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Da Firenze a Milano, una vita nel pallone I intervista di Carlo Pellegrini

Erano gli anni Ottanta. Altri tempi. Anche il calcio era assai diverso da quello di oggi. Nel corso del campionato calcistico 1982/83, precisamente domenica 27 febbraio 1983, a Firenze la Fiorentina affrontava l’Avellino. In quella partita, che regalò goal, emozioni e che terminò 3 a 0 a favore della squadra viola, fece il suo esordio il noto difensore Stefano Carobbi.
Il diciannovenne pistoiese scese in campo nella parte finale dell’incontro. Da quel giorno invernale iniziò ufficialmente la sua grande carriera calcistica, che si concluderà nella stagione 1993-94 e che lascerà molti ricordi indelebili di grandi azioni, partite storiche e successi. 

D. Carobbi, in quel lontano 27 febbraio 1983, giorno del tuo esordio in serie A, immaginavi di percorrere una brillante carriera calcistica?
R. «Fu una gioia immensa. Francamente non pensai al futuro, ma mentre ero a centrocampo ad aspettare di entrare pensai a mio nonno Cesare, che non aveva fatto in tempo a vedermi; non era uno sportivo, ma è stato sempre fonte di ispirazione. Oltre a questo, pensai a tutti i sacrifici fatti fino a quell’istante, miei e dei miei genitori».   

D. Quale campionato disputato con la maglia della Fiorentina ricordi con particolare nostalgia?
R. «Il campionato 1988/89 con spareggio finale contro la Roma a Perugia vinto 1-0. I ricordi di quella squadra sono indelebili. Fatta di molti giovani che mettevano sudore e sacrificio in campo, chi classe sopraffina e giocatori di resistenza, Roberto Pruzzo, che vigilava il nostro cammino. Una squadra allegra e malandrina: gli scherzi erano all’ordine del giorno. E con un allenatore innovativo come Eriksson». 

D. Sette stagioni consecutive con la Fiorentina giocando a grandi livelli. Di seguito il passaggio al Milan con la vittoria di Supercoppa UEFA, Coppa Intercontinentale e Coppa dei Campioni. Al termine dell’esperienza milanista di nuovo con la maglia della Fiorentina e con la fascia da capitano. Puoi raccontarci come vivesti questi momenti importanti della tua vita sportiva?
R. «Li ho vissuti molto intensamente; i primi anni con spensieratezza poi sono iniziati degli infortuni, che francamente mi hanno bloccato su uno standard che non era il mio. Col passaggio al Milan, oltre al fatto di essere stato benissimo, ho capito cosa vuol dire vincere e come arrivarci. Far parte di quel Milan non era da tutti e la cosa mi gratificava, ma il mio sogno era svanito. Mi sarebbe molto piaciuto leggere il mio nome sull’almanacco del calcio avendo sempre militato nella Fiorentina come molti altri campioni che ammiravo, uno su tutti Giancarlo Antognoni».   

D. Nel corso della tua carriera hai giocato con numerosi campioni del calcio italiano e mondiale degli anni ’80 e ’90. Chi non potrai mai dimenticare?
R. «Ne ho avuti come compagni e come avversari. Non potrò mai dimenticare Passarella per il suo sostegno; Antognoni per la sua classe; Oriali per avermi trasmesso quanto fosse importante il rispetto; Baggio e Borgonovo che erano una sola cosa; gli Olandesi (Gullit, Rijkaard, Van Basten) e Ancelotti unici e Gianluca Vialli un grandissimo giocatore e ragazzo all’epoca».

D. Hai disputato oltre 200 partite in serie A e rivestito la maglia della Nazionale under 21 e quella della Nazionale olimpica. Quali partite rimarranno sempre nel tuo cuore?
R. «Ritorno indietro e dico lo spareggio 1988/89, bellissimo ricordo. La partita della Nazionale under 21 contro la Svezia, vincemmo grazie ad una mia azione a fine partita in un campo impraticabile; l’azione fu potente e con assist a Vialli. L’esperienza olimpica fu incredibile e indimenticabile».

D. A quale allenatore ti senti particolarmente legato e riconoscente?
R. «Non voglio essere banale, ma tutti mi hanno dato qualcosa; se però mi dici a chi penso per primo ti dico Agroppi. Grande uomo».

D. Se dovessi allenare una squadra di serie A o B, quale tuo allenatore ti ispirerebbe?
R. «Un po’ tutti. Sicuramente la tattica ferrea di Sacchi, la calma di De Sisti, Vicini e Eriksson, la passione di Bersellini e Radice e sicuramente la sincerità e schiettezza nei rapporti di Agroppi. Sarei un fenomeno!».

D. Alcuni tuoi compagni di squadra oggi sono allenatori affermati. Chi ammiri di più?
R. «Ancelotti su tutti. Ho allenato nel settore giovanile e prime squadre di serie D e seria A femminile; la costante considerazione degli addetti ai lavori era sempre la stessa (forse, anzi sicuramente perché non mi sono mai venduto): “è bravo ma è troppo buono pacato”; piaceva chi gridava e alzava la voce o altro ma soprassediamo… Vorrei rispondere adesso a questi ingegneri del calcio: Ancelotti vince perché sbraita? Caratterialmente sono identico a lui sempre lineare, mai fuori dalle righe».

                                                                                                                                    D. Se avessi la possibilità di ripetere la tua esperienza calcistica cosa non faresti
R. «Con vero dispiacere e tristezza ma con estrema sincerità non aver  rinnovato il contratto propostomi dal Milan per il forte desiderio di tornare nella Fiorentina. Per me era importante ritornare a Firenze. Una sera nella casa a Milano mi sono messo a piangere davanti ad una foto della Fiorentina in cui mi ritraeva con la fascia da capitano. Il cuore batteva viola. Ma non smetterò mai di ringraziare per chi ha deciso che facessi parte di quel gruppo. Presidente in primis. Tornare nella Fiorentina non fu una bella idea. Ho trovato grosse difficoltà nella società viola, non con Mario Cecchi Gori, persona dal cuore infinito, ma con il figlio; purtroppo non ho mai capito il perché».