Il nostro giornale si qualifica grazie anche a questa preziosa intervista che ci ha rilasciato il grande cantautore bolognese Andrea Mingardi.
Una luminosa carriera ricca di canzoni, concerti, collaborazioni con grandi artisti, partecipazioni al Festival di Sanremo, saggi, articoli e pubblicazioni editoriali.
Mingardi non si è però limitato a cantare in più parti del mondo, comporre canzoni per sé o per altri cantanti o a scrivere e pubblicare. Figura, infatti, tra i fondatori e i protagonisti della Nazionale Italiana Cantanti, con la quale ha disputato numerosissime partite e segnato fior di reti.
D. Mingardi, quali caratteristiche si possono riscontrare nella sua produzione artistica?
R. «Il minimo comune denominatore è soul che vuol dire anima. Anche quando canto cose che armonicamente non hanno nulla a che vedere con il blues o con il soul, alla fine mi dicono tutti che il suol, questo tipo di caratteristica, viene sempre fuori».
D. Gli anni ’90 soprattutto l’hanno vista più volte partecipare al Festival di Sanremo con canzoni significative. Queste presenze, quali effetti hanno prodotto in lei?
R. «Diciamo la verità: io da molti anni lavoravo con la Grande Band. I miei genitori mi hanno iniziato a considerarmi un cantante professionista solo da quando ho partecipato al Festival di Sanremo la prima volta».
D. Quindi, il Festival di Sanremo ha “consacrato” la sua personalità canora?
R. «Certo. Partecipare al Festival di Sanremo è un pò come prendere la patente diciamo».
D. Lei ha collaborato con numerosi artisti, tra cui Mina. Qual è un episodio particolare che ricorda con questa grande cantante?
R. «Ho scritto insieme al maestro Maurizio Pirelli ventiquattro canzoni per Mina. Un episodio particolare che mi lega a lei fu quella sua telefonata che mi arrivò dopo un po’ di tempo che non ci sentivamo. Mi disse che tra tutti i provini di canzoni che le erano arrivati aveva rintracciato un qualcosa in inglese maccheronico con la mia voce e mi chiedeva se ero proprio io. Ero io, ma il problema era che quel provino io non lo avevo più. Quindi, lei mi ha detto: “Lo cantiamo insieme?”. E io le ho risposto: “Però bisogna che tu mi rispedisca la mia canzone…”».
D. Mingardi, alla sua penna appartiene anche la stesura di numerosi libri. Quali di questi consentono di conoscere la sua personalità?
R. «È difficile. Ho scritto qualche saggio sulle estensioni dialettali e superstiti del linguaggio comune e del dialetto bolognese. Poi ho scritto “Permette un ballo, signorina?” (Mondadori Editore), che è un excursus su una parte della mia vita, quando suonare nelle band e nelle discoteche era molto divertente e si vedeva il transito dei decenni nel modo di vestire, comportarsi e parlare. Poi ho scritto anche dei gialli che mi appassionano. Credo che tutti i libri che ho scritto, anche di diverso genere, in qualche maniera rappresentano dei lati del mio carattere».
D. Mingardi, lei è anche un protagonista della Nazionale Italiana Cantanti Come è nata ufficialmente questa compagine calcistica?
R. «Da ragazzo ho giocato nelle giovanili del Bologna come portiere. Poi sono uscito dalla porta e sono diventato un centrocampista amatoriale e mi incontravo con Gianni Morandi e con Mogol per disputare partite lungo l’Italia con vecchie glorie e grandi campioni; fino a quando un giorno lo stesso Mogol disse: “Facciamo la Nazionale Cantanti”. E gli ho detto: “Si, ma noi chi ci seleziona?” E Mogol rispose. “Noi”. Da quel giorno è nato un viaggio di oltre quarant’anni e di oltre centoventi milioni destinati in solidarietà».
D. La Nazionale Italiana Cantanti è davvero una istituzione significativa. Come è giunta ad una posizione così elevata?
R. «Poco alla volta, ma dai piccoli stadi di provincia siamo arrivati fino allo Stadio Olimpico di Roma e allo Stadio San Siro di Milano. Lo Stadio Olimpico di Roma detiene il nostro record presenze con 91000 paganti. Poi tutti gli altri stadi facevano a gara per averci perché erano certi di conseguire un incasso da devolvere in solidarietà».
D. Può raccontarci un aneddoto divertente relativo a qualche partita?
R. «Ce ne sarebbero tanti… La prima volta che siamo andati a Milano a San Siro ricordo che venne Franco Battiato e il nostro allenatore Luigi Bonizzoni, ex calciatore del Milan, lo vide così magro che ad un certo punto con la sua voce un pò rauca gli disse: “Ma lei dove ha giocato?” E il grande Battiato rispose: “Ho giocato nell’Akragas in quarta serie”. E Bonizzoni riprese: “Si spogli”. Battiato si spogliò ed era talmente magro che Bonizzoni lo guardò e gli disse: “Si rivesta”».
D. Quale contributo etico può fornire la Nazionale Italiana Cantanti al mondo di oggi?
R. «Secondo me la differenza che passa tra la beneficenza e la solidarietà. La beneficenza è un pò un tentativo di ripianare i sensi di colpa che hanno tutti perché quando vediamo i telegiornali ci rendiamo conto che c’è una parte del mondo che soffre e noi in parte siamo complici. La solidarietà è quel qualcosa che raccoglie denaro e lo destina e segue anche come viene usato il denaro. La Nazionale dei Cantanti fa questo».
D. Musica e calcio: quale simbiosi si può intravedere?
R. «Tutti i giocatori volevano fare i cantanti e tutti i cantanti volevano fare i calciatori. Diciamo una grande passione adolescenziale che poi si è trasformata in verità. Io ho giocato 550 partite con la Nazionale Italiana Cantanti segnando 119 goal».
D. Tra queste 550 partite disputate, quali non potrà mai dimenticare?
R. «Ce ne sono moltissime. Ma sicuramente quella disputata allo Stadio Olimpico di Roma. Quando siamo entrati in campo abbiamo sentito il boato di 91000 persone: è stato qualcosa di indimenticabile».
D. Nella sua vita, musica, calcio e amore per Bologna e per il Bologna Football Club hanno sempre viaggiato insieme. Come spiega questo legame?
R. «Sono nato e cresciuto a Bologna. Non ho voluto mai abbandonare questa città. Lucio Dalla me lo diceva: “Tu dovresti venire con me a Roma e allora sì che farai successo”. Io non me la sono sentita e non mi sono pentito. Ci sono dei luoghi in cui succedono le cose. Chiaramente Bologna era inferiore a Roma e a Milano in quel periodo. Ma io sono contento di quello che ho fatto e di quello che sto facendo».
D. Quindi, nessun rimpianto per aver vissuto sempre a Bologna e per Bologna?
R. «Ho girato tutto il mondo, però il ritornare a casa per me era Bologna».