È di pochi giorni fa un articolo de “Il Sole 24ore” relativo agli esiti dell’Esame di Stato di quest’anno. Leggendo i risultati emerge una forbice tra le scuole del Nord e quelle del Sud; peccato che tra i dati non ci sia quello della Toscana, ho provato a cercarli in rete ma non ho trovato nulla.
Nelle regioni meridionali sono molti di più, in percentuale, gli studenti maturati con il massimo dei voti. Per fare un esempio, in Lombardia, Trentino Alto Adige, Veneto, i maturati con 100 e lode sono poco più dell’1%, mentre le percentuali salgono in Calabria (5,4%), Puglia (5,1%), Sicilia (4,2%).

Guardando alle varie tipologie di scuole, sono i licei a registrare medie di voto più alte: il 9,1% degli studenti si è diplomato con 100 e il 3,9% con 100 e lode. Nei professionali e nei tecnici la lode è stata assegnata rispettivamente all’1,5% e allo 0,6% degli studenti, e i voti dei diplomati sono stati mediamente più bassi e vicini al minimo, 60/100.

Sono dati che si prestano a una lettura maliziosa in cui non voglio cadere; sarebbe facile infatti attribuire a un più basso livello delle competenze richieste e delle personalità coinvolte l’alto numero di 100 e 100 e lode che si registra in alcune regioni. Sarebbe facile e figlio di un pregiudizio radicato, che voglio provare a sfatare. E se invece i diplomandi delle regioni del Sud avessero più fame di arrivare e più ambizione di quelli delle regioni del Nord? Se avessero ancora verso la scuola quel rispetto e quella considerazione che ai miei tempi era normale possedere ma oggi sono sempre più rari negli studenti? Io percepisco in molti di loro un certo grado di sfiducia; la scuola è un passo obbligato nel loro percorso di crescita, eppure le attribuiscono talvolta un peso limitato nella loro vita, come se credessero poco al valore formativo che ha o dovrebbe avere.

Magari in regioni dove c’è meno lavoro e la disoccupazione è una prospettiva tutt’altro che remota la scuola appare ancora come un veicolo di promozione sociale, e in qualche caso di riscatto; e questo potrebbe spiegare come mai vi vengano investite tante energie e i risultati, alla fine, arrivino. Il Nord più ricco, insomma, potrebbe generare studenti meno motivati e meno preoccupati del loro futuro, a cui basti semplicemente uscire da scuola, non importa con quale valutazione.

Oppure si potrebbero leggere i dati sugli esiti dell’esame di Stato da un altro punto di vista; magari gli insegnanti al Sud sono mediamente più motivanti, anche perché spesso si tratta di professionisti che sono rimasti lontano da casa per molti anni, e quando vi fanno ritorno probabilmente lo fanno con l’entusiasmo dei novizi. Il fenomeno dell’emigrazione di docenti da Sud a Nord è un dato allarmante: un articolo reperito sul web relativo allo scorso anno scolastico afferma che su 17.000 domande di mobilità presentate da docenti che volevano tornare al Sud nelle regioni di provenienza solo un migliaio sono state accettate. Per forza quando un docente ritorna al suo paese dopo tanti anni fuori si sente carico di un’energia che magari, a mille chilometri di distanza, era annacquata da preoccupazioni, nostalgia di casa e lontananza dai familiari.

Io non ho mai insegnato in altre regioni; l’istituto più lontano in cui abbia lavorato tanti anni fa si trova a Larciano. Sono tra i fortunati che bene o male non hanno dovuto compiere scelte drastiche per poter entrare a scuola. Non conosco la realtà delle scuole del Sud, anche se ho diversi colleghi che me ne parlano trovandovi del buono e del cattivo, come accade in ogni zona del paese. Più che un fattore geografico ne farei una questione sociale; negli istituti che si trovano in periferie degradate o quartieri difficili immagino sia già un successo portarceli, gli studenti alla fine del quinto anno. Se poi qualcuno si diploma col massimo dei voti la soddisfazione, per lui e per i suoi insegnanti, deve essere senz’altro enorme, e ripagare tutti gli sforzi compiuti affinché un certo progetto di futuro si sia potuto realizzare.

Stefania Berti