Roberto Soffici è un grande artista autore e interprete di canzoni che spaziano tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Ottanta. Ne siamo consapevoli perchè il suo repertorio propone dei brani ancora piacevoli da ascoltare. Lo ringraziamo vivamente per averci consentito di parlare un po’ con lui.

D. Maestro Soffici, quali sono state le circostanze che determinarono l’inizio della sua carriera con l’opportunità della presenza di suo padre il musicista Piero Soffici?

R. «Ho trascorso i miei anni acconto a mio padre, un grande musicista, autore e arrangiatore, di conseguenza ho vissuto in mezzo alla musica da sempre: è stato automatico per me entrare in quel mondo».

D. Quanto è stata determinante la sua esperienza musicale per la sua formazione artistica?

R. «Ho studiato al Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano: mentre frequentavo gli studi classici a metà anni ’60 sono stato folgorato dai Beatles, che considero il vero cambiamento epocale della musica pop. Da quel momento ho iniziato a suonare con vari gruppi in diversi locali, prima ancora di scoprire la mia vena d’autore».

D. Come comprendere una attitudine alla musica iniziando a praticarla e capire che può essere il proprio mestiere?

R. «Il talento, senza quello non si va da nessuna parte!La creazione di un pezzo è qualcosa che ti nasce dentro e arriva spontanea per poterla scrivere».

D. Quali sono gli aspetti e gli anni migliori della sua carriera che meritano di essere evidenziati?

R. «Considero il periodo che va dalla fine degli anni ’60 fino alla metà degli anni ’80 determinante e il più prolifico della mia carriera. Prima di cantare io stesso le mie canzoni, ho iniziato come autore ed ho avuto la fortuna di lavorare con i grandi nomi della musica leggera».

D. Come nacque la canzone “All’improvviso l’incoscienza” e cosa la sorprende nel riascoltarla?

R. «Ancora oggi considero “All’improvviso l’incoscienza” un pezzo evergreen e lo riascolto sempre volentieri, come tutte le mie canzoni è partita dal cuore».

D. Cosa ricorda di quel Festival di Sanremo del 1982?

R. «Principalmente ricordo quel Sanremo per aver conosciuto due grandi artisti, Daryl Hall e John Oates: mi hanno fermato in albergo e mi hanno fatto i complimenti per “Strano momento” dicendomi che era il pezzo più bello del Festival… Beh è stata una grande soddisfazione, anche se poi non mi sono piazzato benissimo, ho la presunzione di pensare che comunque quella era una grande canzone, una delle mie che mi piacciono di più».

D. Se dovesse presentarsi ai giovani di oggi cosa direbbe di lei e della sua carriera?

R. «Non mi rispecchio nel mondo musicale attuale, a parte poche eccezioni, lo considero molto povero di contenuti e di preparazione artistica. Consiglierei ai giovani di dimenticarsi dell’autotune (ed altro…!!) e ascoltare bene i grandi della musica mondiale degli anni ’70 perché avrebbero molto da imparare sia a livello di voci, arrangiamenti e suoni, dai grandi gruppi e grandi artisti di quegli anni: da Steve Wonder, agli Eagles… Qui mi fermo perché sarebbero troppi da menzionare».

D. La sua firma accompagna più canzoni interpretate da grandi artisti come Mina, Adriano Celentano e i Nomadi. Ritiene che abbiano messaggi attuali?

R. «Il messaggio più attuale di quelle canzoni sono le melodie e le atmosfere che purtroppo oggi si sentono raramente».

D. Se avesse la possibilità di ripercorrere la sua carriera artistica apporterebbe dei cambiamenti?

R. «Indubbiamente se mi guardo indietro errori ne ho fatti anch’io, come tutti del resto… Con la maturità di oggi e sulla scia dell’esperienza acquisita certamente modificherei alcune cose della mia vita lavorativa passata».