Quando salii sul treno a Montecatini Terme, martedì 29 maggio1962, stava cominciando un’avventura che è ancora viva in me, e lo rimarrà fino in fondo. Tutto ebbe inizio in un giorno d’ottobre del 1959 quando, con babbo, mi trovai di fronte ad una villa in Montecatini che, mi dissero poi, si chiamava Villa Perrotta: ritornare a quella esperienza mi provoca, ancora, una piccola guerra interna. Oggi, è finalmente scoppiata la pace; smussati gli angoli; acquisita qualche conoscenza; l’età, e di tutto ciò che è successo, ne rimane un modesto, ma caldo romanzo di uno qualsiasi.
Terminato l’Avviamento in modo zoppicante, fu consigliato ai miei un Istituto Professionale secondo l’equazione bar di proprietà-Istituto Alberghiero. Facile facile, in teoria. Non mi resi conto di che portata fosse la scelta dei miei. Di sicuro, non ero preparato né mentalmente né culturalmente; ero timido e chiuso, con tante lacune ed incertezze, e già amavo la solitudine. Poi, allora, la domenica dovevo lavorare al bar; niente di speciale: dietro il frigo Alemagna, vendevo quei gelati. Non era un lavorone, ma non c’ero proprio portato. Se potevo, me ne andavo a piedi allo Stadio Comunale per fare il raccattapalle, e così trascorrevo domeniche e festività. Immaginiamoci io a fare il cameriere, e stare in contatto per ore con gli ospiti! E la pena maggiore, una condanna: sorridere, sorridere, sorridere! Meritavo questo?
Così, quell’ottobre del ’59, sceso di macchina stralunato, fui spinto subito dagli altri studenti: si vedeva ad occhio nudo la differenza tra quelli degli anni precedenti e le matricole. M’infilai, o fui infilato, nel piccolo gregge che si mise in moto al suono della campanella. Villa Perrotta non era enorme come l’Avviamento-Medie di Pescia, ma era sufficiente a contenere tutti gli iscritti dei tre corsi: Segreteria, Portineria, Sala-cucina. Quindi, mi sembra che il totale si raggirasse sui 150 ragazzi, e pochissime ragazze. Da subito, ebbe inizio il mio percorso all’Alberghiera, che si presentò più duro perché fui iscritto a Segreteria addetto all’Amministrazione, 4 anni di studi rispetto a 3 degli atri: amen.
Fu un’arrampicata dura, difficile, estenuante. Tre lingue, Esercitazioni Pratiche, Amministrazione, e i tirocini estivi; da quel ’59 persi quasi tutti i contatti con Collodi e gli amici. Ieri, il tirocinio estivo era obbligatorio, oggi, non so. Comunque, uno dei lati positivi era cha a 16 anni si poteva lavorare in Gran Bretagna, a 17 in Francia e a 18 in Germania. Dopo l’esordio all’Hotel Select Petrolini a Montecatini nell’estate del ’60, seguito dall’Hotel Adriatico in Firenze nel ’61, agli inizi del 1962 furono presentati i prossimi apprendistati. Io fui destinato proprio in Gran Bretagna e, siccome dovevamo essere in coppia, fui affiancato da un compagno di classe, Lucio Bianzan, il quale venendo da Lucca col treno, era fuori dalla mia orbita.
