Quando ho deciso di fare la maestra frequentavo ancora la “scuola elementare”: mi piaceva stare con i bambini ma di più ero innamorata della mia maestra. Si chiamava Adriana, era di Pistoia, Era una signora non tanto alta e di corporatura media. Sicuramente aveva i capelli lunghi ma a scuola li portava sempre raccolti sulla cima della testa in una crocchia ben avvolta e tenuta con delle forcine che si intravedevano appena.
Portava degli occhiali da vista scuri che a prima vista la facevano apparire come una donna seria e burbera, ma, in realtà, era simpatica e scherzava sempre con noi; a volte ci prendeva un pò in giro se eravamo impauriti per la riuscita di un tema o in attesa della correzione di un problema o ci brontolava ma senza alzare troppo la voce con poche parole ma essenziali. Indossava un grembiule nero, come le sue colleghe (erano gli anni settanta) e per questo non so dire in che modo si vestiva, bè sì, a volte si vedevano uscire dei pantaloni da sotto quel grembiule e alre volte una gonna un pò più lunga.
Non c’erano le LIM in classe ma le vecchie lavagne di ardesia con la cornice di legno, staccate dal muro che si potevano spostare all’occorrenza. Oltre d’essere degli strumenti di lavoro per la nostra maestra perché le usava per scrivere tutto ciò che serviva a noi allievi per leggere e contare, quelle lavagne avevano un duplice compito: venivano usate per…le punizioni…ebbene sì, chi si comportava male, o non aveva fatto i compiti, o non stava attento, o non faceva bene il compito assegnato, aveva assicurato il posto DIETRO ALLA LAVAGNA…a dire il vero ci sono stata anch’io una volta ma ho dimenticato il motivo di quella punizione.
Insomma la mia maestra era LA MAESTRA: ai miei occhi era BELLA, BUONA, BRAVA, INTELLIGENTE. Da lei ho imparato a leggere, a scrivere, a contare, a ripetere la geografia davanti alla cartina geografica, a cucire, a ricamare, a fare lavoretti di ogni genere. Quando il tempo lo permetteva, ci portava in un piccolo giardinetto nel cortile interno della scuola dove, a noi femmine, piaceva intonare: “O quante belle figlie Madamadorè o quante belle figlie, son belle e me le tengo Madamadorè, son belle e me le tengo…”. La maestra Adriana credo fosse tra le più buone nella scuola degli Alberghi attaccata alla chiesetta, perchè le sue colleghe non portavano sempre i loro allievi fuori all’aria aperta come noi.
Adriana ci ha seguito dalla classe seconda alla quinta; in classe prima avevamo il grande maestro Sergio Volpi, Sergio come il mio babbo. Anche lui come Adriana era molto buono: ricordo che per motivi di spazio una parte della prima la facemmo dentro la sacrestia della chiesa e lì, il maestro, invitava i genitori per la prima parte della giornata ad assistere alla lezione, per rassicurarci. Poi finimmo l’anno in una classe dell’edificio vero con la stufa a legna…uh quante ne ha viste quella stufa, pensate che una volta un mio compagno aveva sporcato le sue mutande. Così il maestro Sergio, senza batter ciglio, fece togliere l’indumento bagnato al povero bambino e, dopo averlo sciacquato nel lavandino del bagno, lo mise ad asciugare su una delle stecche metalliche attaccate al tubo di quella stufa che serviva proprio per asciugare i panni. Quanto ci fece ridere il maestro per quell’inconveniente.
La maestra Adriana non l’ho più vista ma ho un bellissimo ricordo di lei, invece il maestro lo incontravo spesso a camminare sul viale Garibaldi e mi fermava sempre a parlare per un saluto…che bei ricordi… Sono andata sempre volentieri a scuola perchè stavo bene con i miei insegnanti, per me era come stare con delle persone di casa, questo è il motivo che mi ha spinto e convinto che VOLEVO DIVENTARE UNA MAESTRA COME LORO.
Maestra sono diventata e ormai da un pò di anni bazzico nei corridoi delle scuole: ho avuto a che fare con molti bimbi di ogni genere, religione, provenienza etnica e la cosa che ho imparato con gli anni è CREARE A SCUOLA UN’ISOLA FELICE, come mi disse una Dirigente tanti anni fa. E’ così che la proprio la relazione insegnante-allievo diventa un binomio essenziale capace di influire sull’apprendimento e sul benessere comune. In questo processo di creazione di tale rapporto, un ruolo fondamentale è affidato all’insegnante che deve svolgere la sua funzione attraverso le proprie strategie di insegnamento. Se nella mia classe i bambini entrano sorridenti e si sono divertiti anche nel periodo delle mascherine e in DAD, nonostante le difficoltà, è perché ho cercato di essere entusiasta, amichevole, accomodante, disponibile, interessata agli studenti come persone, autorevole all’occorrenza nei confronti della classe; al tempo stesso mi sono impegnata per favorire relazioni positive fra gli studenti stessi cercando di presentarmi con atteggiamento costruttivo, con l’intento di creare una comunità di apprendimento in cui l’altro sia rispettato ed apprezzato sotto tutti i punti di vista, dal cognitivo, allo psicologico, al sociale.
Se i bambini-ragazzi-adolescenti si sentono a loro agio in una qualsiasi classe dell’iter scolastico perché hanno costruito un buon rapporto di fiducia e di ascolto con il/i proprio/i insegnante/i, sarà più facile progettare un percorso di studio proficuo e sereno che coinvolga tutti, docenti e discenti. E siccome in una classe, di qualsiasi scuola sparsa nel mondo, ci sono bambini timidi, bambini estroversi, alcuni plusdotati, altri iperattivi, altri ancora in situazioni familiari difficili, bambini che imparano in fretta e altri che hanno bisogno di più ripetizioni o di un sostegno, chi ha paura di brutti voti e chi soffre di ansia da prestazione, E’ NECESSARIO un insegnante che sia capace di adattarsi alle esigenze di ogni bambino. Per concludere, confermo che questa bellissima relazione tra alunno e insegnante è di natura BIDIREZIONALE per cui diventa necessario NUTRIRLA DA ENTRAMBI I PUNTI DI VISTA, affinché i ragazzi raggiungano un buon livello di preparazione e un corretto comportamento in classe. E tu che insegnante sei?
Alessandra Butelli