«Il fallimento non è il contrario del successo, è una parte del successo”.
Questa frase, pronunciata dall’ex calciatore Zlatan Ibrahimovic, mi è tornata in mente qualche giorno fa leggendo un post sulla pagina Facebook “Professione insegnante”, dove si discuteva animatamente a proposito della correzione degli errori nelle verifiche scritte; c’è chi la considera un momento formativo, come sembra suggerire la frase del campione di calcio, e c’è chi invece la ritiene penalizzante per l’autostima degli studenti.
Al dibattito si è aggiunta la voce di una giovane insegnante di Lettere che pare sia molto conosciuta su TikTok, dove si presenta agli utenti come “prof Giorgia” (ammetto che usare le parole ”insegnante” e “Tiktok” nella stessa frase mi causa un certo disagio); ha spiegato di avere iniziato a usare la penna verde in classe per le correzioni perché così faceva il suo professore universitario Luca Serianni, uno dei più illustri linguisti italiani scomparso prematuramente in un incidente lo scorso anno. La novità non sta solo nel diverso colore, ma nella valenza della correzione: non si evidenziano soltanto gli errori o le mancanze, in verde, ma anche gli aspetti positivi di una verifica; i concetti espressi bene, gli spunti di riflessione interessanti, le idee originali.
In pratica l’obiettivo è generare negli studenti la convinzione che un errore non conduce ad un giudizio definitivo, e che gli errori si possono correggere; proprio perché fanno parte di un percorso di crescita che non è sempre facile, ma presenta anche ostacoli e momenti di difficoltà, l’errore deve essere visto come qualcosa di addirittura necessario, che ci mette alla prova. Lo hanno detto i più importanti pedagogisti, dalla Montessori a Bruner, che l’errore è un momento di crescita e la correzione e i brutti voti non sono mai punitivi, e noi insegnanti di lungo corso lo ripetiamo continuamente ai ragazzi.
Nel rapporto tra docente e studente, l’insegnante si trova in una posizione asimmetrica rispetto all’allievo; per questo deve rinunciare ad ogni forma di autoritarismo per agire in modo propositivo, e deve darsi come obiettivo quello di tirar fuori il meglio da ogni studente; se la via è (anche) quella di mandare in pensione la famigerata matita rossa e blu con cui alle elementari le maestre e i maestri ci correggevano i compiti (rosso per gli errori meno gravi, blu per quelli gravissimi) percorreremo anche questa via.
Confesso che non mi ero mai posta seriamente il problema, finora. Nel mio istituto, dove devo dire che c’è una grande sensibilità su queste tematiche, sono anni che usiamo la penna verde al posto di quella rossa; la usiamo per correggere le verifiche degli studenti con disturbi specifici dell’apprendimento (dislessia, discalculia, ecc.), per i quali l’evidenziare in rosso gli errori risulterebbe mortificante. Cosa accade spesso? Che finiamo per usare la verde con tutte le verifiche che dobbiamo correggere, per non fare distinzioni tra i ragazzi (alla fine quelli discriminati paradossalmente sarebbero quelli le cui verifiche vengono corrette in rosso).
Faccio mea culpa: a volte ho usato il fucsia, o il viola, perché li avevo a portata di mano, o perché sono colori che si vedono bene sulla pagina bianca. Ho mai ricevuto proteste per questo? Devo dire di no. Anche perché gli errori e le relative correzioni li spiego e, sorpresa, ho sempre messo in luce, anche quando non c’erano le discussioni sui social e le insegnanti tiktoker a ricordarcelo, gli aspetti positivi delle migliaia di verifiche che ho corretto in 23 anni di insegnamento.
Ho usato anche le emotion, proprio come fanno alle elementari: quelle contrariate di fronte a un congiuntivo sbagliato, quelle sorridenti accanto alle frasi interessanti o agli errori buffi (su cui i ragazzi hanno riso insieme a me, senza che la loro autostima ne risentisse minimamente).
E ora che ci ripenso, spesso quelle faccine erano scritte a penna verde.
Stefania Berti