Non ricordo l’impatto che ebbi alla notizia. Lui, lo conoscevo poco e male, ma provavo comunque un miscuglio di emozioni: curiosità, paura, timore, attesa per qualcosa che conoscevo solo superficialmente, così come la lingua. Era la prima,vera prova dell’Istituto e del suo funzionamento. Tutti ne parlavano, anche con entusiasmo, ma per me, oltre Firenze e qualche breve vacanza, questo viaggio fu il primo da solo, ed ebbe dei riflessi memorabili. Pur essendo a metà strada del percorso previsto, continuavo a stentare; è come se mi avessero messo in sella ad una bicicletta, vecchia e senza cambio, e mi avessero indicato l’arrivo, lassù, in cima a un monte. Ce la mettevo tutta, ma la fatica fu tanta, e non so ancora oggi perché non mi ritirai. Mi fermarono, un paio di volte; ripresi fiato, e riuscii ad arrivare in fondo grazie anche alla simpatia che ebbe verso di me il prof. Renzo Stinchetti ed alla pazienza degli altri insegnanti: maturerà…
Si capisce che, in queste condizioni, l’impatto, e il corso di studi che feci nell’Istituto Alberghiero fu così ostico che non sbocciò l’amore. Infine, arrivò il giorno della partenza; Martedì 29 maggio 1962, accompagnato ancora da babbo, mi ritrovai alla stazione di Montecatini, dove furono radunati tutti i partenti. C’era una piccola folla, composta da circa una trentina di ragazzi e ragazze, ed i loro genitori. Degli insegnanti, ho un nitido ricordo della prof.ssa Bice Desideri, Tedesco, che porto con me da allora con tanto, tantissimo affetto. Partimmo verso le 11, e c’era, nell’aria, un vago senso di gita scolastica perché quasi nessuno sapeva cosa avremmo trovato lassù, in quel Paese così lontano.
Milano-Basilea-Calais-Dover-Londra- Victoria Station. Al pomeriggio del 30, dopo essere discesi dal treno, fummo radunati presso il Royal Hotel, Woburn Place. Cenammo, e la mattina seguente, dopo il classico (allora!) breakfast britannico –bacon and eggs- fummo sparpagliati per la terra d’Albione. Giovedì 31, la mattina, da Eusten Station, Lucio ed io prendemmo il treno per il Galles del Nord, destinazione Llandudno. Fu un viaggio di diverse ore (non indossate camicie bianche!), e mentre io guardavo in silenzio il panorama, il mio compagno conversava – addirittura – con i passeggeri del nostro scompartimento. Istintivamente, tirai un sospiro di sollievo: non ero solo né in balìa della lingua. E fu così che Lucio diventò un punto di riferimento, e di salvataggio, quotidiano per i 4 mesi della nostra permanenza gallese, e mi fu non solo amico, ma anche fratello se non angelo custode.
Scendemmo nella cittadina verso le 18; ci aspettava la figlia del proprietario dell’Empire Hotel, mr. Maddock, che ci indicò la dependance, proprio attaccata ad un lato dell’albergo, e da dove avremmo preso servizio la mattina dopo. Infatti, venerdì 1 giugno mi ritrovi nella sala da pranzo dell’hotel, e feci conoscenza dello staff: maitre, Mario, romano; poi, Gerardo di Napoli, Enrico triestino, Vito genovese e noi due. Ero in carrozza, e addio alle raccomandazioni fatte prima di partire: non fate gli sciocchi! Fatevi amici inglesi. Detto e non fatto. Una curiosità: a parte Lucio, non ricordo assolutamente i loro cognomi.
La cittadina di Llandudno (chiesa o comunità di S.Tudno), gente e lingua celtiche, è adagiata tra due promontori, Great Orme a nord-ovest, e Little Orme a sud-est (Orme come verme o testa di drago), con due spiagge: North Shore, con una bella baia ed una lunga Promenade, costeggiata da alberghi e affollata di turisti; e quella West, pericolosa perché alla destra della foce del fiume Conway, e il cui fondo è melmoso e il bagno proibito. Nei mesi invernali, la clientela è prevalentemente matura; in estate, famiglie giovani e tanti (tante) teen-agers in gita scolastica. Comunque, il turismo balneare britannico non è come il nostro, salvo Brighton, nel quale la spiaggia e il mare ne sono il caposaldo. Lassù, la passeggiata sulla sabbia dei bambini sugli asinelli, i pontili (ora anche da noi) pieni di giochi di tutti i generi e, proprio qui, la natura selvaggia di Great Orme, con kilometri di sentieri e vista mozzafiato sul mar d’Irlanda e sui monti della Snowdonia.
