L’8 maggio 1983, alle ore 17:45, la Roma conquistò, dopo quarant’anni, il secondo scudetto della sua storia. Fu evento eccezionale: la squadra evidenziò buon gioco, carattere e spettacolo. La vittoria fu meritata.
A parlarcene è uno dei protagonisti di quella pagina magnifica del calcio italiano: Sebastiano Nela, detto Sebino, giocatore di grande talento che vanta oltre 300 partite disputate nella massima serie e di aver vestito anche la maglia della Nazionale. 

D. Nela, a distanza di quarant’anni, come ricorda e come vede con gli occhi di oggi la vittoria dello scudetto della Roma al termine del campionato 1982/83?
R. «È un bellissimo ricordo. Negli anni fu costruita una squadra e un progetto che ci fece vincere quel campionato. La squadra era perfettamente forte. Basti ricordare qualche nome come Carlo Ancelotti, Roberto Pruzzo, Bruno Conti, Paulo Roberto Falcão, Herbert Prohaska, Pietro Vierchowod… Insomma eravamo una squadra forte. Possiamo definirlo un periodo d’ oro perché sono seguiti risultati importanti, fino a disputare, l’anno successivo, la finale della Coppa dei Campioni».

D. La Roma allenata da Nils Liedholm come vi giunse?
R. «Fu un campionato combattuto. La nostra competitor di quegli anni era la Juventus, che costituita una rivale d’eccellenza per la Roma. Gli anni Ottanta erano caratterizzati da questa sfida. Fu un campionato anche abbastanza tirato e alla fine lo abbiamo vinto noi. Anche la Juventus disponeva di grandi giocatori e, diciamolo, fu un bel campionato, quando ancora non c’erano i tre punti abbinati alla vittoria di un incontro ma i due punti». 

D. Quali caratteristiche agonistiche erano distinguibili in quella squadra?
R. «Credo per due cose. La Roma di quel campionato fu un’ottima squadra che giocava un ottimo calcio. Innanzitutto perché  la Roma fu la prima squadra in Italia a giocare a zona. Secondo perché la filosofia calcistica di Liedholm era il possesso palla, anche se quando dovevamo accelerare acceleravamo; io ero un giocatore veloce, Bruno Conti era un calciatore veloce e ci muovevamo perciò decisamente bene. Il fatto di giocare a zona sorprese un po’ tutti».

D. Chi contribuì a quella vittoria storica?
R. «Credo che si siano allineati tutti i “pianeti”, nel senso che stava funzionando tutto. C’era un bel rapporto con tifoseria, società e squadra. Quando c’è una squadra forte, un pubblico che ti segue, una società che ti stima i risultati poi arrivano. Non metterei una persona su tutte, ma forse il grande merito va al nostro presidente Dino Viola. Fu lui a costruire e a mandare avanti tutto con grande capacità e competenza».

D. Secondo lei, quali giocatori superarono le aspettative?
R. «Devo dire un po’ tutti. Abbiamo reso più di quello che si potesse pensare. Bruno Conti si conosceva. Pruzzo era un goleador, Falcão fu il giocatore che ci aiutò ad avere una mentalità diversa e migliore. Tutti abbiamo dato il massimo e forse qualcosa in più. Ci siamo dimostrati anche squadra matura a livello psicologico-mentale. Devo dire che tutto andò bene».

D. Quali partite non potrà mai dimenticare di quel campionato e quali furono quelle decisive?
R. «Per quanto mi riguarda la partita contro il Genoa a Genova in cui conquistammo lo scudetto. Io sono nato e cresciuto nel Genoa e, quindi, ho vinto lo scudetto nella mia città. La partita terminò 1 a 1. Con quel punto il Genoa si salvò dalla retrocessione in serie B e io con la Roma vinsi lo scudetto. Quella fu la giornata in assoluto più bella. Fu, come ripeto, un campionato tirato e non mi sono mai soffermato su quelle che sono state le tappe decisive. Però, se vogliamo, importantissima fu la vittoria a Pisa per 2 a 1 nel girone di ritorno. Quella partita e quella vittoria hanno aumentato la nostra consapevolezza che forse ce la potevamo fare a vincere il campionato».

D. Cosa ci dice dell’ultima partita, la Roma – Torino del 15 maggio 1983 terminata 3 a 1 a vostro favore, che ufficializzò lo scudetto alla Roma?
R. «Fu la festa, una passerella, chiamiamola così. Lo scudetto lo avevamo vinto una settimana prima. Il calendario prevedeva l’ultima partita contro il Torino giocando in casa. Abbiamo vinto anche quella partita, ma fu solo una passerella».

D. Nel ricordare questo quarantesimo anniversario del secondo scudetto della Roma non possiamo fare a meno di citare due grandi calciatori di quella rosa: Agostino Bartolomei e Aldo Maldera che ci hanno lasciati prematuramente.

R. «Agostino era il nostro capitano storico e un grande calciatore. Era un capitano come quelli di una volta… Verso Aldo avevo un affetto straordinario, ci volevamo un gran bene e mi ha insegnato tante cose perché anche lui ebbe una carriera da terzino sinistro. Era sempre prodigo di consigli e il nostro rapporto amichevole era splendido. Ancora oggi noi ex calciatori della Roma, quando ci ritroviamo, li ricordiamo spesso e li portiamo sempre nella testa e nel cuore». 

D. Con la maglia della Roma ha disputato 11 campionati in serie A consecutivi (1981-1992) diventando uno dei suoi calciatori più celebri. Cosa rappresenta per lei tutto questo?
R. «La mia carriera si è svolta giocando due anni e mezzo in serie B nella mia squadra, il Genoa; poi mi acquistò la Roma con la quale ho trascorso undici anni per mia scelta. Anche io ho avuto le possibilità di muovermi e magari vincere qualcosa in più. Ci furono squadre che mi volevano fortemente, ma stavo bene a Roma e non mi sembrava il caso di andarmene. Il mio presidente mi ha sempre accontentato anche sotto l’aspetto economico e non ho mai voluto lasciare Roma. Roma è una piazza che tutti dovrebbero conoscere, una città meravigliosa e con un pubblico straordinario. Gli ultimi due anni li ho giocati nel Napoli».