Due notizie si rincorrono in questi giorni in cui l’estate sembra finalmente arrivata e la scuola dovrebbe essere l’ultimo dei pensieri.
La prima riguarda una circolare di pochi giorni fa emessa dal Ministero dell’Istruzione e del Merito; il ministro Valditara ha annunciato che a partire dall’anno scolastico 2024/2025 i cellulari saranno banditi dalle classi delle scuole dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, anche per le attività educative e didattiche.
La seconda viene dal Regno Unito, dove, dal febbraio scorso, i dispositivi mobili sono vietati tra i banchi per tutti i minori di 16 anni; una scuola prestigiosa come iI collegio maschile di Eton ha deciso di fornire agli alunni il modello Nokia 3210, popolare nei primi anni 2000, dove gli studenti dovranno obbligatoriamente inserire le loro SIM.
I dispositivi non hanno né accesso a internet né app; permettono solo chiamate e messaggi di testo, quindi gli studenti resteranno reperibili per eventuali chiamate urgenti da casa (che poi, anche per quelle, ci sarebbero le Segreterie e i numeri fissi…), ma non potranno usare il cellulare per giocare e distrarsi.
Entrambe le iniziative nascono dalle crescenti preoccupazioni riguardo l’impatto degli smartphone sulla salute mentale e sul benessere dei giovani, e mirano a favorire il ritorno a forme di comunicazione più dirette e essenziali; la socializzazione, è sotto gli occhi di tutti i docenti, è fortemente compromessa dall’uso dei cellulari in quelli che dovrebbero essere gli spazi ludici a scuola, come ricreazione, cambio ora ecc.; mentre un tempo si usciva nel corridoio per chiacchierare, si andava a trovare l’amico o la ragazza in un’altra aula, adesso l’unica preoccupazione è tirar fuori lo smartphone da sotto il banco, dove spesso cadono l’occhio e la mano anche durante le lezioni, e giocare al gioco del momento; l’assurdità, chiara ai nostri occhi ma non ai loro, è che spesso i ragazzi giocano col compagno di banco a un metro di distanza, col quale non scambiano però mezza parola.
La legge britannica si è dunque mostrata più drastica, e probabilmente si rivelerà più efficace, della circolare di Valditara che entrerà in funzione il prossimo anno senza occuparsi della fascia di età più interessata dall’abuso degli smartphone; pochi bambini possiedono infatti un cellulare o lo portano a scuola, mentre probabilmente non esiste adolescente in Italia che non ne abbia uno connesso a Internet e non lo usi per molte ore al giorno.
È quindi un’iniziativa che non aggredisce il problema ma cerca di scontentare meno persone possibile; come mettere una piccola toppa a un vaso che perde acqua da tutte le parti. Due sono i documenti che avrebbero dovuto spingere il ministro a misure più restrittive: il Rapporto Unesco 2023, che ha messo in luce il legame negativo tra l’uso eccessivo delle TIC (tecnologie dell’informazione e della comunicazione) e il rendimento degli studenti, e il Rapporto Ocse, che ha evidenziato come gli smartphone siano fonte di distrazione per gli studenti che lo usano con maggior frequenza a scuola, facendo diminuire il livello di attenzione in particolare durante le lezioni di matematica.
In altre parole, il rendimento medio degli studenti in Italia sta progressivamente diminuendo, specie nelle materie che richiedono logica e ragionamento, e il paradosso è che succede proprio a causa di quelle tecnologie che dovevano migliorarlo; è un fatto drammatico e ingiustamente sottovalutato dai nostri politici, dal momento che i nostri laureati in materie scientifiche sono conosciuti in tutto il mondo per professionalità e preparazione, ed è un patrimonio che non deve assolutamente essere intaccato.
Come sempre non è la tecnologia in sé il problema, ma l’uso che se ne fa; in pratica il cellulare a scuola serve quasi soltanto per giocare, e poco per scopi didattici, se non per cercare qualche informazione su Google o guardare il registro elettronico, altro dispositivo che si sta rivelando in certi casi un clamoroso boomerang.
Ma questa è un’altra storia, da raccontare quando settembre si avvicinerà e le temperature, forse, si faranno più fresche.
Stefania Berti