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Alberto Salerno, tra una Terra Promessa e Mara Maionchi I intervista di Carlo Pellegrini

L’emozionante e vasto panorama della canzone italiana annovera canzoni immortali, che sfidano e superano tempi conservando il loro indiscutibile successo.
Abbiamo canzoni storiche degli anni Sessanta e che ascoltiamo spesso alla radio incapaci di destare stanchezza o monotonia.
Ogni canzone appartiene alla sensibilità artistica di un autore, a più autori e a cantautori noti o meno noti e figli di un determinato tempo e contesto storico.
Dal pentagramma e dalla penna di Alberto Salerno sono scaturite diverse centinaia di canzoni in oltre cinquant’anni di onorata carriera ancora in pieno svolgimento.

D. Salerno è impossibile sintetizzare la sua grande carriera di autore di canzoni.  Può evidenziare almeno i suoi successi e il nome dei cantanti che ha prodotto?
R. «Ho iniziato a scrivere canzoni quando avevo solo sedici anni per “I Corvi”, cominciando da “Datemi una lacrima per piangere”. Poi ho scritto per Mino Reitano la canzone “Avevo un cuore”. Sono tanti i successi… “Io Vagabondo” per i Nomadi, “Bella da morire” per gli Homo Sapiens, “Donne” per Zucchero, “Terra promessa” di Eros Ramazzotti e poi la produzione con Mango… Sono talmente tante che non le ricordo nemmeno tutte».

D. Da quanti anni scrive canzoni?
R. «Dall’età di sedici anni. Ero un ragazzino. Ho imitato un po’ le gesta di mio padre (Nicola Salerno ndr), che era un grande autore di canzoni; infatti, aveva scritto anche per Carosone. Vedendolo ho cercato di imitarlo e lui mi ha aiutato molto a instradarmi». 

D. A quanto si aggira il numero delle sue canzoni?
R. «Oltre cinquecento. Wikipedia ne annovera molte ma non sono riportate tutte».

D. Come si presenta in lei l’inclinazione a scrivere canzoni?
R. «Vedendo mio padre comporre canzoni mi piaceva l’idea di scrivere pure io dei testi. Poi è una cosa naturale scrivere canzoni. E’ come un autore di libri quando scrive un romanzo. Lo devi sentire dentro. Poi c’è chi è in grado di farlo e chi no. Se non hai la tecnica non puoi scrivere canzoni». 

D. Quali sono e quali sono stati i collaboratori nella sua carriera?
R. «Ce ne sono stati tanti. Intanto Damiano Datoli, che ha scritto la musica di “Io Vagabondo” e che per me è stato un incontro fondamentale. Poi tanti direttori artistici, editori musicali, arrangiatori, musicisti. I successi non si raggiungono mai da soli, ma si ottengono grazie ad una collaborazione. Il successo non è figlio di una sola persona e nemmeno del cantante stesso. Ci sono gli autori, arrangiatori, editori, discografici. Il successo, secondo me, si ottiene con una squadra. Da soli non è possibile e nemmeno i grandi cantautori ci riescono perché senza una casa discografica seria non si riesce a raggiungere il successo».

D. Quali canzoni pone sul podio del suo inventario?
R. «Guarda Carlo, al primo posto metto sempre “Io vagabondo” interpretata dai Nomadi, una canzone che supera i cinquant’anni e che rimane il mio punto fermo. Poi anche “Avevo un cuore” di Mino Reitano che mi ha concesso tante soddisfazioni, “Bella da morire” degli Homo Sapiens, e poi il lavoro con Zucchero, Mango. Le canzoni che ho scritto per loro sono importantissime per me».

D. Oltre venti sono le sue canzoni presentate al Festival di Sanremo delle quali quattro sono state le vincitrici. Quali avrebbero meritato una considerazione migliore?
R. «Mi è impossibile rispondere a questa domanda, perchè è sempre stato il pubblico a stabilire la giusta considerazione, se qualcuna non l’ha avuta è perchè non la meritava».

D. Per quali ragioni grandi autori di canzoni degli anni ’70, ’80 e ’90 non riescono più ad integrarsi nell’attuale mondo musicale, che appare imparagonabile a quegli anni?
R. «Perché siamo vecchi e le generazioni cambiano. Quando noi avevamo venti-venticinque anni abbiamo sostituito gli autori di allora e che erano importanti. E’ un ricambio naturale. Non dobbiamo avere risentimenti su questo. Non ci integriamo perché non facciamo più parte di un mondo che non ci appartiene. Noi facevamo parte di una epoca che è passata ed è giusto che sia così. C’è un po’ di dispiacere… però questa è la realtà che bisogna sapere accettare».

D. Salerno, ha citato alcune delle sue canzoni memorabili che non hanno niente a che vedere, mi permetta, con certe canzoni di oggi…
R. «Ogni società esprime la musica che esprime. Per esempio “Io vagabondo” oggi non nascerebbe neanche più. Nemmeno “L’Italiano” di Cristiano Minellono nascerebbe più perché oggi non si scriverebbe più così. Noi facciamo parte di un mondo che ormai è passato. Tu Carlo parli di queste canzoni perché continui a fare parte di quel mondo passato, di quel mondo che non c’è più… Ascolto pochissimo, tranne qualche eccezione, la musica di oggi, che non mi piace. Però ci sono anche canzoni carine fra tanta roba brutta. Una volta c’erano più cose belle che brutte. Anche quando scrivevamo noi c’era qualche canzone meno bella. Diciamo che oggi c’è un modo di scrivere canzoni molto lontano da quello che apparteneva al nostro mondo».

D. Come valuta, quindi, il cantautorato di oggi?
R. «Fa sempre parte di quanto ho precisato nella risposta precedente. I cantautori con i quali siamo cresciuti noi, come quelli della scuola genovese, bolognese e romana, sono lontani mille miglia dai cantautori di oggi. Come si fa a paragonare Lucio Dalla, De André, Venditti, De Gregori… con la roba di adesso? È impossibile».

D. In questi ultimi anni si è dedicato anche all’editoria. Può parlarci dei suoi libri?
R. «Dunque ho scritto un libro che è la mia biografia. L’altro libro l’ho scritto con mia moglie Mara Maionchi per raccontare la nostra vita artistica insieme. Niente di romanzato. È tutta una vita vissuta. Sostanzialmente sono due libri autobiografici. Se una persona è interessata a conoscere la mia vita e alla mia vita vissuta insieme a Mara Maionchi potrebbe acquistarli perché sono anche divertenti».