Gli anni in cui Diego Armando Maradona militò nel Napoli furono davvero memorabili. Dal 1984 al 1991 la squadra partenopea conseguì grandi risultati collezionando più titoli. Il collettivo calcistico era formato anche da giocatori altamente qualificati grazie ad acquisti oculati e indovinati.
Nel campionato 1990/91 vestiva la maglia del Napoli il difensore sinistro Ivan Rizzardi, il solo calciatore della terra bresciana ad aver giocato con il fuoriclasse argentino.

D. Rizzardi, secondo lei calciatori si nasce o si diventa?
R. «Si nasce. Nessuno lo diventa, altrimenti saremmo pieni di calciatori».  

D. Lei come è diventato calciatore proprio nel ruolo di difensore?
R. «È una storia un po’ particolare, nel senso che io sono nato come attaccante giocando nel mio paese, un paesino nel bresciano. Andai nella Cremonese come attaccante fino agli allievi. Poi negli allievi trovai un allenatore che mi spostò a fare l’esterno sinistro basso. Da lì è cominciata la mia, diciamo, escalation, fino alla squadra primavera. Sono andato in prestito un paio d’anni al Derthona in serie C e poi sono tornato nuovamente nella Cremonese. Quindi, le componenti sono: fortuna e trovare la persona giusta dall’altra parte, che abbia fiducia in te. Per me è stato fondamentale avere un allenatore che mi ha cambiato ruolo altrimenti, con modestia, non sarei arrivato dove sono arrivato».

D. Chi è stato questo allenatore?
R. «Purtroppo non c’è più, Giovanni Gatti».

D. Qual è stato il tuo miglior campionato disputato in serie A?
R. «Il miglior campionato in serie A è stato quello con la Cremonese, anche se le presenze non furono moltissime perché ebbi un grosso infortunio. Credo che tra Napoli, Bari e Cremonese il migliore sia stato proprio quello con la Cremonese». 

D. Che significato ha per lei aver giocato con Maradona nel Napoli?
R. «Il significato è stato soprattutto a livello personale, perché, come dico sempre, Maradona è stato il più grande calciatore di tutti i tempi, ma ancora più bravo come persona, con tutti i suoi difetti, limiti e con tutti i suoi vizi. Per me è stato, come per tutti i suoi compagni, una persona splendida, disponibile, umile, generosa, di tutto e di più». 

D. Ha qualche aneddoto da raccontarci?
R. «Ce ne potrebbero essere tanti. Ricordo l’aneddoto che non fu molto positivo. Quando andammo a giocare a Mosca in Coppa Campioni, in quell’occasione arrivò di notte ed eravamo tutti fuori ad aspettarlo perché aveva avuto dei problemi con la società e deciso di non partire con noi. Il momento più importante fu proprio quello, perché si vide proprio l’attaccamento di noi compagni nei suoi confronti. Un altro aneddoto è questo: una volta c’era usanza che gli arbitri prima della partita facessero l’appello. Maradona, nel riscaldamento faceva del calcio a tennis, e gli arbitri aspettavano che arrivasse. Di solito non funziona così: quando l’arbitro arriva noi calciatori siamo già tutti lì, invece con Maradona era l’opposto…».

D. Cosa ricorda di quella partita storica che consentì al Napoli di aggiudicarsi la Supercoppa italiana battendo la Juventus con un clamoroso 5 a 1?
R. «Ricordo soprattutto il “San Paolo”. Entrammo in campo e c’era uno stadio esaurito che urlava il nome di tutti noi e che tifò per ben 95 minuti (inclusi i minuti di recupero) solo per il Napoli. Forse è stata la partita dove ho visto un pubblico straordinario; il pubblico napoletano è splendido e importante, che non ho più rivisto»

D. Cosa rappresentano per lei le città di Cremona, Napoli e Bari?
R. «Cremona è la mia città, anche se sono bresciano e vivo ancora a Brescia e mi sento bresciano; però mi sento anche parecchio cremonese. Cremona è la città che mi ha dato tanto. Ancora oggi la frequento più di Brescia.
Napoli è una città meravigliosa, composta da persone splendide. È una città in cui bisogna sempre ritornare perché ti dà delle emozioni forti ed è la città che, calcisticamente parlando e a livello di tifo, mi ha dato parecchio.
Bari mi ha dato poco, se non a livello di amicizie. Anche calcisticamente mi ha dato poco, forse per demeriti miei o per demeriti degli altri, non sto a sindacare; però mi ha dato alcune amicizie che rimangono ancora dopo trent’anni…».

D. Quali compagni di squadra porta nel cuore della sua carriera?
R. «Guarda Carlo, ho la fortuna di avere ancora tantissimi amici nel calcio; amici con la a maiuscola. Nel Napoli, per esempio, abbiamo un gruppo di settanta ex giocatori partenopei, da Insigne fino a Juliano, quindi ci sono tante generazioni. Napoli mi ha dato anche il mio più grande amico, che è Andrea Silenzi. Il calcio mi ha concesso anche tanti altri amici come Domenico Progna, Marco Nicoletti (che sento quasi tutte le settimane), Felice Garzilli, Filippo Citterio, Luigi Gualco, Walter Viganò, Michelangelo Rampulla… Difficile poi menzionarli tutti».

D. Lei ha terminato la sua carriera ai grandi livelli nel 1993 indossando la maglia del Bari allenato da Giuseppe Materazzi. Ha dei rimpianti?
R. «Non ho dei rimpianti. Se le cose succedono è perché devono accadere. La cosa che mi ha segnato parecchio, a livello sportivo, fu il comportamento del Bari di Materazzi e di tutti gli altri che ebbe nei miei confronti».

D. Se non siamo indiscreti possiamo conoscerlo?
R. «Per un anno intero io e il collega Domenico Progna fummo mandati ad allenarci in una palestra. Indipendentemente dalle scelte di un allenatore, una società deve portare rispetto alle persone. Sono cose che possono accadere. Però, mi dette molto fastidio questo loro comportamento. Considerandomi una brava persona, mi dispiacque molto essere stato giudicato solo in base ad un discorso sportivo».

D. Guardando alla prossima stagione ritiene che il Napoli possa riconquistare lo scudetto?
R. «Credo di no. Dal momento che l’allenatore Spalletti è andato via, credo che non ci siano più le condizioni per poter ripetere questo anno. Quando un allenatore se ne va dopo aver vinto, a mio avviso, sembra quasi che il “giocattolino” sia rotto… Al Napoli, però, auguro di poter vincere dieci scudetti di fila…».