Pochi giorni fa è accaduto un fatto che mi ha molto colpito, sia come insegnante che come mamma di un ragazzino alle prese con la preadolescenza, e che finora non mi ha mai dato alcun motivo di preoccupazione. Un’insegnante di un istituto superiore di Rovigo è stata colpita durante una sua lezione da alcuni pallini in gomma, prima alla testa e poi in un’occhio, esplosi da uno studente con una pistola ad aria compressa. L’episodio è accaduto in una prima classe dell’istituto tecnico “Viola Marchesini” ; uno studente ha ripreso la scena col telefonino, ha pubblicato il video sui social e poi il video è finito sul sito de La Voce di Rovigo.
La dirigente dell’istituto, dopo aver preso provvedimenti disciplinari nei confronti dei ragazzi (una meritata sospensione sia di chi ha sparato che di chi ha ripreso la scena), ha avvertito la Polizia e convocato i loro genitori. Non provengono da famiglie disagiate: sono ragazzi normali, che hanno preso la cosa come un gioco, irridendo un pubblico ufficiale e senza minimamente capire le conseguenze del proprio gesto. L’istituto terrà alcuni incontri educativi e rieducativi con la Questura; ma nel frattempo rimane l’amarezza per un episodio che non ha spiegazioni, o forse ne ha molte ma sono tutte brutte.
La prima che mi viene in mente è che la figura dell’insegnante non viene più percepita come un punto di riferimento degno di rispetto e affetto nella vita dei ragazzi, e questo è un processo iniziato tanti anni fa, quando i modelli culturali sono diventati altri: il calciatore danaroso anche se un po’ ignorante, la showgirl bella ma senza grandi capacità, e più recentemente influencer e youtuber che si arricchiscono pubblicando contenuti sui loro canali social. Chi sceglie di investire la propria vita nel sapere, e nella trasmissione di un sapere agli altri, spesso viene visto come un individuo che nella vita non è riuscito a combinare altro, e ha trovato nella scuola un ripiego, ma in fondo non è altro che un frustrato.
Vorrei dire a chi la pensa così che la verità è molto diversa, e che di solito chi fa il mio mestiere lo fa con grande dedizione, spesso dopo aver intrapreso una strada lunga e accidentata per arrivarci. Ma certo difendere una categoria a prescindere è sempre un’operazione rischiosa, perché le eccezioni esistono, e di solito fanno più male a quella categoria di cento esempi virtuosi.
Un’altra ragione per i fatti di Rovigo potrebbe essere nella riduzione di quella distanza che si nota non solo tra studenti e insegnanti, ma anche tra genitori e figli: anche questo un fenomeno iniziato da tempo, a causa del quale chi ha un ruolo educativo spesso si trasforma in amico e confidente, non ricorre più a punizioni ma sempre e comunque al dialogo, e delega ad altre agenzie, solitamente collocate in un futuro più o meno lontano, il rispetto di certe regole. Non è puntuale? Imparerà quando lavora. Doveva consegnare un compito o prepararsi per una verifica e non lo ha fatto? È l’insegnante che dà troppe lezioni, meglio che resti a casa e sarà pronto in seguito. Il continuo posticipare l’assunzione delle proprie responsabilità allunga l’infanzia, dà ai genitori l’illusione che il tempo non passi: ma i figli non si possono proteggere per sempre, la realtà prima o poi chiede il conto.
A Rovigo il conto è stato salato: spesso si crede di avere in casa dei bambini, ma in prima superiore i figli bambini non lo sono più. E se non hanno saputo distinguere il confine tra bene e male, tra ciò che è lecito e ciò che non lo è, è mancato qualcosa prima.
Oppure, la verità potrebbe perfino essere molto più semplice.
Nessuno la vuol più sentire, una verità così; pronunciarla ad alta voce non sta bene, è politicamente scorretto, socialmente offensivo, psicologicamente riduttivo. Tuttavia, un bagno di verità, ogni tanto, fa bene.
Potremmo essere di fronte a un paio di sciocchi. Ragazzini che, secondo la definizione del vocabolario, sono privi o scarsamente dotati di intelligenza, avvedutezza e buonsenso, e che non hanno il minimo spessore intellettuale per capire che certe cose, semplicemente, non si fanno. Non cattivi, dunque: sciocchi. O tutte e due le cose insieme: combinazione letale, per la quale non c’è intervento educativo che tenga. C’è solo da augurarsi che la pistola, la prossima volta, sia ad aria compressa e non a proiettili veri.
Stefania Berti