Siamo in molti ad ascoltare le sue canzoni. In oltre cinquant’anni di carriera il suo pentagramma ha impreziosito il repertorio di tanti cantanti e cantautori di successo.
Un tempo leggevamo il suo nome soprattutto sui 33 e 45 giri e sulla copertina delle cassette oppure sui canzonieri e sugli spartiti.
Oggi i canali social dicono molto di lui e ci consentono di conoscere immediatamente la sua eccezionale e sorprendente produzione musicale.
Stiamo parlando del noto musicista Oscar Prudente.

D. Maestro Prudente, leggendo la sua vasta biografia emerge una personalità straordinaria: cantautore, compositore, produttore e discografico. Come le piace definirsi?
R. «Premetto che sono di origini pugliesi e sono nato alla fine della guerra, il 9 gennaio 1944, sotto le bombe, in una cittadina della provincia di Genova che si chiama Rossiglione e in cui si erano rifugiati i miei genitori. Al termine della guerra i miei genitori ritornarono a Genova dove, alcuni anni prima era emigrato mio padre per lavoro. Sin da bambino avvertivo una certa musicalità. Quindi si nasce con delle predisposizioni particolari. A otto anni appena, in un mercato di Genova vicino al porto e accompagnato da mia madre, avevo posato gli occhi su un’armonica a bocca della marca “Piccolo” in vendita su un banchetto e che possiedo tuttora. La guardavo insistentemente fino al punto che il proprietario me la fece provare e poi me la regalò. Da quel momento la suonavo dalla mattina alla sera. Certamente la suonavo ad orecchio, riuscendo a intonare canzoncine adatte a quello strumento non professionale. Quando suonavo coinvolgevo tutto il vicinato. Da quel momento iniziò la mia avventura musicale. Difficile definirmi… Ho realizzato molte cose… Cantautore è limitativo e non lo sono anche perché delle canzoni che ho composto mi sono occupato della parte musicale e solo qualche testo. Ho avuto la fortuna di collaborare con gli artisti più bravi d’Italia da Ivano Fossati, Mogol, Bruno Lauzi, Giancarlo Bigazzi, Lucio Battisti ecc… Il mio primo strumento è stata la batteria, che iniziai a studiare a quattordici anni in una scuola di musica vicina alla mia casa, dove si erano formati grandi batteristi come Natalino Otto, che andavano in tournée sulle navi. Presto diventai un prestigioso batterista al punto che, nel 1960, abbandonai la scuola per una tournée in Italia con la band di rock and roll di Colin Hicks. Grazie alla batteria trovai lavoro in più gruppi e conobbi Luigi Tenco, che fu il mio “fratello maggiore”. Luigi amava il jazz e veniva tutte le sere con il sax alto a suonare con me. Si suonava fino alle ore 4 del mattino e poi andavo a dormire sui banchi di scuola… nonostante sia quasi riuscito a terminare l’università con estremi sacrifici… Insomma, fu la batteria che mi portò a suonare per l’Italia. Tramite Luigi Tenco conobbi Nanni Ricordi, che fu il mio primo produttore e che mi consentì di partecipare al Cantagiro nel 1968, dove conobbi Lucio Battisti. Io cantavo una canzone dal titolo “Benvenuto fortunato” e Lucio “Balla Linda”. Fu lo stesso Lucio a propormi di andare a Milano dove, insieme a Mogol, avevano fondato la casa discografica Numero Uno. Nel frattempo, sempre grazie a Nanni Ricordi, conobbi Dario Fo, con il quale feci due tournée in Italia e perfino in Europa. Credo di essere l’unico, insieme ad Enzo Jannacci, ad aver firmato una canzone con Dario Fo, premio nobel della letteratura.
Ripeto, è difficile, quindi, definirmi avendo fatto molte cose. Credo di essere un artista e di possedere una sensibilità eclettica particolare e di non aver approfondito niente. Ho scritto colonne sonore, canzoni e vanto anche il primato della sigla più longeva della RAI -“Domenica Sprint”- che realizzai con Mario Lavezzi alla chitarra, Tullio De Piscopo alla batteria e altri musicisti».

D. Sebbene non sia facile appunto parlare della sua lunga carriera ricca di collaborazioni con protagonisti della cultura e della canzone italiana – come per esempio Dario Fo, Bruno Lauzi, Lucio Battisti, Fabrizio De André, Mogol, Ivano Fossati, Cristiano Minellono, Enzo Jannacci ecc. -, può evidenziare i suoi successi?
R. «Carlo ho scritto tantissime cose e alcune di esse sono rimaste nel cassetto per tanto tempo. Per esempio, la canzone “Pensiero stupendo”, che scrissi con Ivano Fossati, rimase nel cassetto per molto perché li per lì non fu capita. Quando Ivano terminò la sua esperienza con i Delirium la fece sentire a Patty Pravo, che capì la canzone e fu un successo. Un altro successo, come ripeto, fu la sigla di Domenica sprint e poi “Margherita non lo sa” per Dori Ghezzi. Questa canzone mi fu chiesta direttamente dallo stesso Fabrizio De André, che incontrai in galleria a Milano. Un’altra canzone fu “Dolce Rompi” interpretata da Adriano Celentano, che scrissi sul testo di Giancarlo Bigazzi. Fu Caterina Caselli ad accompagnarmi in casa da Celentano, che schivo com’è accettò di vedermi e di incidere il brano». 

