La storia propone alla nostra riflessione anni particolari.
Ad esempio pensiamo al 1992, considerato tra gli anni “più neri della storia” con l’avvento di Tangentoli e stragi di Mafia.
Anche il 1978 fu un anno ricco di avvenimenti.
Con il noto giornalista RAI Fabio Zavattaro, considerato tra i vaticanisti più autorevoli e qualificati, abbiamo ripercorso i fatti salienti del 1978.
D. A distanza di quarantacinque anni come rivede e valuta gli eventi storici in politica e nella Chiesa del 1978?
R. «Basta citare una data, 16 marzo, per capire quanto il 1978 ha pesato nella vita politica dell’Italia. Quel giorno, poco dopo le 9 di mattino, le brigate rosse rapirono, in via Mario Fani, il presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro e uccisero cinque agenti della scorta: Raffaele Iozzino, Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera e Francesco Zizzi.
Strage e sequestro compiuti in un giorno importante per la vita democratica del nostro paese: quel giorno, infatti, il Parlamento era chiamato a votare la fiducia al Governo di solidarietà nazionale appoggiato, per la prima volta dal 1947, dal Partito comunista italiano. Erano anni in cui in politica si parlava di “convergenze parallele”, di “compromesso storico”, un processo che aveva visto impegnati Aldo Moro per la Dc e Enrico Berlinguer per il PCI. L’anno prima, il 28 giugno, vi era stata la storica stratta di mano tra i due politici, a sugellare un’intesa che avrebbe portato il Partito comunista nella “stanza dei bottoni”.
Il rapimento Moro segna l’apice dello scontro con lo Stato portato avanti dal terrorismo brigatista; ma vi era anche un terrorismo di matrice nera – nel 1969 la bomba a piazza Fontana a Milano, nel 1974 la strage del treno Italicus – che lasciava morti sulle strade, e tanta confusione su mandanti e disegni eversivi. Non a caso uno dei termini più usati in quegli anni era “strategia della tensione”, una formula per indicare una serie di atti terroristici e il coinvolgimento di settori deviati dei servizi e strutture segrete paramilitari e eversive con legami internazionali – la Rosa dei venti, la loggia P2, la struttura Gladio – per contrastare l’avanzata del PCI.
Per la chiesa il 1978 è soprattutto l’anno dei tre Papi, 71 giorni nei quali si sono succeduti Paolo VI, morto il 6 agosto, Giovanni Paolo I, eletto il 26 agosto e morto dopo soli 33 giorni, “Il tempo di un sorriso” come titolò il quotidiano parigino Le Monde, e Giovanni Paolo II eletto il 16 ottobre. Si è passati da un Papa, Montini, amico di gran parte degli uomini impegnati in politica nell’allora partito di maggioranza relativa, a un pastore, Luciani, che recita una poesia del poeta romanesco Trilussa, che parla con un giovane studente e con il chierichetto maltese, durante le udienze del mercoledì. Infine, al primo Papa non italiano dopo 455 anni, giovane cardinale, ha 58 anni quando viene eletto, venuto “di un paese lontano”, come dirà Karol Wojtyla, dove ha conosciuto nazismo e comunismo».
D. Nella primavera 1978 fu rapito e ucciso lo statista on. Aldo Moro; l’8 luglio salì al Quirinale il socialista Sandro Pertini quale Presidente della Repubblica italiana; il 6 agosto morì papa Paolo VI; il 26 agosto il cardinale Albino Luciani fu eletto papa col nome di Giovanni Paolo che morirà il 28 settembre successivo; il 16 ottobre siederà sul trono di Pietro il cardinale Karol Wojtila assumendo il nome di Giovanni Paolo II. Non le sembra che il 1978 sia stato quindi un anno di completa rottura?
R. «Sicuramente un anno di profondi cambiamenti. Il rapimento Moro vede Paolo VI impegnato in un tentativo per cercare di liberare il presidente della DC. Non solo la lettera “agli uomini delle brigate rosse” scritta in prima persona per chiedere “semplicemente, senza condizioni” la liberazione dell’amico “non tanto per motivo della mia umile e affettuosa intercessione, ma in virtù della sua dignità di comune fratello in umanità”. Aveva anche messo a disposizione del denaro da dare ai brigatisti per la liberazione dell’ostaggio, e chiesto a un sacerdote di rispondere a una eventuale chiamata telefonica, mai avvenuta. Poi, in San Giovanni, la preghiera per Moro, parole che suonano come un grido di un profeta dell’Antico Testamento: “tu o Dio non hai esaudito la nostra supplica per la incolumità di Aldo Moro, di questo uomo buono, mite, saggio, innocente ed amico”.
A sorpresa il 26 agosto dalla Cappella Sistina esce il nome del successore, il Patriarca di Venezia Albino Luciani. “Dio vi perdoni per quello che avete fatto”, sono le parole che, eletto Papa, pronuncia ai cardinali. Il giorno dopo dalla loggia centrale della basilica vaticana dirà al mondo di aver scelto il nome ricordando Papa Roncalli che lo aveva consacrato vescovo e suo predecessore nella città lagunare, e Montini che in piazza San Marco “mi ha fatto diventare tutto rosso davanti a 20.000 persone, perché s’è levata la stola e me l’ha messa sulle spalle, io non son mai diventato così rosso”. Così ecco Giovanni Paolo. Mai un Papa prima di lui aveva usato un linguaggio così semplice, confidenziale.
