“Il ballo di Simone” compie cinquantacinque anni e non li dimostra affatto.
Lo hanno ballato i nostri genitori, ha accompagnato la nostra crescita ed è gradito tutt’oggi dai nostri figli e dai nostri nipoti come fosse una canzone appena lanciata. Possiamo quindi definirla senza tempo.
La sua incisione si deve al gruppo “Giuliano e i Notturni”, la cui durata fu molto breve, ma sufficiente per imprimere il proprio nome negli annali della musica leggera italiana.
Siamo andati a conoscere il solista di quel gruppo, Giuliano Cederle, che ben volentieri si è trattenuto a parlare con noi.
D. Nelle pagine di Wikipedia si legge: «Giuliano e i Notturni è un gruppo musicale italiano bubblegum pop e beat, attivo tra il 1968 e il 1969». Giuliano, può parlarcene?
R. «Eravamo sei amici di Vicenza, facevamo musica e non avremmo bisogno di nessuna gavetta per giungere al successo. Eravamo bravi a suonare e bravi musicisti. Si presentò l’opportunità di incidere la canzone “Il ballo di Simone”, che, in effetti, è una “canzoncina” che appartiene a quel genere di brani da realizzare, “masticare” e poi dimenticare. Invece non è stato così, perché a distanza di cinquantacinque anni “Il ballo di Simone” viene ancora ascoltato e ballato in tanti paesi come fosse una canzone sempre verde».
D. Come andarono precisamente le cose?
R. «Noi lavoravamo per la casa discografica Ri-Fi ed io, in quel periodo, siamo nel 1968, stavo partecipando al varietà televisivo “Settevoci” e riuscendo a vincere più di tutti gli altri partecipanti ebbe modo di prendere parte alle due finali. Praticamente diventai così il cantante solista. La casa discografica Ri-Fi, in cui c’erano, tra l’altro, Mina, Fausto Leali, Iva Zanicchi, Fred Bongusto, I Giganti ecc…, decise così di farmi proseguire come, appunto, solista. Poi mi proposero la canzone americana “Simon Says”, della quale avevano acquisito i diritti e i cui dischi erano tra i primi in classifica in tutto il mondo. Nessuno la voleva interpretare e fu affidata a me, che ne scrissi nuovamente il testo rendendola più semplice e simpatica. La sua fortuna fondamentale fu il titolo: da “Simon Says” è diventato “Il ballo di Simone” e di conseguenza “il ballo degli anni Sessanta”, come ricorda Carlo Conti durante le sue trasmissioni».
D. Da chi era composta la band Giuliano e i Notturni?
R.«Oscar Sandri era il batterista, che, tra l’altro, era anche un bravissimo cantante ed era lui a introdurre le nostre esibizioni e poi proseguivo io. Alla chitarra c’era Pierluigi Ronzan, uno dei fondatori del gruppo. Poi c’erano il bassista Giuseppe Tognon, il sassofonista Gianni Vettorel e l’organista Radames Trevisan».
D. Come avvenne la scelta del nome “Giuliano e i Notturni”?
R. «Era difficile trovare un nome in quel periodo, perché c’erano tanti gruppi. Ogni paesino aveva il suo gruppo… Fu un nome che trovammo sul vocabolario e ci piacque anche perché noi ci esibivamo sempre di sera, ossia di notte».
D. Come spiega la sua breve durata?
R. «Dopo aver partecipato al Festivalbar con la canzone “Il ballo dei fiori” scritta da Mogol, dovetti assolvere il servizio militare e, quindi, non mi fu più possibile partecipare a trasmissioni o tenere concerti».
D. Negli anni successivi si sono verificati dei tentativi per ricomporre il gruppo?
R. «No, perché ognuno di noi trovò un lavoro sicuro. In quegli anni iniziarono a prendere anche il sopravvento i cantautori come De Gregori, Venditti, Lucio Dalla… e molti gruppi musicali scomparvero. Ne rimasero alcuni come i Pooh, che negli anni Sessanta non erano un gruppo molto popolare. I Pooh mi facevano da spalla in più serate».
D. Cosa le suscita nel cuore l’esperienza musicale vissuta nel gruppo “Giuliano e i Notturni”?
R. «Noi ci siamo trovati già nel successo senza, come ripeto, aver fatto nessun genere di gavetta e quello che incontravamo ogni giorno era grandioso. La gente che ci correva dietro, che chiedeva autografi e che non ci lasciava mangiare quando eravamo al ristorante. Non eravamo abituati ad affrontare certe situazioni e, sebbene il nostro “Ballo di Simone” fosse in vetta alla hit parade per diversi mesi, noi andavamo a chiedere gli autografi ai grandi cantanti del momento. Nel corso di questi ultimi anni mi è capitato di incontrare Vasco Rossi, Eros Ramazzotti, Zucchero, Simone Cristicchi e tutti mi dicono: “Sapessi quante volte abbiamo suonato Il ballo di Simone…”».