Navigando in rete su siti che parlano di scuola (ognuno ha le sue perversioni) mi sono imbattuta in questa frase: scritta proprio così, con le iniziali maiuscole, il che avrebbe dovuto dissuadermi a prescindere dal leggere il resto dell’articolo. Invece l’ho letto, e meno male, perché si trattava semplicemente di una provocazione: in realtà il contenuto andava in una direzione diversa, e faceva una critica non alle valutazioni di fine anno in sé, quanto alla pratica diffusa di gonfiarle (se volete rintracciare l’articolo in questione digitate le parole proprio come sono scritte e Google lo troverà in un istante).
Il sito – si chiama Your Edu Action – è gestito da docenti nel più totale anonimato; che si tratti di docenti si evince dai commenti ai vari interventi. L’autore, o autrice, di quello che ha destato la mia curiosità deve essere molto giovane se si meraviglia di quello che accade negli scrutini finali, che non è né una pratica inconsueta né imputabile esclusivamente alla Buona Scuola; per quanto io sia notoriamente critica verso quel progetto devo riconoscere che gli aiuti, nelle valutazioni conclusive, ci sono sempre stati, anche quando ero studente io. E a patto che non si esageri li trovo anche una prassi corretta.
Mi spiego meglio. I voti non sono tutti uguali, perché non sono tutti uguali i ragazzi: un 6 ottenuto con fatica vale quanto un 8 raggiunto senza sforzo, e lo stesso 5 può arrivare da percorsi diversi. Può essere frutto di un lento ma costante miglioramento, e allora va premiato, o può essere il risultato di un brusco calo nell’impegno, e allora si può anche decidere di dare un segnale forte alla famiglia. La quale sarà debitamente informata sulle motivazioni in ogni caso: sia che ci sia stata una bocciatura, che un giudizio sospeso fino a settembre con gli esami di riparazione o un aiuto in una specifica disciplina.
Nelle scuole serie, e la maggior parte lo sono anche se l’articolo non lo dice, si usa il buon senso nel decidere di promuovere o bocciare uno studente; e certo ogni singolo caso viene valutato attentamente. I fattori in gioco sono tanti: se si tratta di uno studente che frequenta il primo biennio ci può essere una severità maggiore da parte dei docenti, perché se un ragazzo o una ragazza hanno sbagliato scuola è bene che decidano subito se sia il caso di cambiarla. Se uno studente è già ripetente, se ha avuto problemi di natura personale, di salute, familiare, certamente si cercherà di avere un occhio di riguardo. Se invece un altro ha proprio rifiutato di studiare una materia per tutto l’anno avrà sicuramente una valutazione negativa in quella materia, con le conseguenze del caso.
Ecco, tutto questo si può misurare soltanto attraverso le valutazioni. Ogni anno si riapre il solito dibattito: i ragazzi non sono i “numeri” con cui vengono etichettati a scuola, ci sentiamo dire. Ma noi docenti lo sappiamo benissimo, è una verità talmente ovvia che non serve ricordarcela. Il voto numerico è semplicemente una misurazione oggettiva, chiara e onesta, di un lungo lavoro svolto o non svolto.
A me, se devo essere sincera, è sempre piaciuta la valutazione attraverso i numeri, più che quella attraverso i giudizi, che trovo più fumosa. E i ragazzi stessi non se ne lamentano, perché ci sono abituati; le lamentele vengono sempre dall’esterno, e spesso da chi a scuola ci è andato decenni fa.
I problemi, nella scuola, mi sembrano altri. Le classi troppo numerose, i programmi da svecchiare e rimodulare, la burocratizzazione del lavoro dei docenti, una formazione in itinere continuamente richiesta che non sempre serve a migliorare la didattica, ma di sicuro ci complica la vita.
Ma questa è un’altra storia, di cui, con le vacanze alle porte, nessuno ha voglia di sentir parlare.
Stefania Berti