Home CARLO PELLEGRINI 8 settembre 1943: l’armistizio-discriminante nella storia d’Italia I intervista di Carlo Pellegrini

8 settembre 1943: l’armistizio-discriminante nella storia d’Italia I intervista di Carlo Pellegrini

PIERO CRAVERI STORICO

L’8 settembre 1943 il capo del Governo italiano Pietro Badoglio rendeva pubblico l’armistizio dell’Italia concordato con gli Alleati.
Sebbene sian otrascorsi 80 anni in questa data si riflette l’immagine eloquente della sconfitta del popolo italiano.
Su questo evento storico sono stati versati fiumi d’inchiostro. Ancora oggi l’armistizio è motivo di studio e di dibattito.
Questo argomento così complesso è stato affrontato e approfondito dal noto storico, senatore prof. Piero Craveri nipote di Benedetto Croce.

D. Prof. Creveri, ritiene che potesse esservi una alternativa alla richiesta di armistizio avanzata dal maresciallo Pietro Badoglio alle Forze alleate?
R. «L’Italia non firmò un armistizio ma la resa incondizionata, come deciso da Roosevelt e Churchill a Casablanca, prima dello sbarco in Sicilia. Badoglio ottenne poi nel comunicato finale il termine “armistizio”, e gli alleati lo concessero per non indebolire troppo l’immagine del Re che stava per diventare cobelligerante. Dopo la liberazione di Mussolini al Gran Sasso da parte dei nazisti e la costituzione della Repubblica sociale, la guerra civile era inevitabile».

D. Alla data dell’armistizio un signore di nome Lucky Luciano aveva mantenuto rapporti tra alleati e mafiosi della Sicilia. Secondo lei, c’erano le condizioni e presupposti perchè dopo l’8 settembre 1943 la Sicilia fosse diventata parte degli USA?
R. «Per lo sbarco in Sicilia è plausibile che gli americani abbiano raccolto informazioni da Lucky Luciano. Del resto i rapporti con lui risalivano al 1941, prima dell’entrata in guerra degli USA, quando gli americani avevano scorto un U-Boot tedesco nelle acque del porto di New York. E dovendo mettere al sicuro l’accesso al porto, avevano bisogno della collaborazione della mafia che deteneva il controllo dei sindacati portuali. Ma dire che gli americani hanno riportato in Italia la mafia è un’idiozia. La mafia, per quanto dormiente, era rimasta in Sicilia anche sotto il fascismo. Mussolini aveva licenziato il generale Mori, quando stava per estirpare il livello alto della mafia.
Quanto alla Sicilia, durante la guerra e subito dopo fu attraversata da un forte movimento autonomista. Gli anglo-americani avevano su di essa un interesse particolare, perché garantiva alle navi il passaggio dal canale di Suez nel Mediterraneo. Dopo il 1947, data l’enorme superiorità dell’Armata rossa in Europa i cui effettivi non erano stati congedati al pari delle truppe anglo- americane, la previsione dei comandi alleati era di fermarne l’avanzata sui Pirenei e conservare assolutamente la Sicilia. Ma gli USA non pensarono mai di aggregare la Sicilia al loro Stato federale».

D. Come valuta la fuga della famiglia reale sabauda da Roma a Brindisi?
R. «L’8 settembre fu una tragedia nazionale che in parte poteva essere evitata. La regia di Badoglio fu pessima. Occorreva bloccare il Brennero, da cui scesero, nei mesi di luglio e agosto 1944, molte divisioni tedesche. Badoglio doveva impartire ordini al milione di soldati italiani che stanziavano in Italia, per non dire dell’altro mezzo milione che era sparso nei Balcani. Il Re si mise al riparo delle truppe alleate e lasciò l’Italia allo sbando». 

D. L’ 8 settembre 1943 si può definire “la morte della patria” come ebbe a dire il giurista Salvatore Satta?
R. «La “patria” è un sentimento che non muore mai nella coscienza collettiva, ma certo il suo significato fu allora spezzato dall’ 8 settembre. Si può parlare, come ha fatto Satta nel suo romanzo, in quel momento, di “morte della patria”, poiché si era dissolto lo Stato ed era andata in pezzi la concezione coltivata fin dal Risorgimento e portata fino all’esasperazione dal fascismo. L’idea di patria fu poi raccolta subito dai partiti del CLN. La Resistenza fu una prova decisiva della sua persistenza, come la guerra civile che l’accompagnò. Ma non furono solo due le concezioni di patria a fronteggiarsi, l’una contro l’altra. Anche ciascun partito che combatteva nella Resistenza aveva un’idea di patria e una ricostruzione ideale della sua storia propria e diversa dagli altri del suo stesso fronte. E ciò è ancora vero oggi. Manca agli italiani quello che in altri paesi europei è un presupposto pregiudiziale, un’idea e una storia di patria condivisa».

D. A parer suo, quale fu la diversificazione dell’atteggiamento della Chiesa: il Vaticano in posizione “accorta” e il basso clero sostenitore della prima Resistenza?
R. «Si rimprovera a Pio XII il suo mancato intervento a difesa degli ebrei romani. È indubbiamente una macchia indelebile sulla Chiesa di Roma. Il Papa ebbe timore delle conseguenze sulla Chiesa. I nazisti erano presenti anche entro le mura vaticane. Non si può negare che come potette, in altre occasioni, la Chiesa cercò costantemente di aiutare gli ebrei durante l’occupazione tedesca. Sono molti i parroci che hanno partecipato direttamente o indirettamente alla Resistenza. Pio XII poi nel discorso natalizio del 1944 fece nettamente la scelta della democrazia, aprendo la strada alla Democrazia Cristiana. Fu un papa conservatore, ma capace di porsi, quasi sempre, al di sopra degli eventi».

D. Le risulta che Inghilterra e Usa avessero l’intenzione di salvare Mussolini?
R. «Risulta, anche se non abbiamo prove ufficiali, che gli inglesi volevano che Mussolini fosse ucciso. Non ne conosciamo neppure le ragioni, probabilmente legate ai rapporti di Mussolini con Churchill, le cui prove avrebbero dovute essere nelle borse che questi portava con sé al momento della sua cattura e che sono state perdute. Max Salvadori, di famiglia marchigiana e di madre inglese, era ufficiale dell’esercito britannico, inviato a Milano nei giorni dell’insurrezione della città, probabilmente per sollecitare l’uccisione di Mussolini. Il CLN ne decise la morte e diede al comunista Moranino il compito di eseguirla. Ma chi sollecitò e raccolse il consenso unanime del CLN fu Leo Valiani che, nei suoi anni di esilio come antifascista, era stato in contatto con l’intelligence britannica. Del resto la sua fine cruenta ha evitato all’Italia un processo come quello di Norimberga».