E fu proprio qui che Lewis Carroll, in vacanza sulla spiaggia ovest, scrisse “Alice nel Paese delle Meraviglie”; per questo, la cittadina è cosparsa di statue di legno tratte dall’omonimo film hollywoodiano, e “legate” tra di loro da 55 impronte in bronzo del “Bianconiglio”. Questo è, oggi, la città, lontana parente del mio tirocinio, grazie al fortissimo cambiamento anche delle strutture alberghiere. Nel 1962 l’Empire Hotel era dotato di 41 camere, di cui 21 con bagno; oggi, possiede due sale da pranzo con una piscina interna proprio sotto una di esse, e prezzi vertiginosi. Ai miei tempi, la sua categoria era di 1.a moderata rispetto ai 5 di categoria superiore, ma gli ospiti mi sembrarono di una buona qualità e di un’educazione e rispetto superiori.
Tutta questa storia, minima, è partita proprio da qui. Orari di servizio moto anticipati rispetto ai nostri, e questo ci concedeva la possibilità di avere molto tempo libero. Finito il servizio, circa un’ora e mezza, ci cambiavamo e scendevamo giù in Mostyn Street, il viale della vita turistica, piena di pubs, cinema, negozi vari, Marks & Spencer e una ball-room & restaurant, “Poyne’s”, che diverrà il ritrovo del nostro staff con le ragazze. Si respirava, in ogni momento, a pieni polmoni, una libertà che mai più assaporerò. Fare il cameriere, waiter, non era essere di categoria inferiore, anche se gli inglesi non lo facevano, ma, tolta la giacchetta bianca, diventavi, automaticamente, un cittadino normale come tutti. E allora, mi ubriacai di questa realtà, che mi permise di vivere, lavorare, uscire e divertirmi come mai prima e né – purtroppo – dopo.
Ero la mascotte per l’età dello staff di sala, ed ebbi assegnata la cameretta con Lucio; mi sentivo bene, nonostante la lotta continua con la lingua e la sua pronuncia, che non m’impedirono di fare conoscenze. Mostyn Street, il viale principale, lo percorsi – da solo e con Lucio – due, tre volte al giorno, e anche se l’aspetto della città era tardo-vittoriana, camminavo con leggerezza ed una gioia enorme. Questo mondo mi catturò e, a distanza di decenni, la sua impronta continua a dilatarsi dentro di me. E fu tempo anche di ragazze. La “fama” del latin lover era nota anche lassù; tutti noi, meno il maitre Mario, ci davamo appuntamento proprio al Payne’s due-tre volte alla settimana con le ragazze. Diventammo famosi tanto che la direzione ci tenne prenotato il tavolo per tutta la stagione: “For italians only”!.
Anch’io mi buttai, spinto da Gerardo e protetto da Lucio, incontrai Annette, una ragazzina in vacanza, la cui storia fu intensa ma brevissima; dopo 3-4 giorni, se ne ritornò a casa, e non l’ho più rivista. Un grande dispiacere. Dopo pochi giorni, mi presentarono un’altra ragazza, pura gallese, di nome Gaynor (si pronuncia Gheina), e fu a questo punto che trascorsi i rimanenti 3 mesi come una bella vacanza, le cui giornate avevano il lieve contrattempo del servizio; il resto, era solo pura felicità, curiosità, soddisfazioni, indipendenza. Eppure, non era caldo; lingua, questa ribelle; il mare, freddo e tendente allo scuro; il cielo di un azzurro pallido, e la pioggia, come di regola nella Britannia: ma, never mind, non importa.
Sulla Promenade, lunga 2 miglia, si esibiva Alfredo, un cameriere di Napoli, che cantava il repertorio delle canzoni partenopee riscuotendo un bel successo. Caro, carissimo Alfredo, e il suo saluto: “Sempre fresco!”, ma la nebbia è diventata fitta. C’era anche Danny, il lavapiatti irlandese, che cantava proprio al Payne’s, e la cui voce amabile, ma prediligeva scommesse e birra. E tanto, tanto altro, come il campo di calcio, dove m’invitarono per un provino …
Lunedì 24 settembre 1962, Lucio ed io ci ritrovammo nella stessa stazioncina, rimontammo sul treno per ripercorrere lo stesso tragitto dell’andata. Londra, traghetto, Francia. Mercoledì 26 settembre scesi a Montecatini, ma non ricordo nella dei 2 giorni di questo ritorno, proprio nulla. Ero confuso: troppe emozioni inaspettate, e un mondo diverso, lontanissimo dal mio quotidiano. Non avendo capito, non avevo rielaborato: ero troppo “teen-ager”. Misi da parte. Dimenticai. Nel 1965 conclusi il mio percorso all’Alberghiera, un diploma che mai avrei sfruttato e che mi era costato tanto sudore. Iniziai un nuovo percorso di studio, e tutto questo non solo mi tenne molto impegnato, ma il mio orizzonte non prevedeva ritorni al passato. Fu una cartolina illustrata che sollevò leggermente il sipario sul Galles. Lucio mi mandava i saluti, e ne fui sorpreso perché avevo perso le tracce anche di lui, scordato come i compagni e i professori dell’Istituto.
