La famiglia del celebre giornalista televisivo, Paolo Giani, apparteneva alle secolari progenie più illustri di Massa e Cozzile.
Dalla famiglia Giani, infatti, sono sorti numerosi cittadini benemeriti sia nell’ambito civile che in quello ecclesiastico.
Paolo Giani, che per oltre quarant’anni ci ha accompagnato quotidianamente con i suoi preziosi servizi televisivi, ha concluso la sua brillante carriera presso la RAI.
D.Giani, come era la RAI di 40 anni fa al momento della sua assunzione? E quali differenze denota dopo 40 anni quando è andato in pensione?
R.Era una Rai sicuramente diversa. La prima differenza che viene in mente è che ancora non era stata costretta a cimentarsi con le televisioni berlusconiane, il cui ingresso nel panorama televisivo ha anche creato scompiglio. Era una Rai che non era costretta ad inseguire gli indici di ascolto per tenere testa al suo nuovo concorrente. Quindi si poteva ricercare maggiormente la qualità dei programmi, una certa eleganza, una certa serietà, senza dover rincorrere ossessivamente i gusti televisivi in voga in un determinato momento. Ovviamente anche ora la Rai produce degli ottimi programmi, ha degli ottimi professionisti. Ma una volta la situazione era forse migliore. Diciamo che la nascita delle televisioni berlusconiane a livello nazionale ha portato a nuovi schemi, secondo me non proprio positivi, e la Rai si è dovuta un po’ snaturare per reggere il confronto imposto dalla nuova dittatura degli indici d’ascolto. Ma la Rai resta la Rai.
D.Che cosa ha significato per lei lavorare in RAI per oltre 40 anni?
R.Per me ha significato avere il privilegio di lavorare per una delle più grandi aziende culturali d’Europa, se non del mondo. E il piacere di lavorare per il Servizio Pubblico del nostro Paese. Questo del Servizio Pubblico è un concetto che oggi si sta un po’ perdendo, per colpa anche della sottile e scorretta propaganda della concorrenza, che è riuscita a mettere nella testa delle persone meno preparate concetti tipo “…la Rai ti fa pagare per vedere un film, mentre Tizio te lo fa vedere gratis…”. Niente di più falso e scorretto: si paga il canone Rai perché le Rai è il Servizio Pubblico, e tutto ciò comporta una serie di obblighi ed impegni, anche finanziari. Basti pensare alla gestione di tutte le sedi regionali della Rai, che forniscono anche una grande informazione locale, con telegiornali e giornali radio. E questo avviene in tutti i Paesi: tutti hanno un Servizio Pubblico, per il quale si paga il canone. E quello della Rai è tra i più bassi d’Europa. Andrebbe ricordato più spesso ad un pubblico che è cambiato dopo l’avvento delle tv berlusconiane.
D.Quali sono stati i colleghi e i direttori a lei più cari?
R.Non vorrei fare un elenco, per non scontentare nessuno. Ho avuto ottimi direttori al TG1, e fantastici colleghi. Quando ho vinto il concorso nel 1979 e sono entrato in Rai come praticante, tutti i miei colleghi più anziani mi sembravano dei mostri sacri, a me che avevo ancora i “pantaloni corti”. Ma sono stati tutti molto gentili e disponibili. Se proprio devo fare qualche nome ricordo sicuramente gente del calibro di Enzo Biagi, Piero Badaloni, Paolo Frajese e Paolo Giuntella, per arrivare ai giorni nostri ad amici veri come Maria Luisa Busi, Stefano Curone e Daniele Valentini, compagno di tante avventure a cominciare da “Overland”. Ma, ripeto, la lista sarebbe troppo lunga. Ho avuto grandi direttori, come l’indimenticabile Albino Longhi, Demetrio Volcic, Gianni Riotta, Mario Orfeo….ma li potrei citare tutti.
D.Quale evento rimane indimenticabile?
R.Ho tanti ricordi bellissimi. Se proprio devo citarne uno è quello legato al mio raggiungimento del polo Nord, il punto geografico per eccellenza, il 20 aprile 2006, mentre stavo girando un documentario proprio sulla scoperta del polo Nord ad opera di Umberto Nobile e del norvegese Roald Amundsen. Era sempre stata una mia ossessione, e grazie al mio lavoro ci sono riuscito.
D.Quale augurio rivolge alla RAI?
R.Alla Rai auguro semplicemente di rafforzarsi come leader della televisione italiana, onorando a pieno il suo ruolo di Servizio Pubblico. E poi, spero che la Rai ricerchi con maggiore decisione la qualità nei suoi programmi, anche se la cosa potrebbe apparire non troppo realistica visti i tempi che viviamo. Ripeto, oggi abbiamo la dittatura degli indici d’ascolto, e talvolta la Rai è stata ed è costretta ad inseguire il concorrente su idee televisive forse non… eccelse. Ma una speranza penso possiamo coltivarla. Nella Rai di una volta non si faceva un ricorso massiccio a produttori esterni, così come invece purtroppo accade oggi.