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L’opinione di Domenico Gallo sulla Sinistra del nostro tempo I intervista di Carlo Pellegrini

Cogliendo l’occasione di un incontro in sede pubblica abbiamo colto l’opportunità di porre all’attenzione del senatore Domenico Gallo alcune domande.
Domenico Gallo è uomo di vasta cultura, conosciutissimo e apprezzatissimo: magistrato dal 1977, senatore dal 1994 al 1996 e con una brillante carriera alle spalle.
Inoltre Domenico Gallo, come recitano alcune sue biografie, è «da sempre impegnato nel mondo dell’associazionismo e del movimento per la pace ed è attivo nei comitati per la difesa della Costituzione». In più «collabora con quotidiani e riviste ed è autore e co autore di numerosi libri fra i quali Millenovecentonovantacinque – Cronache da Palazzo Madama ed oltre (Edizioni Associate, 1999), Salviamo la Costituzione (Chimienti, 2006), La dittatura della maggioranza (Chimienti, 2008), Da Sudditi a cittadini – il percorso della democrazia (Edizioni Gruppo Abele, 2013), 26 Madonne nere (Edizioni Delta Tre, 2019), il Mondo che verrà (edizioni Delta Tre, 2022)». 

D. Secondo lei, quanto può aver inciso la caduta del muro di Berlino sugli orientamenti principali della Sinistra Italiana?
R. «L’abbattimento del muro di Berlino, se inteso come espressione del fallimento storico del c.d. “socialismo reale”, regime politico che l’URSS aveva esportato nei paesi dell’est Europa posti sotto il suo controllo, non è stata occasione di un vero e franco dibattito nella sinistra italiana. Si è aperta una corsa a cancellare le tracce del passato per scrollarsi di dosso il legame ambiguo che il partito comunista aveva coltivato con quelle esperienze. Rossana Rossanda all’epoca osservò che il partito comunista doveva ritenere imbarazzante quel nome quando il muro fu costruito, non quando venne abbattuto. Ma non è una questione di nomi, c’è stata una fuga dal passato che ha portato tutta la sinistra ad abbracciare l’ideologia liberista (l’unica rimasta in piedi) come ancora di salvezza. Non si è capito che la fine del comunismo storico non aveva posto fine al bisogno e alla sete di giustizia. La politica di Gorbaciov è stata letta come capitolazione, anziché come apertura ad un nuovo modello di relazioni internazionali, non più basato sulla forza. Con la caduta del muro di Berlino, un’intera generazione salutò con gioia la fine della guerra fredda. La speranza di una nuova epoca in cui si potesse avverare la profezia della Carta della Nazioni Unite, di un’umanità liberata per sempre dal flagello della guerra, dove le relazioni internazionali ed interne agli Stati fossero regolate dal diritto e dalla giustizia, dove l’architettura della violenza venisse definitivamente smantellata e le spade rimesse nel fodero è svanita velocemente per le scelte contrarie degli architetti dell’ordine internazionale. La sinistra non se ne è nemmeno resa conto e non ha fatto nulla per impedire che i giovani di allora venissero defraudati dell’avvenire di pace che era stato loro promesso». 

D. Ritiene che il Partito Democratico sia l’erede del Partito Comunista Italiano?
R. «No, il Partito comunista italiano si è estinto senza eredi, ugualmente la democrazia cristiana si è estinta senza eredi. L’operazione di dar vita al PD, non ha trasferito nel nuovo partito né la cultura, né i valori incarnati da PCI e DC nella loro esperienza storica repubblicana. Si è trattato di una semplice transumanza di ceto politico».

D. A suo avviso, a chi dobbiamo imputare la trasformazione della Sinistra Italiana di quest’ultimo periodo?
R. «Ci troviamo di fronte ad un delitto che ha molti autori. Gli ultimi in ordine di tempo sono stati Veltroni e Renzi, ma anche Letta ha dato un contributo scegliendo di perdere le elezioni per non perdere la faccia con i suoi referenti internazionali».

D. Quali errori si possono attribuire alla Sinistra Italiana di questi ultimi vent’anni?
R. «L’errore fondamentale è uno solo, da cui derivano per cascata tutti gli altri. Sostanzialmente si è voluto escludere il popolo dalla partecipazione politica. Si è inventato il partito leggero, sono state varate leggi elettorali sempre più oligarchiche, la rappresentanza politica è diventata dominio riservato di ristrettissimi gruppi dirigenti. I parlamentari sono diventati rappresentanti del capo politico che li ha nominati e non devono più rispondere al popolo, che non può mettere becco nella scelta dei “suoi” rappresentanti. Questo ha fatto sì che la politica si è sempre più distaccata dai bisogni della gente, non ha ricercato la giustizia, si è appiattita sui dictat della finanza internazionale (precarizzazione del lavoro, paradisi fiscali, tassazione piatta, insensibilità per l’ambiente, etc.)».