Il 26 luglio 1993 costituisce una data importante e significativa per le pagine storiche del nostro paese. In quel giorno si sciolse la Democrazia Cristiana che aveva governato ininterrottamente il popolo italiano sin dall’immediato dopoguerra.
Questo anniversario non poteva passare sotto silenzio nelle pagine del nostro giornale. Quindi, pensando di far cosa gradita ai nostri lettori, ne abbiamo parlato con il senatore Carlo Amedeo Giovanardi, membro del Parlamento per più legislature e vice presidente della Camera dei deputati.

D. Senatore Giovanardi, quali furono i processi evolutivi e gli eventi che determinarono la fine della Democrazia Cristiana?
R. «La Democrazia Cristiana, guidata da Arnaldo Forlani, aveva conseguito quasi il 30 per cento dei voti alle elezioni politiche del 1992 e assieme ai suoi alleati, come sempre nel dopoguerra, aveva superato il 50 per cento, cioè la maggioranza assoluta. Sotto i colpi di quella specie di colpo di stato che fu la devastante operazione definita Tangentopoli Forlani si dimise e divenne segretario Mino Martinazzoli, esponente della sinistra del partito. Più ancora che per la caduta del Muro di Berlino e la tempesta giudiziaria la svolta nel quadro politico si determinò con la decisione di Martinazzoli di abbandonare il sistema elettorale proporzionale per passare al cosiddetto Mattarellum, un sistema misto con l’ elezione del 75 per cento dei deputati in collegi uninominali e il 25 per cento con il sistema proporzionale.
In un tesissimo Consiglio Nazionale il sottoscritto, Bodrato e Giliberti denunciarono, invano, il pericolo che il superamento del proporzionale finisse inevitabilmente per polarizzare la lotta politica tra due blocchi contrapposti, visto che nei collegi uninominali il vincitore portava via  tutto ed ai perdenti toccava nulla.
Silvio Berlusconi fu il più svelto a capire il meccanismo e nel 1994 alleando la neonata Forza Italia con il Centro Cristiano Democratico, la Lega al Nord e l’ MSI al Sud vinse le elezioni facendo il pieno nei collegi uninominali».

D. Quale fu il gruppo dirigente e fondatore del Partito Popolare? E in questo gruppo quale ruolo esercitò Mino Martinazzoli?
R. «Mino Martinazzoli e la sinistra DC che lo sosteneva hanno avuto una enorme responsabilità non soltanto per il cambio del sistema elettorale ma anche per aver sciolto la Democrazia Cristiana trasformandola in Partito Popolare con una serie di colpi di mano attraverso i quali vennero azzerati tutti gli organismi eletti a tutti i livelli in democratici congressi, sostituiti da Commissari inviati da Roma.
Avvicinandosi le elezioni politiche il sottoscritto, Casini, Mastella, D’ Onofrio, Fausti, la Fumagalli Carulli chiedemmo in un teso colloquio con  Martinazzoli a Piazza del Gesù la convocazione di un Consiglio Nazionale per discutere come affrontare le elezioni con il nuovo sistema elettorale. La risposta fu : con Voi non parlo di politica, al massimo vi posso dare qualche posto nelle liste.
Apprezzate le circostanze decidemmo allora di fondare il Centro Cristiano Democratico che nel 1994 si schierò con il centro destra».

 D. A suo avviso era fatale la formazione di due partiti, Partito Popolare da una parte e Centro Cristiano Democratico dall’altra?
R. «Per me fu una scelta inevitabile essendo saltati i due presupposti essenziali che avevano fatto forte e credibile la Democrazia Cristiana: il sacro rispetto delle regole democratiche e del pluralismo interno con spazi garantiti per maggioranza e minoranze e un patrimonio di valori condivisi che come in tutta Europa la rendeva alternativa ai partiti di ispirazione marxista da una parte e neofascisti dal’ altra».

D. Ritiene che la fine della Democrazia Cristiana abbia determinato anche la fine dell’unione politica di tutti i cattolici?
R. «Purtroppo si: l’aver teorizzato che bisognava stare o di qua o di là ha comportato l’inevitabile spaccatura del centro sino a determinare la successiva confluenza di gran parte della sinistra Dc nel Partito Democratico e l’adesione di tantissimi cattolici a partiti sovranisti come la Lega e Fratelli D’ Italia».

D. Possiamo definire il Partito Democratico la voce del Partito Popolare o la continuità della stessa Democrazia Cristiana? Vi riscontra degli elementi collegabili alla vecchia Democrazia Cristiana?
R. «Sinceramente penso che se ai tempi di Peppone e Don Camillo, al di là della contrapposizione ideologica, esistevano comunque valori condivisi dalla base cattolica e quella comunista (per esempio sulla visione della famiglia).
La trasformazione del PD targato Schlein in un partito radicale di massa ha reso incompatibile la militanza dei cattolici in quel partito, a meno che non si vogliano abbandonare i cosiddetti principi non negoziabili e voltare le spalle a tutta le storia delle Encicliche papali sui temi economici e sociali».

D. Secondo lei, oggi ci sono le condizioni per istituire un partito unico dei cattolici?
R. «Per chi come me non è né sovranista  né di sinistra l’ unica strada percorribile è quella di lavorare nel centrodestra per ricostituire,  così come esiste in tutta Europa, un area popolare, liberale, di ispirazione cristiana, collegata al partito popolare europeo.
Ci stiamo provando con Popolo e Libertà, che vuol mettere assieme le decine di esperienze diffuse sul territorio che si muovono in questo ambito, non partendo da Capi e Capetti ognuno dei quali si crea un partito personale, ma attraverso congressi a tutti i livelli per la scelta democratica della classe dirigente.
Nessuno deve rinunciare alla sua identità organizzativa e alla sua sensibilità particolare su certi temi, ma come avveniva nella DC le tantissime correnti organizzate non potevano mettere in dubbio l’ unita’ del partito e la possibilità per tutti gli iscritti a tutti i livelli di diventarne segretario pro tempore vincendo i congressi».

D. Senatore Giovanardi, ha nostalgia della Democrazia Cristiana?
R. «La nostalgia per la DC è grande tanto è vero, lo dico ironicamente, ne esistono attualmente una decina che passano il tempo in Tribunale a denunciarsi a vicenda per determinare chi di loro sarebbe il vero erede.

Quel nome e quel simbolo vanno lasciati alla storia, oggi va invece ricostituito un partito come presidio di esercizio democratico in difesa di principi e valori condivisi su temi antropologici, ambientali, economici, di giustizia  e di politica estera, alternativo alla sinistra ma distinto nel centro destra dai partiti  a vocazione sovranista».