Pochi giorni prima dell’inizio delle vacanze è stata diffusa alle scuole una circolare, firmata dal Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, con le indicazioni sull’utilizzo dei telefoni cellulari e di analoghi dispositivi elettronici nelle classi. Il documento conferma una disposizione di dodici anni fa voluta dall’allora ministro Fioroni, che Valditara forse ha dimenticato o non conosce: i cellulari sarebbero già vietati, a scuola. Ma non è una novità, noi docenti siamo abituati a norme che si sovrappongono a altre norme, circolari che smentiscono altre circolari, decisioni che cancellano con un colpo di spugna decisioni prese da altri. Ci adeguiamo, a volte con un sorriso di canzonatura, a volte con malcelata irritazione.
Cosa dice il testo della circolare? Il cellulare durante le lezioni è visto come un elemento di distrazione propria e altrui e una mancanza di rispetto verso i docenti; e siccome va tutelato, secondo il ministro, l’interesse di studenti e studentesse a imparare, distrarsi con i cellulari non permette di seguire le lezioni in modo proficuo. Va inoltre restituita autorevolezza alla figura del docente, con l’obiettivo di perseguire “una scuola seria, che rimetta al centro l’apprendimento e l’impegno”. Una scuola che sia un luogo “dove i talenti e la creatività dei giovani si esaltano, non vengono mortificati con un abuso reiterato dei telefonini”.
Fin qui, tutto bene. Devo dire che una certa soddisfazione, alla parola “autorevolezza”, l’ho sentita anche io, e ci ho perfino creduto. Mi è capitato, negli anni recenti, di scoprire studenti nell’atto di copiare un compito con cellulari nascosti dietro l’astuccio, sulle ginocchia, addirittura dentro il foglio protocollo, ed è sempre spiacevole dover procedere con sanzioni e brutti voti; mina quel rapporto di fiducia che dovrebbe esistere sempre tra chi impara e chi insegna. Poi però ho riflettuto meglio sul contenuto della circolare, e mi sono accorta che non cambierà un bel nulla, e questo il ministro dovrebbe saperlo.
Negli ultimi due anni e mezzo, a causa della pandemia da Covid-19, il cellulare ci è stato presentato come una delle poche difese dall’isolamento e dall’abbandono scolastico, insieme a tablet e pc. I registri elettronici si scorrono soprattutto su cellulari, e le applicazioni di Google consentono una serie di attività utili alla didattica: un docente non può controllare se tutti i suoi studenti stanno effettivamente consultando il materiale caricato su Classroom o giocando a Candy Crush. Negli ultimi anni ci hanno bombardato di corsi di formazione e aggiornamento su classi digitali, applicativi per la didattica, nuovi linguaggi per attrarre il nostro pubblico adolescente con un modo di imparare più vicino ai loro gusti; hanno decretato la morte per eutanasia della lezione frontale e ci hanno detto di rovesciare la classe (la flipped classroom). Ci hanno insegnato come individuare i siti che i ragazzi usano per copiare, le applicazioni che risolvono i problemi di matematica al posto loro, i trucchi per farsi suggerire durante le verifiche (ma tanto saremo sempre un passo indietro, rispetto alla tecnologia, facciamocene una ragione). Ci hanno fatto preparare lavori su Power Point, questionari su Kahoot, lezioni interattive. Molti di noi più aperti alle novità lo hanno fatto, o hanno tentato con esiti altalenanti.
Adesso l’uso della tecnologia in classe viene scoraggiato. E in un modo che francamente appare poco efficace, se non risibile. Con sanzioni disciplinari a chi infrange la norma? No. Con un richiamo “al senso di responsabilità” degli studenti, e con l’invito ai docenti a garantire il rispetto delle norme in vigore, consentendo l’uso di cellulari e altri dispositivi elettronici “in conformità con i regolamenti di istituto, per finalità didattiche, inclusive e formative, anche nell’ambito degli obiettivi del Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD) e della “cittadinanza digitale”. Cioè gli stessi documenti in cui la tecnologia ci viene presentata da anni come l’ultimo baluardo di una scuola di qualità, proiettata verso un futuro luminoso, europeo, evoluto.
Anche le leggi non aiutano a fare chiarezza. Secondo la normativa vigente, gli insegnanti non possono requisire il cellulare di un ragazzo sorpreso a copiare o a giocarci, ma possono chiedere alla classe di mettere i propri dispositivi sulla cattedra in occasione di una verifica. Un giorno mi sono accorta che un ragazzo mi ha consegnato solo la cover, del suo cellulare, e ha copiato un intero tema di attualità consultando siti di nascosto. Questo il senso di responsabilità su cui dovremmo far leva? Non sarebbe il caso di ripensarle seriamente, le leggi che regolano una serena convivenza scolastica tra docenti e studenti? E di pensare non soltanto al diritto dei ragazzi a imparare, ma anche al dovere di farlo con serietà? A forza di parlare di diritti mi pare che siano venute meno certe responsabilità, e che si deleghi ai docenti una funzione che in realtà appartiene prima di tutto alle famiglie.
Stefania Berti