L’anno scolastico si è aperto con una novità importante introdotta da un decreto firmato dal ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara; una novità il cui impatto non è immediatamente valutabile, ma che ha già generato polemiche e discussioni soprattutto tra i docenti e le sigle sindacali. Il decreto riguarda l’orientamento scolastico, su cui il Ministero ha deciso di puntare molto indirizzandovi fondi del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza); i dati a disposizione svelano infatti un panorama impietoso relativo alla dispersione scolastica.
Molti studenti che si iscrivono alle superiori fanno scelte poco consapevoli e magari abbandonano la scuola compiuti i sedici anni, o cambiano percorso dopo una bocciatura; e molti non hanno le idee chiare nemmeno su cosa fare dopo il diploma, o smettono di frequentare l’Università dopo pochi mesi, perché magari per cinque anni hanno studiato materie che odiano.
Per aiutarli a orientarsi, sono state istituite due figure, scelte tra i docenti,che opereranno stabilmente all’interno delle istituzioni scolastiche: il tutor e l’orientatore, il primo con il compito di aiutare gli studenti ad acquisire consapevolezza sulle proprie potenzialità, attitudini, interessi, ecc., il secondo con quello di supportare le famiglie nei momenti di scelta dei percorsi formativi o professionali. Un aiuto personalizzato, insomma, che tenga conto delle esperienze dei singoli, del background familiare, della motivazione ad apprendere ma anche delle richieste del mercato del lavoro; in questo senso saranno importanti, nel portafoglio degli studenti, le attività di PCTO, ex alternanza scuola-lavoro, per capire se possano tradursi in concrete possibilità di impiego dopo il diploma.
Il primo corso di formazione per i docenti interessati a ricoprire questi ruoli si è già concluso, probabilmente ne seguiranno altri, dal momento che l’investimento del Ministero è alto e che i docenti formati in tutta Italia dovranno essere circa 50.000. In realtà, al momento, la maggioranza dei docenti (secondo un sondaggio pubblicato sul sito tecnicadellascuola.it) non ha presentato domanda. Molti hanno dichiarato che i compiti del tutor e dell’orientatore non sono espressi con sufficiente chiarezza: di fatto non si sa esattamente cosa dovranno fare e quando, e il pericolo è che si sottragga tempo prezioso non tanto alla didattica quanto alla formazione disciplinare in itinere, che dovrebbe essere un obbligo per qualsiasi insegnante.
Altri chiamano in causa il Contratto nazionale: questi ruoli non sono previsti, quindi o si aggiorna il contratto, anche dal punto di vista stipendiale, o non se ne fa niente. La remunerazione è un altro punto dolente, perché a conti fatti risulterà veramente esigua per il carico di lavoro aggiuntivo che i docenti andranno a svolgere, tanto che qualcuno l’ha definita “un insulto”.
Critiche forti arrivano anche dai sindacati: i COBAS parlano “dell’ennesimo provvedimento per dividere la categoria [dei docenti] e completare la ristrutturazione aziendalistica della scuola”, mentre la CGIL paventa il rischio che l’azione dei tutor e degli orientatori, che dovranno seguire da 30 a 50 studenti ciascuno, finisca per sovrapporsi a quella dei Consigli di classe, “con un’efficacia discutibile”. Più morbida, come sempre, la posizione della CISL, secondo cui la funzione di orientamento è sempre stata svolta dai docenti non ufficialmente, e adesso finalmente verrà retribuita.
Io, che da diversi anni mi occupo di orientamento in entrata presso la mia scuola, so bene quanto sia difficile trovare ragazzini con le idee chiare quando si tratta di scegliere il proprio futuro a 14 anni, e immagino anche che la stessa insicurezza riguardi molti di quelli che, dopo il diploma, non sanno bene cosa fare della propria vita. Le domande che mi pongo sono queste: c’era davvero bisogno di introdurre nell’organigramma scolastico due figure nuove che svolgano una funzione che ricopriamo da sempre anche noi? Non è piuttosto un modo di concepire la scuola che ne snatura la funzione pedagogica? E non sarebbe stato meglio destinare le risorse economiche a qualcosa di più utile, magari sentendo, una volta tanto, i pareri e le consulenze di chi nella scuola ci lavora da anni? Perché la sensazione è sempre la stessa, che le riforme che riguardano la Scuola italiana arrivino da persone che non la conoscono affatto, o ne hanno un’idea contraffatta.
Sarebbe ben misero il nostro ruolo se non sapessimo chi siano i nostri studenti, e quali siano i loro punti di forza e di debolezza, e se non fossimo in grado di dar loro consigli su cosa fare da grandi. C’è anche da dire che sono i ragazzi stessi, spesso, a non voler essere orientati, e non sempre le famiglie accettano i suggerimenti dei docenti, finendo per iscrivere i figli alle scuole sbagliate. I motivi sono molti: le aspettative, certo, ma anche la vicinanza da casa, la scuola di moda in un dato momento o che è stata frequentata da un altro familiare, la conoscenza diretta di chi ci lavora. Questo per dire che scegliere è tanto complicato quanto orientare, e va fatto sempre con grande sensibilità. Non so quanto una figura esterna alle dinamiche di classe, che ha seguito un corso di formazione di 20 ore e conseguito un attestato di partecipazione, potrà sostituirsi a chi quel lavoro lo fa silenziosamente e rispettosamente da anni, nel silenzio dei proclami ministeriali.
Stefania Berti