Negli anni Ottanta il calcio italiano poteva vantare la presenza di alcuni dei più qualificati e celebri giocatori del mondo: da Falcão a Platini, da Dirceu a Zico, da Maradona a Rummenigge, da van Basten a Matthäus, eccetera.
Nell’estate del 1984 l’Atalanta, neo promossa in serie A, si aggiudicò dal Benfica il ventiquattrenne svedese Glenn Peter Strömberg, centrocampista assai dotato che si rivelerà un’icona atalantina. Infatti con gli orobici disputò otto campionati consecutivi e con la fascia da capitano concluse la carriera nel maggio 1992.
D. Strömberg, con quali sentimenti giunse in Italia nell’estate 1984?
R. «Giocavo in Portogallo, nella squadra del Benfica, e in quegli anni non erano tantissimi i calciatori che si spostavano dalla propria nazione per giocare all’estero. Era una grande avventura lasciare il proprio paese e scoprire nuove cose. In Portogallo stavo bene e la squadra era davvero grande. Però l’Italia era il paese in cui allora ogni calciatore del mondo desiderava andare a giocare. Mi giunse la possibilità di giocare in Italia perché fui richiesto sia dall’Atalanta che dal Como. Scelsi l’Atalanta perché aveva una bella storia calcistica».
D. Quali sono i suoi goal segnati in Italia che lei considera i più belli?
R. «Non li ricordo tutti… Però quello all’Avellino il 25 novembre 1984 lo ricordo bene perché fu il primo goal che realizzai nello stadio di Bergamo. Ricordo bene anche il goal realizzato nell’estate 1984 al Taranto durante la Coppa Italia perché fu il primo goal della stagione 1984/85».
D. L’Atalanta dei suoi anni, soprattutto con gli allenatori Nedo Sonetti prima ed Emiliano Mondonico dopo, fu protagonista di vittorie straordinarie. Quale ricorda con particolare piacere?
R. «Mi ricordo quando battemmo la Juventus a Torino con goal di Caniggia. Al termine del campionato 1986/87 retrocedemmo in serie B. Però l’anno dopo risalimmo immediatamente in serie A ed eravamo molto pericolosi anche per le grandi squadre».
D. Chi erano, secondo lei, i suoi avversari più forti che ha incontrato in Italia?
R. «Maradona era “unico” come giocatore. Non ho mai visto altri come lui. Anche negli ultimi anni pur avendo qualche chilogrammo in più era fantastico vederlo giocare. Con la palla riusciva a fare quello che voleva. Era un fenomeno. C’erano altri, per esempio Marco van Basten che era un talento fuori del normale. Peccato che a causa di un infortunio dovette smettere presto. Anche van Basten è stato un giocatore che mi piaceva tantissimo».
D. Durante gli anni a Bergamo più squadre erano interessate ad acquistarla. Perchè rimase sempre nell’Atalanta?
R. «Al termine del campionato 1986/87 retrocedemmo sfortunatamente in serie B; Eriksson, allora direttore tecnico della Roma, mi voleva nella sua squadra. Lui mi conosceva già perché mi aveva fatto esordire nella prima squadra IFK Göteborg quando avevo 19 anni e poi mi volle nel Benfica. Quell’anno che retrocedemmo in serie B ebbi molte contestazioni dai tifosi dell’Atalanta. Essendo uno dei giocatori più in vista, quando le cose andavano bene avevo più rose e fiori rispetto agli altri, quando invece le cose andavano male ero il più bacchettato come la colpa fosse tutta mia; ma non era così; c’è sempre una via di mezzo. Disputammo il campionato di serie B 1987/88 con il nuovo allenatore Emiliano Mondonico. Sia Mondonico sia la squadra mi esortarono a rimanere dicendomi di trattenermi un anno perché saremmo risaliti in serie A. In quell’anno ricordo ero vicino ad essere trasferito. Avevano un po’ di fiducia in me. Allora firmai un contratto soltanto di un anno restando all’Atalanta. In quell’anno giungemmo in semifinale in Coppa delle Coppe e conquistammo la serie A. A quel punto decisi di rimare e che da lì non mi sarei più spostato. Lo dico con il cuore: Bergamo mi ha veramente adottato e io qui mi sento a casa mia».
D. Con la maglia atalantina ha realizzato tutti i suoi sogni calcistici?
R. «Giocando in Italia ogni domenica potevi giocare contro un giocatore tra i più forti del mondo. Ricordo quando con l’Atalanta disputammo la partita contro l’Udinese a Udine e vidi Zico. Era un sogno. Era un sogno giocare tutte le domeniche incontrando i migliori calciatori del mondo. Io non ero più forte di loro però riuscivo ad essere lì con loro. Negli ultimi anni che ho giocato nell’Atalanta ho avvertito il calore di tutti i tifosi e di tutta la città di Bergamo. Poi a Bergamo ho realizzato la mia famiglia: la mia moglie è italiana, ho avute tre figli e oggi ho sei nipoti. In Italia sto benissimo anche se il mio lavoro quale commentatore calcistico per la televisione svedese mi induce a effettuare circa centocinquanta voli all’anno per l’Europa».
D. Ci sono degli aspetti che rendono similare l’Atalanta di oggi a quella dei suoi anni?
R. «L’Atalanta di oggi è così bella che nessuno poteva immaginarla. Poteva essere una favola ma adesso è una realtà. Dopo il covid che ha colpito molto Bergamo la conquista della Europa League è stata importante. Ha portato il sorriso al popolo di Bergamo dopo due anni difficili. Anche i calciatori dell’Atalanta di oggi sanno, come lo sapevamo anche noi, che tutto doveva funzionare».