In questi tempi calamitosi, riesco a malapena a prendere la penna; rimango qualche secondo in sospeso, e sempre o quasi, la ripongo. Duro fatica. Duro fatica ad organizzare le idee e preparare un contenuto, figuriamoci ad elaboralo, svilupparlo. Nei miei brevi incontri mensili con Luca, il direttore, col fratello Gianni, de “Il Cittadino”, l’argomento chiave, dopo i saluti, è: “A quando il prossimo articolo?. Dai, le occasioni, gli avvenimenti, l’attualità è piena zeppa di buoni motivi per stimolare lo scrivere”. Ha ragione, ovviamente; così come ha ragione quando sabato scorso mi ha invitato nuovamente allo scrivere. Io mi sono schernito. E lui: “Quando la penna pesa, è proprio il momento di usarla!”. Insomma, giro poco, ma questi suggerimenti piovono da diverse parti (magari piovesse!). Sono in difficoltà. Questa pandemia, la guerra, il gas, il caldo più che africano, che mi ha permesso di mettere su una fruit e di calzare gli stivali!, ha smontato un po’ tutti. O, forse, non ho più idee da far conoscere, d’altronde, se stai ai “domiciliari” – cosi li ho definiti – è difficile fare qualche incontro positivo che stimoli la creatività.
Allora? Il quotidiano, il giornale che leggo da decenni, è in netto calo. E’ da tempo che penso di chiudere; poi, mi trattengo, per quel pizzico d’affetto che mi è rimasto. Frammenti: i titoli, un paio di articoli, la cronaca locale, tutto con malavoglia. Idem per lo sport a fiumi, cascate e valanghe e soprattutto, il calcio, diventato ormai un puro, semplice, vergognoso affare di soldi e pochissimo più. Per la TV di tutti i giorni è ancora peggio. 24 ore di trasmissioni da tutto il globo, in contemporanea, caotiche, confusionarie, senza un minimo filtro di critica anche personale. I films? Ne vedo due o tre vecchi di almeno 30 anni e più. Il resto, lo lascio allo sterminato gregge di spettatori, alcuni dei quali, presi dalla fregola del maxi schermo, ne comprano di giganteschi, tanto da dover essere trasportati da più persone. Infine, briciole di scienza, d’arte e, per risollevarmi, storia, tanta. E la guerra? Cosa?, la guerra? Ma quale guerra? Quella palestinese? Ce ne sono, in giro per il mondo, qualche decina tanto che l’ONU ha gettato la spugna. Ah!, quella là? Quella vicino casa? Perché, combattono ancora? Dalla prima pagina è scivolata alla quarta, quinta. E TV, giornali e grandi opinionisti si sono defilati. Ma ora abbiamo altri grossi problemi. Il gas, il grano e il granturco; la benzina, il metano, le fonti energetiche: ma quanti sono questi problemi?
Forza, ora ci sono le elezioni. Davvero? Spero che questa mandata si ricordi dei problemi sopra esposti, che non sono richieste occasionali e che dovrebbero obbligare i futuri governanti ad aver almeno un sacrosanto rispetto fra i cittadini normali. Governare per dimostrare la consapevolezza delle condizioni in cui versa lo Stato, che non è riuscito a diventare Nazione da più di 150 anni. Nessun “fenomeno” ce l’ha ancora fatta. Finirà, purtroppo, come l’Inno nazionale, il cui originale è lungo 56 versi: mi farebbe minimo piacere se qualcuno degli eletti lo cantasse nella sua completezza!!!
Ma ho la sensazione che il dubbio che coltivo possa diventare prima o poi realtà, e cioè che l’Italia finisce per diventare trina: nord, centro e sud, alla faccia del Risorgimento, con uno sguardo al Rinascimento. No, non ci siamo. Oramai la “Dolce vita” è finita, e quel tenero abbandono ad un quieto, piccolo benessere se n’è fuggito chissà dove. Uno dei pochissimi titoli della stampa che mi ha colpito, è stato: “Ce la faremo a tornare indietro?”. Ecco, questo è proprio una chiara domanda che serpeggia in giro, ma che ancora, per l’italico vizio, la si scongiura con un “Tanto, ovvia, c’è lo Stellone …”. E con questo auspicio da quattro soldi, ci comportiamo come le tre scimmiette: non vedo, non parlo, non sento. Devo però precisare che chi mi conosce non mi considera un menagramo – spero!-ma sono sicuramente un pessimista; come in una pila, ci sono i poli negativi e quelli positivi: io faccio parte dei primi, ma non per cattiveria o snobismo; solo per un istinto naturale.
Poi, nel corso di questa nostra maratona, il polo negativo si è andato sviluppando in una critica su quanto ci circonda, influenzato dallo scorrere dei piccoli, grandi problemi quotidiani, e dalla incancrenita incapacità di chi dovrebbe risolverli. Non sono il “fenomeno” che ha la bacchetta magica, ma assistiamo ormai quasi giornalmente al lento processo d’imbarbarimento di gran parte dei cittadini di tutte le età ed alla relativa decadenza della nostra società. Mancano, quindi, un granello di galateo, un’educazione minima; un po’ di rispetto, un rimanere nei propri ruoli magari restando un po’ in silenzio. Sembra, invece, che in questi ultimi due anni si sia risvegliato il lato peggiore dell’umanità e, di più, le ultime generazioni ne abbiano approfittato.
