Chiamatemi Gregorio o, se avete mangiato insieme con me i fagioli di Sorana, Gregghy.
Sono nato, non ricordo però in quale anno, in casa di nonna a Pietrabuona il 2 novembre, giorno di tutti i morti.
Quel pomeriggio faceva così freddo che mia nonna stette tutto il tempo a buttare ciocchi di cerro nel camino. Mia mamma, invece, una volta fattomi nascere, si buttò sul letto esausta e sgomenta e mandò subito sua sorella a chiamare il prete, don Amleto, che abitava poco distante dalla casa di nonna, perché voleva che nascessi subito battezzato sotto il mantello della nostra santa Chiesa romana ed apostolica.
Ringrazierò sempre mia mamma che subito mi fece assaporare il sapore salatissimo dell’acqua benedetta datami dall’ottimo don Amleto, il quale in breve tempo entrò in casa nostra tutto bardato nemmeno andasse in visita al suo vescovo con in mano il secchio in bronzo colmo di quell’acqua presa lì da una polla vicina, che mi avrebbe fatto entrare di diritto fra la schiera dei fedeli della Chiesa.
Non arrivai a compiere due anni che i miei genitori insieme con nonna comprarono da un certo Stefano Ghilardi che abitava sui Pianacci di Uzzano una cinquantina di capre che ci disse avremmo munto tutto il dì per fornire di latte tutta la vallata. Io ero piccolino, ma ricordo sua moglie, che portava un nome un pochino strano che suonava più o meno come Laurenzia o un nome simile, che io dissi anche a don Amleto che per me era la più bella donna che avessi visto mai, più della Bianca, la mia capra preferita, che faceva litri e litri di latte, che nonna non sapeva a chi darlo.
Arrivato alla soglia dei sei anni capii che ormai ero segnato da quell’acqua salata con cui don Amleto mi aveva battezzato, correndo quasi il rischio di farmi annegare nella pilla battesimale, come ogni tanto mi ricordava mamma.
Ma io ho sempre voluto bene a don Amleto.
Crebbi in famiglia fino all’età di dodici anni insieme con i miei genitori e nonna.
La vigilia dell’Assunta me ne uscii fuori nei nostri campi che stavano sopra la chiesa e lì ebbi la mia prima visione di quella che poi intesi essere la Vergine Maria.
Io badavo che le capre non entrassero nei campi ben coltivati del nostro vicino Gianluca Ghera, il più ricco possidente della zona. Il Ghera era un omone grande con certi capelli lunghi bianchi che ricordo da piccolino mi metteva paura vestendosi tutto di nero che sembrava l’orco che mangia i bimbi già a colazione. Ma sapevo che non era per nulla un uomo cattivo.
Ricordo questo signore – nonna lo chiamava sempre così e tutte le volte che lo vedeva lo salutava – scendere giù dalla sua casa su un calesse guidato da una coppia di cavalli bai.
Mamma, che era maliziosa più di me, diceva che ogni sera scendeva giù in Bareglia dove frequentava una certa casa dove c’erano tante donne che facevano di lavoro le governanti, ma io che non sono scemo non ho mai creduto a questa storia. Quando mamma mi parlava di Gianluca, vedevo nonna che si faceva il segno della croce e correva subito alla piccola pilla dell’acqua benedetta che tenevamo in casa e me ne spruzzava un pochino anche a me, anche se ho capito solo in questi anni perché.
A me Gianluca sta simpatico, anche se frequenta quella casa in Bareglia piena di tutte quelle bimbe mezze vestite.
Ma dicevo di quando stavo nei campi a controllare che le nostre capre non entrassero negli orti del signor Ghera.
Io me ne stavo tranquillo ed attento, controllando ogni mossa delle capre, quando un fulmine mi si parò davanti. Pensai che fosse una cosa strana perché il cielo era limpido e senza nuvole. Rimasi scioccato quando di fronte a me apparve una donna tutta di bianco vestita. Lì per lì pensai a quello che nonna mi diceva delle bimbe che spesso vedeva Gianluca giù in quella famosa casa in Bareglia. Io, che grazie a don Amleto sapevo di catechismo, pensai quasi subito alla Vergine Maria che era venuta ad aiutarmi a guardare le nostre capre. Lei si avvicinò con un fare tutto gentile, come nonna diceva facevano le donne giù in Bareglia, e mi prese per mano e mi condusse nei pressi dei campi del signor Ghera.
Lì la Vergine prese a consolarmi con buone parole e mi ricordò di non far entrare le nostre capre nei campi di Gianluca, come io avevo preso a chiamarlo perché mi stava simpatico. Poi mi spinse la mano destra sul cuore e prese a pregare in una lingua strana.
Alla fine mi diede una medaglia e la Vergine me la mise al collo, raccomandandomi una speciale devozione a Lei stessa, la Vergine tra le vergini. Ma io però avevo sempre in testa nonna che mi diceva che le donne che frequentava il signor Ghera giù in Bareglia erano tutto fuorché vergini ed io ricordo bene che rimasi scosso. Non capivo se nonna aveva ragione oppure la Vergine tra tutte le vergini del mondo.
Alla fine, la Vergine mi strinse la mano e mi disse di non dire a nessuno del nostro incontro. Detto questo, sparì.
Io, Gregorio Procissi, nato a Pietrabuona, dico qui che quella stretta di mano mi produsse una gran febbre che si replicò per tre giorni di seguito. Rientrato a casa insieme con le nostre capre mi misi a pregare con sì animo colmo di fervore la Vergine Maria che mi ammalai di nuovo e pure gravemente, pur senza dire che avevo visto la Vergine Maria con i miei stessi occhi.
Rientrando verso casa sentii un fischio prolungato. Mi volsi. Era il signor Ghera. Era in compagnia di un altro ragazzo con la barba, che disse di chiamarsi Simone. Seppi poi che era uno di quei pochi Fromboli che abitano la nostra terra. Aveva con sé un magnifico cane che non avevo mai visto. Mi disse, ma non credei affatto a quello che mi stava dicendo, che era un cane che proveniva dall’altra parte del mondo. Io, Gregorio Procissi detto Gregghy, non credo ci sia un’altra parte del mondo. Io conosco bene la casa delle bimbe giù in Bareglia, la piazza del mercato in Pescia, i Pianacci, gli Alberghi e pochi altri posti. Comunque, Gianluca e questo Simone mi dissero che andavano giù in Bareglia.
Io, che avevo ancora gli occhi colmi della mirabile visione della Vergine, non ci pensai un attimo in più e seguii il signor Ghera e Simone col suo cane strano.