Il mondo del calcio piange per la scomparsa dell’allenatore Carlo Mazzone.
Lo storico mister romano protagonista di numerose battaglie calcistiche si è spento sabato 19 agosto scorso all’età di 86 anni, cinquanta dei quali vissuti sui campi di calcio, ad Ascoli Piceno dove aveva posto la sua dimora da tempo.
Viene a mancare l’allenatore tra i più longevi della storia del calcio italiano e che vanta il primato di presenze in serie A, avendo seduto ben 792 volte in panchina.
Ricordiamo Carlo Mazzone con una apposita intervista al celebre calciatore e allenatore Ennio Pellegrini, che lo ebbe allenatore nella Fiorentina dal 1975 al 1978.
D. Pellegrini, a suo avviso, cosa ha rappresentato Carlo Mazzone per il calcio italiano? E quale eredità lascia?
R. «Prima di tutto era una grande persona. Ho avuto la fortuna di averlo come allenatore per tre anni consecutivi. Con lui ho disputato 89 partite di campionato su 90 saltandone soltanto una per squalifica. Era un uomo, calcisticamente parlando, avanti con i tempi. Ha lasciato qualcosa di importante. Ho avuto la fortuna e il piacere di andare in Germania, a Monaco, e di conoscere Josep Guardiola, l’attuale allenatore del Manchester City, e facendogli vedere un video di un allenamento di Mazzone, non ha fatto altro che parlarmi bene di Mazzone. Anche in occasione dei suoi funerali tramite la televisione ho visto grandi giocatori e grandi campioni con le lacrime agli occhi e, parlando, hanno ringraziato Mazzone per quello che aveva fatto per loro».
D. In cosa consisteva la sua professionalità di allenatore?
R. «Come ho detto nella risposta precedente era un uomo avanti con i tempi perché applicava il fuorigioco quando ancora non si faceva. Poi voleva che fossimo aggressivi. Lui ci ha insegnato sia la tecnica che la tattica».
D. Concorda su quanto affermava: “La tecnica è il pane dei ricchi, la tattica è il pane dei poveri”?
R. «E’ vero, concordo».
D. Alla luce della frase precedente, ritiene che Mazzone abbia più privilegiato la tecnica o la tattica?
R. «Lui ha applicato sia la tecnica che la tattica».
D. Quali moduli calcistici preferiva adottare?
«Prima di tutto l’aggressività sul portatore di palla. Non è vero che Mazzone era un difensivista e che applicava il 3-5-2. Eravamo sempre quasi in linea».
D. Secondo lei, avrebbe potuto allenare squadre famose sebbene fosse stato l’allenatore di Fiorentina e Roma?
R. «Sicuramente. Ha trasformato Andrea Pirlo da mezza punta facendolo giocare davanti alla difesa. Totti, in questi giorni, ha detto che i suoi due migliori allenatori sono stati Mazzone e Zeman. Questi campioni, Guardiola stesso, hanno parlato molto bene di Mazzone. Quindi, poteva benissimo allenare squadre famose».
D. Possiamo definirlo un uomo sempre coerente con se stesso?
R. «Certo».
D. Pellegrini, al termine della sua onorata carriera calcistica con le maglie di Fiorentina, Pescara, Lucchese e Viareggio è diventato un buon allenatore. Quanto ha inciso la figura di Mazzone in questo suo ruolo?
R. «Molto. Mi sono sempre ispirato a lui portando dietro in tutte le mie esperienze da allenatore quello che lui mi aveva insegnato e detto. Ricordo un aneddoto di quando ero capitano della Fiorentina in cui mi disse: “Pellegro, quante persone vengono a vederti giocare?” Ed io gli risposi: “Mio zio da Livorno”. E lui riprese: “Per Antognoni ci sono cinquantamila spettatori bisogna che il capitano lo faccia lui…”.
Nel mio piccolo, il modulo 3-4-3, che avevo imparato da Mazzone, lo applicavo quando già allenavo in Eccellenza e la Nazionale italiana dilettanti e quando gli altri allenatori ponevano il libero staccato.
Mazzone ha allenato anche il Pescara, squadra nella quale disputai quattro campionati vincendone uno di serie B. Ricordo che lo andai a trovare, essendo già allenatore, quando era in ritiro con la squadra e non aveva un vice. Credo di aver perso una grande opportunità perché sono fatto male e in quel determinato momento potevo chiedergli se avesse avuto bisogno di me, ma non lo feci. Nel corso degli anni ho sempre ricevuto molte telefonate da lui, soprattutto in occasione dei miei compleanni. Ho sempre avuto un certo feeling con Mazzone. A Firenze abitavamo molto vicini, dietro allo stadio, ed eravamo sempre in contatto anche fuori dal campo. La sua famiglia viveva ad Ascoli Piceno e lui abitava da solo a Firenze e varie volte l’avevo invitato a casa mia, ma era una persona che aveva sempre paura di dare noia… Non ci sono parole e aggettivi per classificare questa grande persona».
D. Dopo la sua scomparsa come desidera ricordarlo?
R. «Quando mi chiamava “Pellegro”. Era una cosa eccezionale. Anche nello spogliatoio, quando doveva richiamare qualcuno, mi portava sempre per esempio. Credo di aver avuto la fortuna di essere stato allenato da una grande grande persona».