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È un mio diritto? | Italo Pierotti

È un mio diritto. Sono nostri diritti, guai a chi vuole toglierci sacrosanti diritti.

È un turbinio di richieste di diritti, un tifone di proclami sui diritti intoccabili della persona, un tripudio arcobaleno tendente al rosso che riempie i giornali (che non legge più nessuno) e invade, si insinua, detta legge nei programmi TV. 

Informazione, dibattiti, approfondimenti, giochini e giochetti televisivi ne sono pieni.

Peccato sia tutto falso.

Oggetto del contendere, della guerriglia dialettica, della faziosità di politici e sociologi assortiti, essere madre/essere padre non è un diritto, ma semplicemente un desiderio, un’aspirazione, una voglia o, peggio, uno sfizio.

È bene avvisare subito che non sarò politicamente corretto, americanata che detesto profondamente e chi non lo tollera può tranquillamente fermarsi a questo punto.

Il procedimento è sempre il solito, ormai da tempo collaudato: si proclama un principio fondamentale, ad esempio che nessuno può essere discriminato in base al genere o all’orientamento sessuale, poi si incomincia a distorcere, a interpetrare le parole, a modificarne il significato ad alterare scientificamente la realtà. Ultimamente si è arrivati persino a fare la guerra al vocabolario e alla grammatica pur di piegare i termini al senso voluto.

Con il pretesto di impedire la discriminazione si cerca di imporre, possibilmente anche per legge, ciò che è contrario ai principi elementari che hanno generato e tenuto insieme l’odierna società, sia pure in continua evoluzione. 

Il punto focale dal quale si originano questi meccanismi è la sessualità.

Ad evitare fraintendimenti traggo la definizione dalla Treccani: “La sessualità è il complesso dei fenomeni mediante i quali due organismi della stessa specie riescono a operare tra loro scambi di materiale genetico finalizzato alla conservazione della specie”.

È di banale evidenza che da sempre il genere umano ha provveduto con istintiva naturalezza a praticare questa attività.

È altrettanto ovvio che per poterlo fare sono indispensabili un uomo e una donna.

Come in tutti i comportamenti c’è sempre qualcuno che, per origine o per scelta, pratica la sessualità in maniera del tutto difforme non rispettando la diversità di genere e rendendo quindi impossibile sia lo scambio di materiale genetico che la finalità della conservazione della specie ma per il semplice piacere personale.

Questa pratica è sempre esistita e non vi è mai stato dato eccessivo risalto. Solo negli ultimi anni è iniziato un processo che tende a ribaltare il concetto di sessualità, utilizzando a cascata anche altri aspetti consolidati della convivenza, almeno in quella parte di società occidentale che gravita sotto il diretto e determinante influsso dell’America, dove si è originato.

L’omosessualità, da fatto del tutto personale e privato, si è trasformata in fenomeno sociale. Gradualmente esempi evidenti vengono inseriti negli spot pubblicitari di prodotti di uso comune che niente hanno a che fare con la sessualità, non c’è film o serie televisiva dove non venga introdotto un rapporto omosessuale, anche se del tutto superfluo e non pertinente con il normale sviluppo della trama. Il progetto è quello di far diventare quasi dominante o diffusa al massimo grado la pratica omosessuale. 

Iniziò con l’aspetto visivamente più eclatante, con i gay pride newyorchesi, che poi sarebbero cortei di gay e lesbiche. Siamo alle solite, se la condanna della discriminazione degli omosessuali è ovviamente doverosa, chi è infastidito e non accetta la sguaiata esibizione dell’omosessualità, esibita spesso con il solo intento di scandalizzare, viene equiparato ad un relitto appartenente ad una società omofoba che vuole ottusamente negare il diritto ad essere diversi.

È vero l’esatto contrario.

Questa società estremamente permissiva ha lasciato che esigue minoranze potessero liberamente realizzarsi ed ha modificato le proprie leggi per garantire loro ogni tutela, come per tutti.

Le unioni civili e il cambiamento di sesso sono gli esempi più significativi.

Appena legalizzata questa moderna forma di matrimonio, uomo con uomo o donna con donna, ecco che salta fuori con tanto di strombazzamento mediatico “il diritto alla maternità/paternità”.

Essendo tecnicamente evidente che tra persone dello stesso sesso non possa esserci quello scambio di materiale genetico necessario alla procreazione, iniziando dai famosi circoli della costa atlantica degli USA sempre all’avanguardia nelle degenerazioni di ogni tipo, si è preteso di ricorrere ad un metodo che mi costringe a fare uno sforzo per trovare una definizione che non sia disgustosa.

Viene volgarmente chiamato “utero in affitto”.

Si trova una donna in disgrazia o priva di scrupoli che per soldi accetta di restare incinta e, al termine della programmata gestazione, se il bambino nasce sano, cederlo ai due acquirenti che lo registreranno come loro figlio. Ovviamente questo sfizio se lo può permettere solo che ha parecchi soldi perché può costare fino a 200.000 euro e prosperano agenzie specializzate, con tanto di catalogo per la scelta del probabile aspetto fisico del nascituro, che viene trattato come una merce qualunque, anche se estremamente costosa. Si può tranquillamente ipotizzare anche il rifiuto del prodotto finito in caso risulti difettoso, tenuto anche conto che in nove mesi può accadere di tutto, compreso lo scoppiamento della coppia acquirente.   

In Italia questa pratica è proibita.

La battaglia per renderla legale è in corso: “è mio un diritto essere madre, è mio diritto essere padre”.

Ho cercato dappertutto e non sono riuscito a scovare questo accampato “diritto”, né tra i diritti civili, né tra quelli sociali, né tra quelli politici, nonostante gli strilli e gli sproloqui dei vari partecipanti ai dibattiti TV. Non poteva essere altrimenti perché la risposta è banale: è un diritto che non esiste.

Si tratta di un’aspirazione, un desiderio, una voglia, uno sfizio, una moda, chiamatelo come volete ma non è un diritto. 

Finché si potrà godere del diritto (questo sì) alla libertà di opinione e di pensiero, continuerò a ritenere che l’unico con questa pratica ad essere trattato come un oggetto è il bambino e chi deliberatamente lo priva del padre o della madre o di tutti e due, compie un atto criminale.

Si stanno arrampicando sugli specchi per inventarsi ogni sorta di devianze. Teorizzano la società liquida e il sesso fluido che sarebbe il decidere di volta in volta, a seconda dei momenti, di essere maschio o femmina. C’è una stimatissima associazione governativa australiana, l’AHRC, che tra maschio e femmina ha censito ben 23 generi sessuali (per ora, aggiungo io), roba da matti.

Sempre in virtù di quel diritto che pretendo di avere, mi riferisco alla libertà di opinione, dico che ciò che combinano in privato quelli che oggi vengono identificati con una serie di termini e di sigle impossibili da decifrare non mi interessa, tutti i gusti son gusti come diceva il famoso gatto del proverbio, ma lasciate stare i bambini.