« Non è così semplice come pensi tu » disse. Lo chiameremo Sergio.

« In che senso? » rispose. La chiameremo Anna.

« È che ci sono mille cose che non sai di me ».

« Ma a me non importa nulla delle tue vite precedenti ».

« Ad essere sincero, nemmeno a me. Non mi importa di come ho vissuto fino ad ora. Anzi, ne vado orgogliosamente fiero. Certo, ho saltato un fosso dopo l’altro, mi sono arrampicato su decine di alberi, cercando frutti che non c’erano; ho rincorso lepri e conigli fino a che non sentivo la fine del fiato in gola; ho scosso materassi che avevano sopra frutti deliziosi e guardato un milione di stelle che pensavo fossero lì per me, ma non erano lì per me. Ed io che ti sognavo. Ti sognavo perché sapevo che da qualche parte del mondo una come te doveva esserci per forza, se no a che serve Dio? »

« In che senso? » chiese per la seconda volta.

« Ho vissuto. E te lì non c’eri. Quando me ne stavo da solo, solo in compagnia con la lattina della Coca Cola o del tè al gelsomino, te lì non eri con me ».

« Ti prego, dimmi che non bevevi la Coca Cola o il tè al gelsomino. Di tutto il resto non mi importa poi tanto, ma ti prego, rispondimi… »

« Tranquilla. La Coca Cola solo la mattina, invece del caffè. Il tè al gelsomino, invece, da quando è morta la regina Elisabetta… »

« Non dirmi che ti piaceva lei… » 

« Certo che mi piaceva. Mi piaceva perché profumava di ordine, rigore e bellezza. Ogni volta che la vedevo io fischiavo tra me e me non l’inno inglese, che conoscono tutti, ma Rule, Britannia, che è dannatamente britannico. Mi faceva stare bene, anche se te non c’eri ».

« Mi mancava il tuo lato britannico. Lascialo, per l’amor di Dio. Vivi in una dannata repubblica ormai. Dimmi un po’… ma quanto ti sono mancata? Quanto hai voglia di me? »

« Ho… voglia… di… te. Non so perché o quanto, ma mi sei mancata… cioè ho voglia di te. 

Mi sei mancata terribilmente come il becchime ai bengalini ». 

«Senti te che paragone! Come un bengalino, anzi una bengalina! Lasciatelo dire, sei orribile! »

« Ma orribile sarai te, che ti vanti di conoscere Mozart e lo confondi tutte le volte con Bach! »

« Posso dirti una cosa? Mi hai stancata. Vorrei stare al tuo fianco, ma vedo che non ce la posso fare. Mi piaci e non poco, ma sono esausta, sfinita. Hai quella meravigliosa capacità di far perdere la pazienza anche al più santo dei santi, scusami. Non ho voglia di uno come te che preferisce i libri, gli archivi, i convegni con i tuoi amici preti o quelli che si tramutano mettendosi in abiti medioevali ».

« O da quando anche te dici “tramutano”? »

« Lo dici sempre te… Hai finito? Cosa vuoi da me? Lo sai cosa posso offrirti… Anche te non c’eri mai tutte le volte che alzavo la mano per chiedere aiuto, per dirti che ero piena e stufa della vita che facevo, degli avvocati che mi rincorrevano per strada… Te dove eri? Io, a certe condizioni, c’ero. Bastava pagarmi, dicevi. Mi conosci. Non posso perdermi tra i tuoi discorsi. Perché per me sei come il caffè d’orzo. Una volta alla settimana, non di più. Poi mi abituo piano piano, ma mi occorre del tempo. Sento scorrere i tuoi discorsi dentro di me, ma non li afferro tutti, scusami. Non lo so. Siamo stati creati per superare le soglie, e non solo quella di casa ».

« Beh, forse hai un po’ di ragione ».

« Non lo so, ma credo di sì ».

« Però ho voglia di stringerti forte ».

« Io pure ».

« Allora vieni qua ed abbracciami ».