Home TRA FINZIONE E REALTA' FABRIZIO MARI L’ombra di una donna | Fabrizio Mari

L’ombra di una donna | Fabrizio Mari

Un amico mi fermò un giorno mentre stavo passeggiando col cane. 

Era da molto tempo che non lo vedevo. Ci fermammo per salutarci, poi ci sedemmo a parlare delle cose del mondo, del papa, del nostro primo ministro e di altre amenità, non ultimo il film meraviglioso della Paola Cortellesi. 

Lui era come me lo ricordavo alle superiori al Lorenzini. Entrambi parlammo benissimo della Ciardiello, la mitologica insegnante di Storia dell’Arte. Io, seppur capra in Matematica, non dissi parolacce nei confronti della Ferrarini, e di questo meno gran vanto.   

Il mio amico faceva il Linguistico, mentre io il Biologico Sanitario. Mi dicono che cavolo di carriera abbia fatto, ma questo è tutto un altro discorso.

Subito, senza nemmeno chiedermi come stessi o come campassi, mi gettò addosso la sua storia appena terminata con una sua paesana, bellissima, a suo dire. 

Si accese una sigaretta che estrasse dalla tasca sinistra della camicia a mezze maniche. Ed ho detto tutto.

Una camicia a dire il vero piuttosto orribile, tutta righine e cerchi di vari colori che avrebbero messo in imbarazzo anche il più bravo pittore astrattista. Ma lui era così, un cuore grande ed un cervello alla buona. Ma è, nonostante tutto, uno tra i miei più cari amici. 

Messosi comodo sulla panchina cominciò a parlarmi di quell’incontro avuto alcune settimane prima con una ragazza – chiamiamola Daria – di appena quarant’anni, dalla mente, così mi disse subito, un poco disturbata, dai capelli biondi come un campo di grano appena prima di essere falciato. 

Mi disse proprio così, “una mente un poco disturbata”, sbattendo l’indice contro la sua ampia fronte.  

Non ho tanto spazio né tempo per descrivervi le cose meravigliosamente folli descritte dal mio amico riguardo a questa donna, senza alcuna offesa per le altre. 

Lui mi ha narrato, alla maniera di messer Giovanni Boccaccio, quasi ogni singola fandonia uscita da quella boccuccia di rosa. 

Avendo studiato con un prete, anche se bestemmio di tanto in tanto quando mi fanno arrabbiare, descriverò in modo succinto alcune di queste amenità uscite dalla splendida follia di questa donna che, ripeto, da quello che ho sentito, credo sia degna di essere inserita in un ampio TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio).

In primis, suo padre era stato un carabiniere, un elettricista, un farmacista, un aviatore e, non poteva certo mancare, un politico, membro di un partito ormai scomparso come lo sono le farfalle cavolaie. In soprannumero, il cognome di questa donna non era nemmeno quello conosciuto dal mio amico, bensì un altro…

Non vi tedierò per quali strani motivi ella disse di aver cambiato il proprio vero cognome, ma immaginatevi mille bugie, fandonie, desiderio di alzarsi al livello di un qualsiasi barboncino bagnato dopo un fortunale estivo ed avrete l’esatta rappresentazione di questa meravigliosa donna bugiarda amica del mio amico. 

Ma non è finita qui. 

Io, che già pensavo di averne sentite abbastanza, alzai entrambe le sopracciglia quando lui mi raccontò quello che adesso vengo sommessamente a narrarvi. 

Questa donna, normale come tutte le altre che facevano il suo lavoro, aveva il privilegio raro di venir presa nel cuore della notte da una squadra speciale dei carabinieri ed esser portata via di forza, debitamente incappucciata, in una località ovviamente segreta e naturalmente lontana da chi poteva farle del male. 

Chi avrebbe potuto farle del male? Io faccio il suo medesimo mestiere e per fortuna nessuno è mai venuto in soffitta a prelevarmi per portarmi altrove. Almeno fatemi scrivere il testamento.  

Credo che la fandonia più enorme di questa qui che il mio amico mi ha raccontato – e me lo diceva ridendo matto mentre tagliava una bella fetta di castagnaccio fatto dalla sua mamma – è stata quella del matrimonio di lei a Los Angeles con testimoni Michael Jackson e Madonna. Io sono rimasto scioccato a tanta imbecillità sparsa così come quando si semina il grano. 

Ne volete altre?

Si è spacciata come esperta architetto di interni. Ebbene, nessun architetto delle province di Pistoia e Lucca ma anche delle altre province toscane ha mai conosciuto questa amica del mio amico. Nemmeno col suo finto secondo cognome. 

Che dire?

Il mio amico, che mi conosce da oltre cinquant’anni, fa spallucce e ride scotendo la testa, perché sa come va il mondo. 

La più bella, a mio parere, è quella che mi raccontò lui stesso una sera che stavamo mangiando una pizza ad Altopascio.  

Mi disse che, trovandosi una sera insieme con lei nella sua Lancia Ypsilon, all’improvviso, quasi come fosse posseduta dal diavolo, si strappò il reggiseno roteando le orbite degli occhi mentre urlava che il suo cellulare prendeva il segnale perché i carabinieri, non si sa a quale titolo, avevano inserito al suo interno un dispositivo per raggiungerla anche in zone avverse. 

Così asserì lei. Il mio amico ci rimase secco. Ed è laureato in Fisica alla Normale di Pisa.   

Il giorno seguente si recò alla stazione dei carabinieri e fece al brigadiere, fidanzato di sua cugina, un paio di domande. Di quelle giuste. 

Il mio amico mi ha raccontato che quando uscì dalla locale caserma i carabinieri avevano le lacrime agli occhi nemmeno avessero visto un film di Peppone e don Camillo. Immagino che avesse fatto nome e cognome di questa sua amica e loro abbiano steso, diciamo così, il classico velo pietoso.

Ma non è finita qui. Questa donna, angelo della luce, avrebbe trascorso sette mesi in carcere a Pistoia, anche se si ignora il reato, preso, non si sa se prima o dopo, il porto d’armi, poi svolto il servizio militare, fatti non si sa quanti mai voli guidando un elicottero dell’Esercito italiano e via cianciando.

Il mio amico ovviamente ha lasciato questa accumulatrice di fandonie ed ogni tanto mi invia foto con la sua nuova compagna, una professoressa di Latino e Greco di origine maltese.