Allora, in che mondo viviamo? Non sembra anche a voi che la confusione, le incertezze, le scelleratezze, sempre nei confronti dei più deboli, ci abbiamo calato in un piccolo, grande caos, che io chiamo anche il tramonto dell’Impero Romano? Tra i mille esempi, ne scelgo uno tra i più stupidi, e quindi innocuo: ma i colori originali delle squadre di calcio, chi li sceglie, e perché? Ai miei tempi, in casi di questo genere, si alzava la voce e si diceva: “Basta! Levategli il fiasco!!”. Poi, tutti gli spettacoli (sic!) che ci propina la TV ogni giorno, a tutte le ore, magari anche ripetuti. Qualità culturali, come già detto sempre più in basso mentre, agli inizi, la sua missione era divertire insegnando.
Oggi, tutti ricchi premi e cotillons, frizzi e lazzi, e chi vi partecipa si veste come se avesse passato incolonnato le ore precedenti sull’alienante e sconvolgente Firenze-Pisa-Livorno, una superstrada nota, ormai, non solo in Toscana, per gli eterni lavori in corso e, purtroppo, per i suoi frequenti morti. Tutto deve essere spettacolo e io non capisco perché. Tutti sopra un carrozzone sgangherato e roboante, che confonde, dopo poco tempo, coloro che vi sono saliti, se già non lo erano prima. Avanti, c’è posto! Ad alta voce il bigliettaio del bus invitava gli studenti ed i lavoratori a “scivolare” verso l’autista perché chi saliva trovasse un sedile libero. Non c’erano, allora, le mini gans che picchiano per derubare i coetanei dei pochi soldi in tasca. Mai un castigo strameritato, a loro ed ai rispettivi genitori.
Certo, anche nei miei lontani tempi, cercavano di spadroneggiare quelli che chiamavamo prepotenti. Ricordo bene, però, che quando il bigliettaio alzava la voce, tutto si quietava; ne ho una memoria particolare di uno di questi: da Collodi fino a Pescia faceva zittire anche le mosche!. Il mondo, comunque, va avanti anche se mi pare che in giro ci sia una certa rassegnazione. Oggi, è la tecnologia che comanda, e chi è nato con quella si destreggia comodamente nei frequenti aggiornamenti, con il rischio di diventarne schiavi. Poi, come diceva quel presidente di calcio d’oltreoceano, tutto deve essere fast, cioè veloce. Mi chiedo: perché? Perché, se a me piace indugiare, fermarmi, dare uno sguardo intorno, cercare il silenzio (e la solitudine) passeggiando sulla Pescia, perché dovrei correre? Certo, c’è a chi piace farlo; anch’io, nell’altro secolo, me ne sono levato la voglia; ma oggi preferisco la lentezza.
Si scende nel fiume, e già cambiano i paesaggi, i rumori, le persone. In lontananza, il chiasso delle macchine sul viale Garibaldi per quelli “fast” mentre per chi girella sulle sue sponde, sottovoce, il gorgheggiare del fiume dato che il Buon Dio, si diceva una volta, ci ha mandato un po’ di pioggia. Un altro mondo, con tanti quattro zampe fedeli, più degli esseri umani, che accompagnano con calma, o con gioia, donne e uomini che seguono, o inseguono, i propri pensieri. Qui, fuori dalla realtà di tutti i giorni, si vaga alla ricerca di un minuzzolo di pace e, con immenso piacere, mentre ci s’incontra, la luce brillante di un sorriso. Avete notato quanto sia piacevole scambiare un saluto sorridendo? Io cerco d’accompagnarlo più con gli occhi perché non sono tanto allenato a sorridere; dovrei, ma spesso non ce la faccio.
Sono manciate di minuti che tirano su il morale, che ti ricaricano, modestamente, per quando ritornerai su, e ritroverai quel fast, fast, fast che accetto con rassegnazione. Anche perché oggi ha preso il sopravvento, in tutti i campi dello scibile umano, il termine “tifoso”, del quale io ne ho una bassa considerazione per ben due buoni motivi. Il primo, perché il tifo è una brutta malattia, cronica, e quindi inguaribile: una bestiaccia. Il secondo perché colui che si definisce (o si comporta) “tifoso” è comunque un malato che insulta la sua intelligenza perché manifesta un’ammirazione che si spinge fino al fanatismo, e conosciamo bene le conseguenze di questo eccesso. Io cerco di rimanere ai bordi ma, in macchina, sarò inghiottito da quel caos, che sembra ormai vittorioso su tutto e su tutti.
E a noi, ora, ci rimangono solo le parole: “C’era una volta …”
Franco Corsetti