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Roberto Vecchioni: l’autorevolezza di un pensiero e lo splendore di un’opera I intervista di Carlo Pellegrini

Quando si termina di leggere alcuni profili biografici del celeberrimo cantautore Roberto Vecchioni, (il mondo del web ne offre numerosi), possiamo affermare che quest’uomo è veramente un genio.
Ci sembra banale elencare la fecondità del suo talento artistico e letterario quando ha raggiunto gli angoli più lontani del mondo. La sua ricca discografia, la sua produzione editoriale e la sua raffinata vena poetica appaiono chiare ed evidenti. Né può essere sottaciuta la sua lunga docenza accademica in più università italiane. Alcuni sostengono che possa meritarsi il Premio Nobel per la letteratura. Anche noi crediamo che possa essere un riconoscimento adeguato ad un grande artista come Roberto Vecchioni.

D. Prof. Vecchioni, cosa ha significato nella sua vita essere un cantautore di successo, docente liceale di greco e latino, docente universitario e uomo di vasta cultura?
R. «Ha significato che la vita bisogna prenderla così. Cercare tutto. Tutto quello che hai dentro devi esprimerlo in tutti i modi e nelle forme possibili e immaginabili. Io avevo dentro una passione straordinaria per la vita e gli uomini, per le speranza e i sogni e ho potuto anche fare musica oltre che in parole e in altro. Non mi sono mai fermato. Secondo me era il mio compito. Era il mio destino».

D. Quali delle sue canzoni possiamo definire “culturali”?
R. «Quasi tutte. Ce ne sono alcune incomprensibili. Altre che nessuno ascolta. Altre che hanno riferimenti classici ma mitigate. Le culturali sono quelle che parlano del mondo antico, della Grecia, del classicismo, ma anche di personaggi di oggi importanti che sono degli archetipi, degli esempi per un certo tipo di vita come Arthur Rimbaud, van Gogh quelle sono prettamente culturali. Poi ci sono canzoni  personali  di amore, per l’ amicizia, la vita, gli altri che sono la metà. Si dividono in metà e metà».

D. Quanto ha inciso la sua formazione culturale nella composizione delle sue canzoni e, conseguentemente, nel suo successo?
R. «L’ho rallentata molto perché se dovevo fare canzoni culturali venivano fuori inascoltabili, troppo complesse, complicate e anche un pò supponenti e presuntuose. Invece ho tentato sempre di paragonare il passato al presente e di dare una possibilità di lettura abbastanza comoda anche se  ricche di metafore e di simboli».

D. In quali modi, nel corso degli anni, ha alimentato la sua vena poetica e il suo pentagramma?
R. «Ci sono stati molti cambiamenti. Gli anni Sessanta, direi anche gli anni Settanta, sono stati anni di molte parole, molte, molte. Poca musica e molte parole. Molti temi, molti racconti, molta classicità ecc. Poi, gli anni Ottanta sono stati gli anni  di crisi, ho cercato altre vie a volte anche troppo semplici, troppo facili. Però dai Novanta in poi ho trovato la strada che era un mitigare fare, sì che la canzone d’autore avesse sì uno spessore ma fosse leggibile popolarmente».

D. Cosa suscitano le parole, “errore” e “ingiustizia”?
R. «Significano rivincita. Significa che ci saranno sempre errori in questo mondo e ci saranno sempre ingiustizie. Possiamo mitigare e poi c’è una battaglia da fare: la battaglia è quella del cantare e parlare ai ragazzi tantissimo per tentare di fargli prendere almeno un indirizzo compatibile con la vita, la natura, l’arte e la cultura». 

D. Nella sua canzone “Chiamami ancora amore” alcuni versi recitano: “Le idee sono come farfalle che non puoi togliergli le ali perché le idee sono come le stelle che non le spengono i temporali”.
Al mondo di oggi, a suo avviso, in quali ideali dobbiamo credere, quali sostenere e promuovere?
R. «Dobbiamo, a volte, fare buon viso a cattivo gioco, succede anche questo effettivamente. Dobbiamo far sapere a tutti, ai ragazzi e non ai ragazzi, che qualsiasi attività, qualsiasi lavoro, qualsiasi tecnica, qualsiasi scienza del futuro passano attraverso la cognizione culturale del passato, assolutamente; quindi, il senso alla vita non lo danno certamente la comodità, il guadagno, l’interesse del mondo. Il senso della vita lo danno il conoscere se stessi, conoscere la propria anima e il sapere che ci sono persone simili a te e ci sono valori di un tipo che non muoiono mai». 

D. Come si ritrova nel mondo della politica di oggi?
R. «Non mi trovo benissimo devo dire la verità. Anche la mia sinistra ha fatto un sacco di errori e ha fatto un sacco di pasticci in passato. Non mi trovo benissimo però sto con i miei e faccio resistenza. Resistenza culturale, che è quella che conta per me, e mi occupo e penso alle cose importanti non alle minuzie, perchè quando sbagliano “il congiuntivo” non me ne frega niente. L’importante è che diano libertà alle persone, diano giusti soldi a chi lavora e non ha una lira».

D. Quali canzoni ritiene “maestre di vita”?
R. «Ci sono canzoni che esprimono la libertà degli uomini, “Velasquez” per esempio, canzoni che sublimano l’amore per la famiglia “Figlia”, canzoni che sublimano l’amore per una donna che ha dato tutto nella tua vita come “Viola d’inverno” o “Chiamami ancora amore”. Sono tutte canzoni che al tondo di ogni qualsiasi significato hanno questo rapporto strettissimo d’amore con le cose, con la natura e con la vita». 

D. A quali titoli delle sue canzoni e dei suoi album è particolarmente legato?
R. «A quelle che poca gente conosce: “Le rose blu”, “L’ultimo spettacolo”, “Figlia”, “L’infinito”, “La stazione di zima”. Queste sono le canzoni che amo di più ma sono quelle meno conosciute».

D. Come si rapporta con la religione?
R. «Bene. Devo dire che abbiamo un buon rapporto. Migliora di giorno in giorno. Sono credente, sicuramente, e ho anche un grande afflato verso la possibilità che non tutto finisce qui ma c’è qualcosa dopo. Anche perchè non è possibile che un uomo sia così bello, così perfetto, così straordinario, dai fiori ai quadri di Leonardo, e poi non ci sia niente. È impossibile».

                                                                                               A mia madre