Il Napoli si è aggiudicato il terzo scudetto della sua storia.
A distanza di trentatre anni dal secondo scudetto, la squadra partenopea, allenata da Luciano Spalletti, si è imposta mirabilmente in un campionato che ha regalato momenti esaltanti ed effervescenti.
Complimenti, quindi, al Napoli e a tutta la città.
Riteniamo doveroso analizzare questo evento storico, capace di offrire anche immagini folcloristiche quali soltanto Napoli può concedere, ricorrendo alle parole di un professionista significativo del calcio italiano: Aldo Serena.
Egli, infatti, vanta una esperienza calcistica di alto livello per aver indossato maglie di Como, Inter, Milan, Torino e Juventus e una bacheca di successi nazionali e internazionali. 

D. Serena, immaginava la conquista dello scudetto da parte del Napoli?
R. «All’inizio del campionato non la immaginavo. Durante la stagione si, perché il Napoli ha giocato in maniera “divina”. Ha disputato anche partite a livello europeo, tipo quella ad Amsterdam contro l’Ajax, di altissimo livello. Il Napoli ha giocato un calcio strepitoso, bellissimo e anche redditizio. È giusto, quindi, che abbia vinto il campionato perché ha dimostrato di essere una squadra molto più forte delle altre». 

D. Qual è stato, a suo avviso, il valore aggiunto di questa squadra rispetto alle altre?
R. «Innanzitutto il gioco. L’allenatore Spalletti è riuscito a costruire un gioco efficace e che ha elevato le prestazioni dei suoi giocatori; e poi, soprattutto, i nuovi acquisti. La partenza di Insigne è stata all’inizio un po’ contestata ma l’arrivo di Kvaratskhelia, Kim e di Osimhen, giocatori non costosi e che oggi valgono cifre molto considerevoli, sono stati valori aggiunti.
 

D. Ritiene che il suo attaccante Osimhen sia tra i migliori al mondo?
R. «No, se lo si confronta a Haaland, Mbappé, Neymar che sono i giocatori sicuramente più forti, in questo momento. Osimhen è potenzialmente un giocatore che può inserirsi in una top ten, ma deve confermarsi anno dopo anno come stanno facendo quelli che ho nominato».                                                         .

D. Secondo lei, cosa manca al Napoli per essere una squadra competitiva per la Champions League?
R. «La squadra competitiva c’è stata insomma. Io pensavo che il Napoli arrivasse fino alla finale. È stato un momento di difficoltà nelle due partite contro il Milan. Il Milan ha giocato al massimo delle proprie possibilità e l’allenatore Pioli ha creato delle contromosse per alcuni giocatori del Napoli che hanno incartato il gioco di Spalletti. In queste due partite il Napoli non è riuscito a fare quello che di solito ha fatto, ma la squadra è molto competitiva. Per il prossimo futuro tutto sarà a vedere, anche a livello di Champions, se Spalletti rimarrà e se rimarrà felice, contento e se Giuntoli, che è il ds che ha fatto gli acquisti e che ha fatto il Napoli di questi anni, rimarrà qui o se ne andrà. Se ci sono movimenti di questo genere possono anche cambiare tutte le situazioni».

D. Tra i giocatori del Napoli di oggi c’è qualcuno che l’assomiglia?
R. «No, nessuno perché io avevo caratteristiche ben definite. Però quello che oggi preferiscono io ero il contrario. Kvaratskhelia sarebbe la mia ombra quello che io non sono. Apprezzo e ammiro molto Kvaratskhelia».

D. Nella sua straordinaria carriera calcistica è andato a segno più volte contro il Napoli. Quali goal ricorda particolarmente fra quelli segnati alla squadra partenopea?
R. «Realizzai una doppietta al Napoli alla terza giornata del Campionato 1984/85 quando giocavo nel Torino e Maradona era appena arrivato. Un goal che ricordo con piacere, anche se perdemmo la partita, lo realizzai a Napoli con la maglia della Juventus su assist di Platini». 

D. È stato considerato tra gli attaccanti più interessanti del suo tempo. Quali erano, a suo avviso, le sue caratteristiche distinguibili?
R. «Ero bravissimo nel colpo di testa, nel salto e nell’anticipare in area di rigore. Ero abbastanza lento quindi dovevo essere sempre in movimento, non ero un attaccate a 360°. Ero bravo a fare determinate cose e meno bravo a farne altre e se il gioco della mia squadra era in un certo tipo allora mi esaltavo, se, invece, il gioco della squadra verteva su caratteristiche di velocità e di contropiede ecco lì, sicuramente, non facevo bene».

D. I suoi goal sono numerosi, importanti e belli. A quali dà maggior valore?
R. «Il valore si dà per l’importanza della gara e soprattutto per il momento. Io ho realizzato dei goal in alcuni derby e in partite importanti e che poi hanno determinato la vittoria. Sono affezionato ad un goal che realizzai in rovesciata durante la partita Verona-Torino. Vincemmo 2 a 1. Al termine di quell’anno 1984/85 arrivammo secondi proprio dietro al Verona e per un non nulla potevamo vincere lo scudetto noi del Toro, se avessimo creduto di più. Io, a quel punto, sarei stato l’unico giocatore in Italia ad aver vinto lo scudetto con quattro maglie diverse e invece siamo in sei ad averlo vinto con tre maglie diverse».

D. Quali giorni considera indimenticabili durante la sua militanza nel Milan, Inter, Torino e Juventus, e vestendo la maglia della nazionale per 24 volte?
R. «Il 25 giugno 1990 festeggiavo 30 anni e il ct Vicini mi schierò in campo contro l’Uruguay. Vicini mi fece un bel regalo ed io me lo sono fatto facendo goal».

D. Quel Campionato del mondo fu veramente spettacolare e l’Italia meritava di vincerlo. Non le sembra?
R. «Eravamo la squadra più forte perché eravamo in un contesto di esaltazione grazie al pubblico romano che aveva qualcosa di speciale. Quello spirito che hanno ancora oggi i romani nel sostenere i calciatori, nell’essere presenti e nell’urlare per i novanta minuti mi ricordano le “notti magiche”».

D. Serena, per concludere, una ulteriore domanda… il suo cuore dove batte a Milano o a Torino?
R. «Da piccolo ero interista e sono ancora interista. Però un pezzo di cuore l’ho lasciato alla Juventus…».