La musica ce l’ha davvero nel sangue il celebre maestro Maurizio Fabrizio.
Il suo rapporto con il pentagramma risale agli anni dell’infanzia. Al calar degli anni Sessanta, addirittura non ancora maggiorenne si esibì al teatro La Scala e non aveva compiuto nemmeno vent’anni quando partecipò per la prima volta al Festival di Sanremo.
Le sue composizioni musicali lo accompagnano da oltre mezzo secolo, come del resto la sua notorietà accompagna noi, suoi fans.
Il suo nome, che appare in musical, colonne sonore, ecc…, occupa anche più pagine importanti della canzone italiana. Infatti ha firmato brani memorabili come Musica musica (Ornella Vanoni), Storie di tutti i giorni (Riccardo Fogli), Bravi ragazzi (Miguel Bosé), Sarà quel che sarà (Tiziana Rivale), Acquarello (Toquinho) Grande grande amore (Lena Biolcati), Almeno tu nell’universo (Mia Martini), Strano il mio destino (Giorgia), È la mia vita (Al Bano), Che fantastica storia è la vita (Antonello Venditti) ecc…
È il momento di dargli la parola.
D. Maurizio, con quali aggettivi definisci la tua ultra cinquantennale carriera e il tuo stile?
R. «Creare è la cosa più appagante e che più rende felice un essere umano. La mia vita nella musica è stata una cavalcata nella felicità totale, non ho mai considerato un lavoro comporre canzoni, musicals, opere; per questo non parlerei di carriera. È una magia che non finirà mai.
Non so se ho uno stile mio, ma senz’altro ho scritto sempre con il cuore, mai lasciandomi influenzare dalle mode del momento. Sicuramente però c’è stato a volte un richiamo ai grandi compositori, Elton John e John Lennon per il pop, Puccini per la lirica».
D. Da quando hai iniziato a comporre canzoni per artisti degli anni ’70-’80 sono trascorsi vari anni e sono cambiati tanti generi e stili musicali. Cosa è cambiato e cosa non è cambiato nella tua produzione artistica?
R. «È cambiato tutto, principalmente il fatto che per qualsiasi incisione, anche solo dei provini, bisognava ritrovarsi tutti in studio; questo faceva sì che ci fosse un continuo scambio di idee con i musicisti e con gli artisti stessi, un confronto che portava ad arricchire ogni cosa che si facesse.
Poi ci si è isolati sempre più, purtroppo.
Io ho lasciato perdere alla fine degli anni ‘90 le produzioni, non era più divertente. Ho continuato come compositore, anche per il teatro; affrontare generi diversi ha fatto bene alla creatività. Musicals, colonne sonore, opera lirica; del resto un compositore non lo è solo di canzoni, la cosa che non cambia mai è la passione e la volontà di creare qualcosa che rimanga per sempre nel cuore della gente».
D. Cosa rendono distinguibili le tue composizioni e da cosa potremmo essere sorpresi?.
«Io credo che il tratto distintivo delle mie composizioni sia dato principalmente dall’armonizzazione, a cui ho tenuto sempre tantissimo e che forse mi arriva dallo studio attento dei classici, dei miei compositori di riferimento quali Mahler o Ravel.
La musica è una continua scoperta, una continua sorpresa, l’importante è la determinazione, sempre, volta alla ricerca di nuove strade. La musica e’ infinita».
D. Hai presentato al Festival di San Remo ben 34 brani, conquistando due primi posti e tre terzi posti e dirigendo le orchestre del teatro Ariston. Cosa ricorda, in particolar modo, di queste esperienze?
R. «Per quanto riguarda la direzione d’orchestra, mi sono molto divertito.
Lavorare con i musicisti è sempre bellissimo, anche se a Sanremo non si può parlare proprio di lavoro; il direttore d’orchestra è una figura abbastanza inutile nel pop, a parte qualche caso. L’orchestra suona da sola.
Per quanto riguarda le vittorie, ricordo di averle vissute in modo molto diverso, da un anno all’altro.
Con Fogli il primo posto era nell’aria e ne parlavano tutti, con Tiziana Rivale la sorpresa fu totale.
La vera emozione l’ho provata quando ho cantato, nel ’71. Ero molto giovane ed era la mia prima esperienza importante. Portammo (cantavo con mio fratello) una canzone sbagliata e fummo eliminati. Fu il primo di molti errori, che mi sono serviti parecchio per capire cosa non andava fatto».
D. Dal cassetto delle tue composizioni, quali canzoni vorresti estrarre?
R. «Sono particolarmente legato ad una canzone che Rossana Casale interpetrò al Festival di Sanremo nel 1987 e che si chiama DESTINO. Un’altra è ROMANZO, che Riccardo Fogli cantò sempre a Sanremo nel 1996.
Ambedue riassumono tutto quello che ho cercato sempre di trasmettere con la musica. Il cuore, la verità, la raffinatezza musicale, supportata in entrambi i casi da un’armonizzazione mai scontata. E da due testi bellissimi di Guido Morra».
D. I grandi successi che hai ottenuto corrispondono anche alle più grandi emozioni che hai provato?
R. «No, non è detto. Le grandi emozioni le ho provate anche creando, provando, orchestrando cose che non hanno avuto un grande successo; di solito sono le più belle».
D. Nella tua carriera hai avuto molti rapporti collaborativi con grandi artisti, da Antonello Venditti a Eros Ramazzotti, da Angelo Branduardi a Renato Zero… Con quali sei riuscito a stabilire un legame empatico?
R. «Quasi con tutti. Però certamente con alcuni artisti c’è stata più frequentazione, più tempo passato insieme e si è creata una vera e solida amicizia. Penso a Toquinho, anche se molto lontano. Al Bano. A Rossana Casale, a Riccardo Fogli; ma l’artista con cui ho vissuto più “ avventure” è stato sicuramente Angelo Branduardi. Soprattutto perché l’ho accompagnato in tanti tour in Italia e nel mondo. Una specie di fratello maggiore. Da cui molto ho imparato».
D. Ritieni che i fans in generale comprendono la grande personalità di un artista come nel tuo caso?
R. «Al pubblico arriva la musica che doni, che è un riflesso della tua anima. Dipende poi dalla sensibilità dell’ ascoltatore capire chi ha davanti, di solito gli autori non è che abbiano un seguito però ogni tanto ho delle piacevoli sorprese».
D. Recentemente è stata rappresentata la tua prima opera lirica dal titolo Edith. Ritieni che questo tuo lavoro musicale possa trovare un giusto apprezzamento?
R. «“Edith” ha avuto un grande e confortante successo a Genova. Prevedevo sarebbe piaciuta al pubblico perché finalmente si risente la melodia in un’opera lirica moderna ed infatti così è stato; ma la sorpresa è venuta dalla critica che addirittura l’ha giudicata rivoluzionaria, per lo stesso motivo. Tale è stato l’apprezzamento che penso continuerò su questa strada. Credo che l’opera lirica sia il massimo a cui possa ambire un compositore. Ne sono felice».