A quarant’anni Ottavia aveva trovato credito tra i suoi pari non perché fosse bella, ma perché sua nonna, la N.D. Vannozza, discendente di Brigata della Gherardesca, in punto di morte le aveva lasciato ettari ed ettari di terreni, inclusi boschivi ed arativi, senza contare una infinità tra appartamenti e quartieri, disseminati tra Siena, Bolgheri, Brighton, Buggiano Castello e Siviglia.
Ottavia, come si è detto, non era affatto quella che si sarebbe detta una gran bellezza. Tutto in lei era troppo. Troppo magra, troppo minuta, troppo sciroccata e, finalmente, troppo piena di quattrini. Aveva un viso come un falco, molto rosso e singolarmente nudo.
Durante la pubertà aveva avuto la scarlattina. Nel corso della malattia aveva perduto quasi tutti i capelli e tutti i peli, sia quelli che si potevano vedere sia quelli che dovevano, almeno di giorno, rimanere celati. Il suo volto che molti asserivano essere un poco strano era sprovvisto di ciglia e di sopracciglia. Sotto i suoi abiti quotidiani, che erano perlopiù o grigi o neri, il suo corpo era uguale a quello di una bimba di meno di dieci anni. A volte, quando insieme con tutti i membri della casata, si dirigeva ad ascoltare la messa nella cappella seicentesca a fianco della villa dove risiedeva, indossava una parrucca color stoppa.
Le sue sorelle, alle quali era stato imposto il divieto assoluto di parlar male della sorella maggiore e financo di dire a giro che razza di sorella fosse, pure notavano quella strana parrucca tutt’altro che convincente.
I genitori di Ottavia non aspettavano altro che la messa piana di don Marco, un certosino passato in maniera burrascosa ai francescani conventuali, per nascondere le lacrime lontani da tutti mentre don Marco con le dita tremanti si aggrappava all’ostia dando le spalle ai sette partecipanti alla messa quotidiana. Per i genitori di donna Ottavia quello era l’unico momento in cui potevano dare libero sfogo alle loro lacrime, non visti dai loro familiari. Ottavia era pur sempre la loro figlia maggiore ed a parte quell’inconveniente occorso pochi anni dopo la sua nascita si era sempre mostrata docile e quasi intelligente al pari della cagnolina Rosina che morì sotto le ruote della carrozza dello zio Sismondo.
Fu una vera tragedia la morte della cagnolina. Detta la messa per il trigesimo della morte della Rosina, i genitori tornarono ad osservare Ottavia con i consueti occhi attenti.
Da una parte, la morte di Rosina servì a tenere ancora sotto stretto controllo Ottavia, che stava crescendo ancora più bruttina del solito ma pur sempre piena di quattrini come un cestino colmo di uova.
Non mancava di certo, tra i figli dei numerosi signorotti locali, qualche cervello non troppo acceso che avrebbe desiderato sollazzarsi un pochino con Ottavia, la quale non si sarebbe comunque accorta di alcunché.
Faceva parte della zavorra di famiglia il non accorgersi di nulla mentre le vicende quotidiane trascorrevano davanti a quegli occhi che solo alla fine si spalancavano come le belle di notte appena tramonta il sole.
Una mattina di aprile Ottavia uscì dalla piccola porta che dava su un sentiero che conduceva all’immenso giardino all’inglese realizzato decenni prima da un arcavolo di Ottavia.
Camminò per un bel po’ senza mai voltarsi indietro; passò un boschetto di pini e salì alcuni gradini di pietra. Quasi all’ultimo scalino si pentì abbastanza da lanciare uno sguardo bagnato al di sopra della sua spalla e si fermò.
Fu proprio in quel preciso momento che lo vide. Era laggiù, a non più di trenta passi da lei.
Ad Ottavia sembrò che la stesse salutando con un certo riguardo. Le sue guance presero fuoco. Era come lo aveva sempre immaginato nella sua mente. Non troppo alto, non troppo chiaro di carnagione e con un portamento sì regale ma naturale; niente di artefatto, insomma.
Riprese a camminare col cuore che batteva così forte che sembrava volesse uscire fuori e correre per abbracciarlo prima di lei.
Ottavia accelerò i suoi passi ed i suoi occhi divennero del colore dell’amore.
Mancavano poche decine di metri e già Ottavia si stava preparando a baciarlo quando il piede sinistro sentì vacillare sotto di sé il terreno leggermente umido e con quel piede precipitò l’intero corpo di donna Ottavia, che fu ritrovato quasi irriconoscibile poche ore dopo tra l’impassibilità dei suoi numerosi familiari.