Che strano! Per me il Galles era un capitolo chiuso, e lui, invece, aveva deciso di dare una svolta decisiva alla sua vita. Si era sposato con Yolanda, l’amica di Gaynor, lasciando Lucca e la mamma per iniziare un nuovo percorso. Alla cartolina seguì una lettera, e fu a questo punto che la lunga estate del ’62 rifece capolino dentro di me. La nostra corrispondenza si fece sempre più fitta tanto da darci appuntamenti per rivederci, per parlare un po’ del nostro passato, per qualche idea per il futuro. L’occasione si presentò quando sposai con Bruna, e decidemmo di fare il viaggio di nozze su, a Llandudno, da Lucio. C’incontrammo nel suo ristorantino, Penrhos Cafe, e fu festa, veramente una grossa festa, ritrovarci dopo 15 anni! Poi, furono Lucio e Yo a scendere qui da noi, e sempre ci richiedevano, giustamente, di ricambiare. Ma fu, ancora, una lunga attesa.
Solo nel 2002, dopo 25 anni, Bruna e io decidemmo di ritornare su da loro, e da subito, quella lontana esperienza riaffiorò prepotentemente, dopo 40 anni. La lunga stagione là trascorsa pretese i suoi diritti perché recuperassi e rispolverassi quelle emozioni cercando di ricordare quanto più fosse possibile tutto ciò che mi accadde in quei 4 mesi. Purtroppo, Lucio non mi fu d’aiuto, e capii che lui non guardava più indietro: controllava l’oggi, ma era sempre proiettato nel domani. La mia città non c’era più. Irriconoscibile l’Empire, via il Payne’s, sparito tutto lo staff e, con lui, anche Alfredo e, addirittura, il campo di calcio! Gaynor si era sposata (con un gallese), madre e nonna. Mi ripromisi d’impormi, col mio amico, la prossima volta per poter soddisfare le mie mille domande in modo da affrontare il pellegrinaggio in pace con me stesso.
Tutto, però, precipitò. Il 24 ottobre 2019, Lucio staccò il biglietto di sola andata, e mi voglio illudere, proprio dalla “nostra” stazioncina, allora immersa nel vapore di quel treno a carbone. Oltre al bellissimo, meraviglioso sentimento d’amicizia nato nel ’62, mi ha lasciato un vuoto enorme, un abisso incolmabile, che non sono in grado di tradurlo in parole, e questo non fa che aumentarne il dolore. Così è finita questa modesta storia, vissuta da persone semplici, normali, in un luogo, però, speciale che, curiosamente ha legato un collodese, patria di “Pinocchio” a Llandudno, patria di “Alice nel Paese delle Meraviglie”: il destino? E’ rimasto, però, un grande dilemma: ritornerò lassù un’altra volta?
Ora, tutto è sospeso, silente, fuori di me. E’ invece, tumultuoso tutto , dentro di me, e non so come appagherò questo bruciante desiderio di rivivere ancora di persona i miei 16 anni, per nascondere un pochino la vecchiaia, passeggiando di nuovo per le strade della mia amatissima Llandudno, Galles del Nord Gran Bretagna.
P.S. Ah, dimenticavo: e il Dragone Rosso? Nella bandiera del popolo gallese, composta da due bande orizzontali, una bianca in alto, e una verde in basso, al centro si staglia quel simbolo, un Dragone Rosso. Diversi anni fa, Lucio (sempre lui!), me ne regalò una, che fa bella mostra di sé nel mio studiolo, e che garrisce, da sempre, nel mio cuore.