D. Come quando e perché nascono le sue canzoni e le sue composizioni musicali?
R. «Vengono dal muoversi e dal conoscere, da mille interessi, leggo e faccio… Quando scrissi la canzone “Benvenuto fortunato”, con la quale partecipai al Cantagiro 1968, proprio non c’entrava niente con tale manifestazione e la critica capì che era diversa dalle altre. Infatti arrivai ultimo e Lucio Battisti arrivava sempre tra i primi posti.
Dopo aver scritto “Margherita non lo sa” per Dori Ghezzi diventai amico di Fabrizio De André; avevamo molte cose in comune e mi occupai anche del suo Long Playing “L’indiano” curando tutti gli arrangiamenti e di scrivere l’intero LP di Dori Ghezzi che si chiama “Piccole donne”.
Sono tutte cose che nascono casuali, non perché mi metto lì appositamente a scrivere una canzone, questa cosa non mi è mai capitata.
Quando Gianni Morandi si divise dalla moglie io e Ivano Fossati abbiamo realizzato per lui un intero LP intitolato “Il mondo di frutta candita”. Io ho composto tutte le musiche e Ivano ha scritto tutti i testi.
Durante il covid ho terminato di scrivere producendo un Long Playing dal titolo “Questo nostro amore”, un vinile di canzoni brasiliane in genovese che avrei voluto realizzare con il mio grande amico Bruno Lauzi, che già aveva inciso una canzone del genere,“O frigideiro”, nel 1962. In questo caso, pensando a Bruno Lauzi, sono nate queste canzoni».

D. Cosa la colpisce maggiormente della sua carriera?
R. «Soprattutto il mio entusiasmo. Ancora oggi, come dice Gino Paoli, “non so ancora cosa farò da grande…” Mi colpisce l’interesse per tutto ciò che è arte, dalla lirica al teatro di cui ho fatto parte facendo il cantattore con Dario Fo, dal Jazz alla musica leggera… Sono le mie passioni che spaziano un pò qua e un pò là e che non ho mai approfondite. Tanti autori, per esempio, si ripetono nelle loro canzoni. Io non ci riuscirei mai. Se ascolti le mie canzoni ti chiedi: cosa centra “Pensiero stupendo” con “Jesahel”? Niente! Sono tutte diverse».

D. Quali pensieri le suscita l’ascolto delle sue canzoni interpretate anche da grandi cantanti italiani?
R. «Alcune canzoni mi fanno venire i brividi ancora di più rispetto a quando le composi. Altre sono riuscite un pò meno, anche se pensavo riuscissero meglio. Tante volte, specie nella musica leggera, non basta la melodia da sola per emozionarti. In una canzone è determinante l’arrangiamento».

D. Per vari anni è stato direttore del Centro Europeo di Toscolano fondato da Mogol e oggi figura tra i suoi docenti. Quali sono le sue lezioni più importanti?
R. «Il concetto principale che ho sempre cercato di far capire a tutti gli studenti è quello di cercare di rinnovarsi. Lucio Battisti, per esempio, ad un certo punto della sua vita avvertì il bisogno, magari sbagliando, di rinnovarsi, cambiare, sperimentare. Un giorno andai a casa di Lucio, quando lavorava ancora con Mogol, e mi fece sentire delle cose. Gli dissi: “Che bella questa cosa che hai fatto”. E lui mi rispose: “Sì, però l’ho già fatta e non la voglio rifare!” E devo ammettere che questa cosa emozionava quanto quella che aveva fatto prima.
Agli allievi, soprattutto agli interpreti che iniziavano con delle voci pazzesche per manifestare la loro potenza, raccomandavo sempre di cantare con il cuore. Si canta soltanto con il cuore, altrimenti non si spiega perché Lucio Battisti e Bob Dylan, per esempio, sono arrivati in tutto il mondo. Certo se un interprete possiede una voce bella, intonata e potente va sempre usata, ma sotto l’emozione interna».

D. Al 1970 risale il suo viaggio a cavallo per l’Italia con Mogol, Lucio Battisti e Mario Lavezzi. Come nacque questa idea capace di passare alla storia?
R. «Fu un’idea di Mogol, da sempre “l’uomo delle grandi avventure”, e convinse Lucio Battisti, suo malgrado, essendo pigro di natura. In quel momento lavoravo alla Numero Uno; pensa, fui assunto come fattorino e sapevo leggere bene anche le carte topografiche. Mogol e Lucio mi proposero di andare con loro. Accettai. Mi affidarono una land rover che trainava una roulotte. Avevo tracciato loro il tragitto, li precedevo e Lucio e Mogol poi mi raggiungevano a cavallo nel luogo dove trascorrevamo la notte. Poi ad un certo punto dovetti abbandonare e proseguì la nostra avventura per l’Italia Mario Lavezzi». 

D. Su di lei è anche scritto: «Autore e interprete poliedrico, capace di cambiare melodia e armonia a strumentazioni ricche di pathos e di atmosfera, non raggiunge mai la notorietà che meriterebbe per il suo contributo al repertorio della canzone italiana». Non concordiamo sul fatto che non ha raggiunto la sua notorietà. Purtroppo in Italia si ascoltano le canzoni e si applaudono i cantanti ma spesse volte non vengono menzionati gli autore delle canzoni, non le sembra?
R. «È vero Carlo. Spesso si parla della canzone e di chi la canta e molti artisti, a volte, dipendono dalla invenzione degli autori. La persona che ha scritto quelle parole su di me ha voluto farmi un complimento…».

D. Dalla sua genialità artistica cosa dobbiamo ancora aspettarci?
R. «Molti mi hanno chiesto di scrivere un libro sulla mia esperienza artistica».