Home Varie da Pescia Claudio Stefanelli PALAGIO E DINTORNI. Le pietre parlano | Claudio Stefanelli

PALAGIO E DINTORNI. Le pietre parlano | Claudio Stefanelli

La conoscenza storica ed una attenta osservazione dei particolari che ci circondano possono darci concrete informazioni a conferma del nostro passato.

Nei dintorni del Palagio la prima osservazione è rivolta alla Chiesa di S. Stefano menzionata per la prima volta poco dopo l’anno 1000. Nel XIV secolo vengano effettuati importanti lavori di adeguamento architettonico, ribaltando completamente il suo assetto in quanto originariamente aveva l’ingresso rivolto ad Ovest, come consuetudine per le chiese medievali.  E’ facile intuire che la sua collocazione fu scelta per servire una popolazione la maggior parte residente nella prospiciente collina, mentre pian piano si sviluppava l’abitato sul lungofiume. Cosa resta a testimonianza di ciò? Dell’antica facciata una parte è ancora visibile insieme all’impronta del rosone, su questa viene poi addossato il possente campanile e la sagrestia. Nella parte interna, nell’attuale controfacciata si notano resti dell’abside.

Con un po’ di fantasia possiamo immaginare l’assetto urbano antico se escludiamo le costruzioni che col tempo si sono appoggiate l’una sull’altra sugli edifici più antichi. La piazza del Palagio doveva essere tutt’una con il sagrato della chiesa, mentre di fronte le scorreva scoperto il rio, che proseguiva rasente il lato sud della chiesa fino a confluire poi nel Pescia.

Il Palagio ha subito durante il corso dei secoli numerose trasformazioni per adeguarlo alle molteplici funzioni assegnate. Il sottopasso stradale realizzato nel XIX secolo ha tagliato in due il piano terra anche se, questo settore rivolto a sud, evidenzia un apparato costruttivo riadattato o con molta probabilità dovuto ad ampliamenti rispetto all’originario palazzo del Podestà. Quindi precedentemente il percorso stradale si snodava fra il lato sud del palazzo e il rio. L’antico selciato è ancora visibile nel magazzino annesso alla Gipsoteca da tempo diroccato.

Garage privato lato sinistro del sottopasso con stemma trecentesco.

Notizie storiche ci riferiscono che in Piazza del Palagio esisteva un pozzo denominato pozzo del leone. Sicuramente in città non era l’unico, abbiamo notizie del ritrovamento all’inizio del ‘900 di un grande pozzo nella Ruga degli Orlandi che era coperto da un lastrone in pietra. Questi garantivano l’approvvigionamento di acqua in caso di assedio nel periodo in cui la città era fortificata. Successivamente gran parte dei palazzi cittadini che pian piano venivano edificati durante gli ampliamenti sulla sponda destra del fiume, avevano internamente il pozzo privato e si poteva attingere acqua fino agli ultimi piani in quanto il foro cilindrico del pozzo si apriva sui vari pianerottoli. Questa pratica ebbe termine con una ordinanza del Comune per questioni igieniche dopo il proliferarsi di epidemie di colera ecc. Anche il Palazzo Galeotti (sede del Museo Civico) aveva il suo pozzo ora murato ma quello del Palagio è ancora visibile nella piazza, nascosto da un chiusino in pietra serena. Ma il leone dov’è? Come in molte città toscane, si può pensare che il leone fosse il così detto marzocco simbolo araldico del dominio fiorentino rappresentato da un leone seduto che sostiene lo scudo gigliato. Attualmente sono visibili due leoni, uno piccolo in pietra serena, ben conosciuto, essendo visibile nell’ingresso del palazzo del Vicario; l’altro si trova murato, sotto gronda, nella parete nord di S. Stefano. Quest’ultimo reperto è mutilo essendo visibile solo la criniera, il resto è inglobato nel muro. Speriamo che in un prossimo futuro possa essere rimosso per verificarne la fattura e la materia che sembrerebbe pietra serena e in stile duecentesco pertanto troppo antico per il marzocco.  

Il ponticello sul rio S. Stefano, sulla strada che sale verso la casa di riposo, attraverso le foto che seguono si può notare in primo piano l’ampliamento stradale eseguito nel ‘900 mentre l’arco successivo, più stretto, appartiene ai resti delle antiche mura e le scanalature sui due lati ora tamponate e in alto l’interruzione dell’arco servivano allo scorrimento della feritoia che veniva calata in caso di assedio, come quello che subì nel 1363 dai pisani proprio in quel luogo. 

Il recente straripamento del Rio di Collecchio ha messo in evidenza il selciato che a fianco del rio conduceva alla antica torre delle mura cittadine, ormai ridotta a pochi resti. Il selciato è visibile solo nella parte iniziale attraverso il cancello che ne delimita la proprietà privata. Oltre, il percorso lastricato è ancora presente seppur coperto da detriti.  Il rio di Collecchio è in totale abbandono (come del resto tutti gli altri). E’ assurdo che non vi siano regolari controlli e interventi da parte delle autorità che sovrintendono ai corsi d’acqua che per legge appartengono al demanio pubblico.

Nella foto i resti della torretta sono sommersi dalla vegetazione sulla destra in alto, mentre attraverso l’apertura nel centro del rudere della medesima scorreva l’acqua del rio che però cadeva in un pozzo profondo. Questo era appositamente realizzato per accogliere i detriti che periodicamente venivano rimossi per evitare ostruzioni nei cunicoli sotterranei del centro abitato. Questa era, ed è tuttora, la prassi quando si doveva intubare un corso d’acqua. Quanti degli addetti ai lavori si sono preoccupati di verificare lo stato dei corsi d’acqua che si immettono nel sottosuolo cittadino? Quando i gorili sotterranei saranno colmi di detriti cosa si dovrà fare? Numerosi corsi d’acqua (rii) circondano Pescia ed anche questi possono essere una risorsa.