Dopo le sorprendenti dimissioni di papa Benedetto XVI, il 13 marzo 2013 saliva sul trono di Pietro col nome di Francesco, il cardinal Jorge Mario Bergoglio arcivescovo di Buenos Aires.
Sin dai primi giorni del suo pontificato, questo pontefice di origini italiane ha evidenziato uno stile e una azione pastorale mai riscontrata nei suoi ultimi predecessori.
Fermo nelle decisioni, diplomatico al momento opportuno, incisivo nella sostanza e schierato al sostegno soprattutto dei poveri e dei bisognosi.
Non poteva passare inosservato il decimo anniversario della sua elezione. Così abbiamo ritenuto opportuno parlarne con il senatore Vannino Chiti, già vice presidente del Senato, che ben volentieri si è reso disponibile.
D. Come valuta il pontificato di papa Francesco a dieci anni dalla sua elezione?
R. «Penso che papa Francesco sia stato un dono alla Chiesa e all’umanità. È l’unico leader morale al mondo che sa darci parole di speranza e obiettivi di impegno per il bene delle persone in questo tempo difficile. Basta pensare alle encicliche Laudato sì, Fratelli tutti e al documento sulla fraternità umana e per la pace mondiale, firmato nel 2019 ad Abu Dhabi con il grande imam dell’Università di al-Azhar, al-Tayyib».
D. Ritiene che papa Francesco abbia introdotto notevoli innovazioni? Se sì, quali le più importanti?
R. «Papa Francesco ha introdotto notevoli innovazioni, a partire dal suo modo di concepire e svolgere il suo compito di vescovo di Roma e di guida della Chiesa cattolica. La sua sobrietà, il suo rigore nello stile di vita, la sua preoccupazione costante verso gli ultimi e i poveri hanno conquistato anche tanti che si erano allontanati dal cattolicesimo. Ha restituito alla Chiesa l’obiettivo di camminare attuando il Concilio Vaticano II. Ha varato una riforma dello Ior mettendolo in sintonia con la normativa internazionale più avanzata in materia di trasparenza delle transazioni finanziarie e affrontato con determinazione il tema della pedofilia. Ha portato avanti il dialogo ecumenico con le confessioni evangeliche, la chiesa ortodossa e quello interreligioso con ebraismo e islam. Ha messo in pratica con più vigore e coerenza nella Chiesa cattolica il principio della sinodalità. Ha liberato la Chiesa dall’angustia dei valori etici non negoziabili limitati a quelli della morale individuale, equiparando ad essi quelli sociali come la guerra, lo sfruttamento della persona, un’economia che distrugge il pianeta e umilia chi non è inserito nei processi produttivi. Al tempo stesso ha recuperato un insegnamento basilare del cattolicesimo: la coerenza ai valori assoluti rende i credenti laici responsabili di ricercare, nella loro piena autonomia, soluzioni e anche compromessi per la loro attuazione».
D. Per quanto papa Francesco abbia introdotto nuovi stili e una evangelizzazione più aperta al dialogo, secondo lei, ritiene che ci siano ancora delle carenze e delle lacune? Se sì, quali?
R. «Le carenze e le lacune sono nel modo di essere della Chiesa in tante realtà. Spesso sono proprio quelli che pur sono assidui alle funzioni religiose a essere più lontani dalle parole del papa, a non capirne fino in fondo l’insegnamento, a non porsi l’obiettivo di come realizzarlo nella vita personale e in quella della società. La liturgia separata dalla quotidianità, dal dovere di farla vivere nei comportamenti, diventa una forma vuota. Anche i preti non sempre si muovono convinti fino in fondo della lezione del papa. Del resto, se ci pensa, anche Gesù veniva contestato nelle sinagoghe e fu un’alleanza tra potere dei sommi sacerdoti e quello dei vertici politici ebraici e romani a decretarne la morte in croce. Immagino che quando uno è eletto papa sappia che oggi ha davanti a sé una missione difficile, impegnativa, che potrà non essere compreso e che certamente sarà spesso solo, accompagnato dalla sua fede in Dio. È impressionante oggi per me la solitudine di papa Francesco nel richiamarci a un’azione contro i rischi di una fine dell’umanità per le guerre e la distruzione ecologica nel ripeterci con insistenza che l’umanità è una sola famiglia. Le sue parole però muovono tanti, soprattutto le giovani generazioni. In riferimento anche al messaggio della Laudato sì hanno manifestato per il futuro del pianeta, prima del covid, ragazze e ragazzi in tutti i continenti: dall’Europa al Sudamerica, dal Medio Oriente all’Afghanistan. E ora riprendono a farlo. Sta alla Chiesa non sprecare queste occasioni».
D. A suo avviso, quali sono le luci e quali sono le ombre nel pontificato di papa Bergoglio?
R. «Le ho già fatto presenti le luci di questo pontificato: non tutte certo, quelle per me più significative. Le ombre, per meglio dire i ritardi, li interpreto come processi lenti nel rinnovamento del modo di essere Chiesa nei territori. Il rinnovamento marcia con le gambe degli uomini. Vedo però che la Chiesa italiana si sta muovendo: il cardinale Zuppi è stato eletto presidente dei vescovi, il sinodo della Chiesa italiana si sta svolgendo in modo aperto, coinvolgendo non solo le comunità ecclesiali ma quanti vogliono partecipare al confronto, dare un proprio contributo. È così anche a Pistoia. Per essere chiaro: in una fase tanto difficile della storia, è più utile mettere in evidenza gli spiragli positivi, fare il nostro dovere per ampliarli, piuttosto che fare un’azione negativa e peccare di pessimismo. Oltretutto non poche volte nasconde un atteggiamento che cerca scuse per stare seduti in panchina o in tribuna, anziché rimboccarsi le maniche per scendere in campo».
D. Se dovesse incontrarlo cosa gli suggerirebbe?
R. «Se lo incontrassi, come ho avuto occasione con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, gli chiederei la benedizione e di mettere nella sua agenda una visita pastorale a Pistoia. Mi sembra tanto tempo che un papa non viene nella nostra città».
D. Vede ulteriori cambiamenti nella chiesa di papa Francesco?
R. «Vedo la necessità di un maggiore coinvolgimento dei laici nella vita della Chiesa, a tutti i livelli, in primo luogo delle donne. Vi è ancora un’impronta troppo clericale. I preti e i vescovi sono necessari: non voglio essere frainteso. Ma come ha stabilito il Concilio Vaticano II il riferimento primario è il popolo di Dio. Ci sono pochi sacerdoti, a cui sono affidate tante, troppe parrocchie: è giusto e indispensabile che nelle parrocchie siano protagonisti anche i laici, uomini e donne. Ribadisco una sottolineatura sulle donne: se la Chiesa non supera questa loro insufficiente considerazione e non dà loro un ruolo di primo piano, consegnando agli archivi del tempo la funzione ancora troppo subordinata, nella quale le ha imprigionate, mancherà all’appuntamento di un compiuto incontro con l’umanità del nostro tempo. Anche su questo terreno è da papa Francesco che vengono le scelte e gli esempi più significativi».