Nessuno avrebbe scommesso su di lei, né che ce l’avrebbe fatta.
Tanto meno sua madre, che la considerava il frutto marcio di un peccato consumato sedici anni prima all’imbrunire della domenica delle Palme, insieme con nemmeno lei sapeva chi, un forestiero tutto lentiggini e dal forte aroma di gin, con certi capelli biondi simili a spighe di grano ed a steli secchi di camomilla, tenuti stretti da uno spago di canapa. Di quel forestiero tutto lentiggini e dal forte aroma di gin non seppe più nulla, mentre in quella valle desolata le stagioni correvano svelte come lepri.
Con le sere che annunciavano l’inverno l’aria divenne tutta d’un colpo limpida e pregna di umidità e le montagne dure e taglienti come schegge di cristallo.
La madre e Marinella – questo il nome della figlia sventurata – sole e scacciate da tutti, a piedi tra quelle case per metà diroccate ed oltre modo misere, ogni sera dovevano trovare da dormire tra lenzuola pulite, che però si rivelavano alla fine sempre imbalsamate come i panni che rimangono stesi alla corda tra un albero e l’altro nelle notti d’inverno.
Ed una sera fredda ma limpida, dopo che il sole se ne fu andato, in un momento di completa allucinazione, la madre fissò prima Marinella – sulla quale la rimanente luce creava certe sinuose ombre proprio lì sul petto – e poi, già più distanti, oltre il piccolo ruscello che scorreva sotto il prato, le lucide colline che stavano per essere inghiottite dalla notte.
La madre si chiuse il volto tra quelle mani esangui e vizze, senza dire una parola; poi si alzò, compiendo un impercettibile segno affinché la figlia capisse che era tempo di rientrare nella loro casa. Marinella tirò forte un paio di volte su col naso, asciugandolo passando avanti ed indietro l’indice destro e le stette a fianco per tutto il tempo in silenzio.
Sua madre quasi mai si preoccupava. Fin da bambina aveva ben compreso quanto fosse inutile stare in pensiero. Capì così in breve tempo il sistema migliore per risolvere qualsiasi tipo di problema. Ogni volta che se ne presentava uno, invece di preoccuparsi, si metteva a tavolino e stilava un elenco di tutte le possibili soluzioni al problema in questione. Terminata la lista, sceglieva la soluzione più adatta e più conveniente, quella che, quasi sempre, tornava a suo vantaggio.
Una volta rientrate nella loro casa, la madre riprese il lavoro di sarta presso un’importante e prestigiosa sartoria vicino alla piazza, mentre Marinella trovò impiego come commessa in un piccolo ma grazioso negozio di ferramenta.
Tutto sembrava essere tornato al tempo precedente lo sfratto, in seguito al quale si trovarono costrette a peregrinare in cerca di una nuova serenità familiare.
Un giorno in negozio Marinella conobbe Simone. Un ragazzo snello ed alto, dall’aspetto solenne che quasi pareva un bel principe proveniente da una remota terra. Fu proprio in quel momento che Marinella fu rapita dalla bellezza di quegli occhi marroni.
Non esitò affatto; nel giro di poche settimane andarono a vivere insieme in un quartierino non molto lontano da quello dove rimase da sola la madre.
In tre anni Marinella abortì quattro volte al terzo mese di ciascuna gravidanza ed ogni volta i medici le dicevano che non sarebbe sopravvissuta ad un altro tentativo.
Le avevano detto che per lei era impossibile portare a termine una gravidanza, senza rendersi conto che con la parola “impossibile” avevano trasformato in ossessione il desiderio di Simone di avere un figlio.
Nel quinto anno di matrimonio, Marinella rimase di nuovo incinta. Simone la costrinse a stare a letto per tutti quei nove mesi. Marinella diede alla luce uno splendido bambino di quasi quattro chili e visse il tempo necessario da sentirlo piangere almeno una volta.
Roberto, così avevano deciso di chiamarlo, morì poco prima dell’ora del tè, quando ancora i frollini erano in forno. Asciugate le lacrime che scesero per qualche giorno, Marinella e Simone uscirono per la prima volta insieme dopo quel fatto di Roberto.
E rimasero in silenzio tutto il pomeriggio ad osservare le lunghe nubi orizzontali che nascondevano il sole che, tramontando, ne infiammava gli orli, rendendo quella porzione di cielo un lunghissimo lenzuolo incandescente.