Trentatre giorni dopo, il 16 ottobre, ecco il primo Papa che viene dall’Est, dalla Polonia ancora sotto il giogo dell’Unione Sovietica. Se Luciani, in qualche modo, aveva iniziato a cambiare consuetudini e protocollo, ad esempio abbandonando la sedia gestatoria dicendo che la madre lo avrebbe rimproverato perché si faceva portare sulle spalle di altri uomini, Wojtyla non perde tempo e appena eletto affacciandosi dalla loggia centrale della basilica vaticana, in barba al protocollo e alle raccomandazioni del maestro delle cerimonie pontificie, pronuncia il suo primo discorso, dicendo ai fedeli “se mi sbaglio mi corrigerete”.
È il Papa che compie 104 viaggi internazionali, visitando i cinque continenti, guadagnandosi così il soprannome di “globetrotter di Dio”; il primo Pontefice a subire un attentato in piazza San Pietro, l’11 febbraio 1981, e a dire, nella sua devozione mariana, che “una mano a sparato, un’altra mano, una mano materna, ha deviato il proiettile”. Quel proiettile lo farà mettere nella corona della Madonna di Fatima e nel viaggio del febbraio 2000 sapremo che nella terza parte del segreto di Fatima la Vergine ai tre pastorelli aveva parlato di un vescovo vestito di bianco che “cade a terra come morto sotto i colpi di arma da fuoco”.
Ma è soprattutto il Papa che ha un ruolo non secondario nella caduta dei regimi dell’est, e il primo a testimoniarlo è il presidente della allora unita Repubblica Cecoslovacca, Vaclav Havel, che lo accoglie a Praga il 20 aprile 1990. Sei mesi prima era in carcere come dissidente e a Giovanni Paolo II dice: “io non so cosa sia un miracolo, ma so che oggi io vivo un miracolo”. Nel giugno di sei anni dopo, Papa Wojtyla sarà a Berlino per attraversare la Porta di Brandeburgo da Ovest verso Est, ovvero in modo opposto a quanti cercavano di fuggire dalla Repubblica Democratica tedesca verso la Germania Ovest. Un attraversare che è anche, forse soprattutto, messaggio politico di un Continente, l’Europa, unito dall’Atlantico agli Urali, come scriveva già da arcivescovo di Cracovia».
D. Quali, secondo lei, sono stati gli elementi di passaggio tra il prima e il dopo 1978?
R. «In politica il prima e il dopo è legato al processo di avvicinamento tra la Dc e il Pci, al rafforzamento del fronte laico, socialisti, liberali e repubblicani, all’elezione di un Presidente della Repubblica socialista. È la stagione del “pentapartito” che avrebbe garantito all’Italia, dal 1981 al 1991, una relativa stabilità politica. Stagione che si sarebbe conclusa con Mani pulite, l’inchiesta aperta dal pool di giudici milanesi – Giulio Borrelli, Gherardo Colombo, Ilda Boccassini, Antonio Di Pietro – con l’arresto il 17 febbraio1992 di Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio e membro di primo piano del Partito socialista.
Per la chiesa sicuramente l’elezione di un Papa dell’Est europeo è stata la grande novità. Il suo pontificato, pur in continuità con i suoi predecessori, ha segnato un profondo cambiamento nella volontà di continuare il cammino ecumenico promosso dal Concilio e messo in atto da Giovanni XXIII e Paolo VI. Così, ad esempio, Papa Wojtyla ha dato nuovo impulso a questioni quali la questione della collegialità, lo sviluppo dello strumento del Sinodo, un maggiore ingresso di vescovi e cardinali non appartenenti al vecchio continente. Novità anche nel campo della comunicazione con un Papa, Giovanni Paolo II, che ha consegnato ai media e alla tv parole e gesti del suo ministero petrino».
D. Si trattarono di elementi positivi o negativi?
R. «Come dicevo, elementi sicuramente positivi anche se, come tutte le novità, non sempre capiti e a volte anche messi in discussione e criticati.
Il mondo della politica ha sofferto molto il dopo mani pulite, e si è accentuata sempre più la distanza tra la gente e il Palazzo; è venuto meno il ruolo di un partito che sa compiere delle scelte per il bene della comunità e non solo per cercare consensi nei sondaggi. È venuta meno quella partecipazione della società alla formazione della classe politica, e sempre più interessi di parte favoriscono alcuni a danno di molti: e lo vediamo a ogni tornata elettorale con il numero dei votanti sempre in calo.
Anche per la chiesa questi cambiamenti, positivi per me, hanno portato un po’ di confusione, e quell’attenzione alla dignità dei poveri, degli ultimi, degli “scartati” per usare le parole di Papa Francesco, fatica a trovare cittadinanza.
Gli immigrati che arrivano sulle nostre coste e quelli che nel mare perdono la vita e il loro sogno di una futuro migliore; i malati che sperimentano il limite, il bisogno, la dipendenza e quanti scelgono l’eutanasia come risposta alla mancanza di un adeguato sistema di sostegno medico e economico; le donne che vivono maternità disperate e che come risposta scelgono di abbandonare i loro figli, diventano tutti temi divisi tra una chiesa che parla con la voce di chi non ha voce, e una società, una politica non sempre capace di governare queste attese».