Agli ottavi di finale la Nazionale italiana di calcio ha concluso il Campionato europeo 2024.
A niente sono serviti i cambiamenti dei moduli effettuati dal c.t. Luciano Spalletti e né le parate di Gianluigi Donnarumma.
Tanto si è detto e tanto si è scritto, ma gli azzurri sono apparsi assai deboli e poco aggressivi in una competizione con grandi giocatori.
«Per ricostruire una Nazionale occorre investire sui vivai giovanili». Sono parole di Mario Ansaldi, ex centrocampista, tra l’altro, di Pistoiese, Lucchese, Cesena ed Empoli.

D. Ansaldi, dove nasce questa eliminazione?
R. «Purtroppo è andata così… Non pensavano assolutamente che la cosa procedesse su questo percorso fino all’eleminazione. Luciano Spalletti ha fatto delle scelte sulle quali si voleva basare e sulle quali avrebbe voluto avere anche delle certezze, pur non avendo avuto tanto tempo per poter creare una squadra forte, compatta e una metodologia di gioco, come era abitato a fare in un club lavorandoci tutto l’anno. In quel caso i giocatori hanno tutto il tempo di immagazzinare nei miglior modi possibili.
Luciano, ripeto, pensava di agire in campo come faceva con le squadre allenate durante l’arco della stagione e purtroppo non c’è riuscito». 

D. Colpa del campionato italiano che sforna pochi talenti?
R. «Io ho avuto la fortuna-bravura di giungere a giocare in serie A e quando era la vera serie A, con soltanto tre giocatori stranieri. In quel tempo gli stranieri che giocavano in Italia erano i migliori a livello mondiale. La nostra serie A era la massima espressione del calcio mondiale e quasi tutti i giocatori più forti venivano a giocare in Italia: Maradona, Careca, Van Basten, Gullit, Matthäus, Brehme, Klinsmann, ecc…, campioni che hanno fatto la fortuna dei club dove giocarono e delle loro nazionali. Ai miei tempi c’erano molti più atleti italiani e quindi i c.t. avevano molte più possibilità di scelta. Purtroppo siamo andati sempre verso la linea dei giocatori stranieri. Anche nei settori giovanili delle squadre di serie A e B militano molti stranieri, come se non ci fossero calciatori italiani. Poi c’è la moda dei procuratori di portare in Italia giocatori dall’estero e così i settori del calcio giovanile vanno impoverendosi …». 

D. C’è poca valorizzazione dei giovani, rispetto ad altri campionati stranieri?
R. «Decisamente sì. Se guardiamo alla Spagna, a Francia, Inghilterra, Germania, ragazzi di diciotto-diciannove anni appartengono già alle prime squadre. Alcuni ragazzi-fenomeni, come quelli del Barcellona, a 17 anni giocano nel campionato spagnolo e in Champions League; basti pensare a Lamine Yamal, che già milita nella nazionale spagnola e che avrà una carriera molto importante essendo già bravo adesso. In Spagna i giovani giocano e qui in Italia facciamo fatica a farli giocare. Tutte le squadre di serie A dovrebbero avere una seconda squadra con dei giocatori italiani. Se non si torna a lavorare sui ragazzi italiani (non è poi nemmeno giusto che certi italiani vadano a giocare all’estero) vuol dire che si sta sbagliando qualcosa… I grandi talenti italiani dobbiamo tenerli, senza cercare nelle squadre straniere. Dobbiamo valorizzare maggiormente i nostri settori giovanili perché i ragazzi validi ci sono». 

D. Spalletti è il selezionatore giusto per questa Nazionale o lui incarna meglio i panni dell’allenatore di club?
R. «Sicuramente Luciano ha dimostrato negli anni che le squadre di club le fa giocare bene. Ha ottenuto buoni risultati in Russia con lo Zenit San Pietroburgo, con la Roma e lo scorso anno ha vinto il campionato con il Napoli. Ha dimostrato di lavorare benissimo e nessuno mette in dubbio le sue qualità di allenatore. Sostanzialmente in questo Campionato europeo sperava che i suoi ragazzi riuscissero ad apprendere meglio le sue direttive e invece è andata come è andata… Però non dobbiamo mettere in discussione la bravura come tecnico di Luciano Spalletti».

 

D. Quali giocatori l’hanno più delusa in questi europei?

R. «A livello globale tanti… e non faccio nomi. Non posso dire che abbiano sbagliato preparazione a livello fisico in prossimità del Campionato europeo. Però hanno affrontato un girone difficile, con la Spagna, che è una bella nazionale e con grandissime qualità tecniche, la Croazia, che in questi ultimi tempi è giunta anche in finali di competizioni importanti, la Svizzera, una squadra solida, compatta e che sta molto bene fisicamente e con giocatori che fanno girare la palla velocemente. Se non sei messo bene in campo, non stai fisicamente bene quando gli altri fanno girare la palla velocemente, non hai i tempi giusti per l’aggressione dell’avversario su portatore di palla, arrivi in ritardo. La partita contro la Svizzera ha evidenziato che l’Italia in questo momento non aveva né le distanze giuste, né la forza fisica giusta come dovrebbe avere una squadra organizzata».  

D. Perché l’Italia gioca a ritmi così bassi?
R. «Può darsi che qualcuno non abbia reso come doveva rendere. Quando non ti rendono due-tre giocatori in ruoli importanti vengono a mancarti nel pressing, nelle scalature e così via… Poi a questi livelli si gioca sempre contro squadre nazionali assai preparate». 

D. Cosa dobbiamo fare e cosa cambiare per ricostruire una squadra vincente in vista delle qualificazioni per i prossimi mondiali?
R. «Lo ha già detto Luciano Spalletti: ci sarà da ripartire da quella base degli europei»

D. Come è cambiato il calcio negli anni rispetto a quando giocava lei?
«È cambiato tanto e sotto diversi aspetti. È cambiata la preparazione fisica, gli allenamenti settimanali, la preparazione prima dell’inizio campionato e il livello tattico. Questo cambiamento è dovuto ad alcuni allenatori che sono sulla breccia di società importanti, come per esempio Pep Guardiola, Mikel Arteta.  È cambiato quando Sacchi andò ad allenare il Milan. Nel calcio ci sono dei cicli dove ogni tanto esce fuori un allenatore che ha idee importanti e porta cambiamenti. Non che sia più bello il calcio di adesso rispetto a quello di quando giocavo io. Ai miei tempi era un calcio, uno contro uno, un calcio come fanno giocare oggi Gasperini dell’Atalanta, Palladino del Monza… Questo genere di calcio oggi viene a mancare. Col tempo siamo venuti a perdere il contatto fisico, la marcatura a uomo e non si marca più come si dovrebbe».

D. Quando vestiva la maglia del Cesena in serie A ricorda una partita indimenticabile?
R. «Mi ricordo una partita contro il Milan a San Siro del gennaio 1990. Perdemmo 3 a 0. Però a fine partita Arrigo Sacchi, allenatore del Milan, mi aspettò e mi venne incontro facendomi i complimenti per la mia prestazione. In quella partita lì devo ammettere che giocai veramente bene».