinpoche, Gialal ad-Din Rumi e si nutrì di buddismo tibetano…
Sorpreso profondamente per la scoperta di questa nuova vita, diede una direzione alla sua esistenza verso uno stile rigoroso, ascetico, ma anche cordiale, scegliendo una terra d’approdo, la sua Sicilia, risiedendo nella casa di Milo ed eleggendola a centro di spiritualità e di ricerca».
D. Come spiega questa sua ricerca escatologica studiando la cultura cattolica, il mondo esoterico, il Buddismo fino all’Islam e all’Induismo?
R. «La sua religiosità non è riconducibile ad una religione. Già Thomas Merton, monaco cistercense, aveva scritto che “se non si può affermare che al “vertice”, a livello trascendente o mistico, c’è una completa unità di tutte le religioni – che partono tutte da differenti posizioni dogmatiche per incontrarsi in questo “vertice”- si può dire che, anche laddove esistono differenze inconciliabili di dottrine e di formule di fede, possono esserci analogie e somiglianze nel campo dell’esperienza religiosa. Non è affatto una novità affermare – continua la citazione di T. Merton – che santi uomini come San Francesco e Sri Ramakrishna hanno raggiunto un grado di perfezione spirituale universalmente riconosciuto e rilevante per chiunque abbia a cuore la dimensione religiosa dell’esistenza. Le diversità culturali e dottrinali devono rimanere ma esse non invalidano l’effettiva qualità delle analogie esistenziali” (Diario Asiatico, pag. 278-279).
Franco Battiato si muove dentro il Cristianesimo e ci rimane; ma è critico con alcune verità della religione cristiana ed è altrettanto critico con la Chiesa istituzionale. Intanto, il 24 maggio 1990, all’età di quarantacinque anni, riceve la Cresima dal Vescovo di Acireale, Mons. Giuseppe Malandrino. E resta abbagliato, anzi folgorato, dalla lettura dei testi mistici di San Giovanni della Croce e Santa Teresa d’Avila, basta pensare, a conferma, alla stretta amicizia che lo legava a Giuni Russo, convertitasi al Cattolicesimo e morta di cancro. Alla fine, io credo, che Franco Battiato abbia percorso la sua strada con assoluta originalità e libertà. Il suo punto fermo e sorgivo è che l’uomo non può accontentarsi di vivere una vita mediocre e banale. Egli desiderava ardentemente un’altra vita, totalmente nuova. Egli sapeva di non appartenere ad alcuno establishment e come tale si ritirò a Milo, ma senza separarsi da niente e da nessuno, indicando autorevolmente di vivere la misura alta della vita e di tendere ad una comunione con tutti i cercatori di Dio, dell’Assoluto, con tutte le persone oneste a qualsiasi credo appartenessero».
D. Quali eredità ci lascia Franco Battiato?
R. «La vita di Franco Battiato è al di là delle parole, al di là dei discorsi, al di là dei concetti. Tutto ciò che è in superficie è nulla e inconsistente, ciò che è in profondità è il Reale. Egli è convinto che bisogna riscoprire la nostra unità. Ciò che dobbiamo essere è ciò che siamo. Questa è la sua aspirazione più grande e la sua eredità consiste nel ricordare ad ognuno di noi che siamo immersi nell’era digitale e tecnologica, di ritrovare, senza stancarci, l’integrità della nostra interiorità perché siamo tutti esseri speciali. Nonostante il caos dei tempi attuali».