Io credo che il buon vecchio Dio fosse in gran forma il giorno in cui nacque la mia amica Scarlett Johansson.
Quel 22 novembre 1984 quel Dio doveva davvero essere sul pezzo di brutto perché se no uno non si spiegherebbe una creatura così oltre il concetto di bellezza come la Scarlett.
È da molto che le mie amiche ed amici mi dicono di scrivere di quando nel 2003 la conobbi a Londra. Ora è famosa, ma quando ci vedemmo per la prima volta era solo dannatamente carina.
Certo, era piccolina – non aveva nemmeno 19 anni – ed era pure bassina, però già portava una terza che faceva battere duro il cuore e sbalzare gli occhi fuori dalle orbite, ed aveva tutto intorno certe curve che pareva il passo della Consuma – ed io non è che fossi Marco Antonio e però lei pareva già tutta Cleopatra. Con rispetto parlando. Con calma vi dico anche come ci siamo conosciuti.
Mi presentarono per la prima volta la Scarlett una sera in casa di sua sorella Vanessa, che era mia studentessa al secondo corso di Grammatica italiana avanzata all’Università di Londra.
Io, nato e sfamato agli Alberghi, della via del cimitero, quando lessi la parola avanzata nel programma di studi, feci spallucce e un poco risi. A quel punto volevo lasciar perdere la cattedra, ma dopo tre giorni mi chiamarono dal Dipartimento e fu così che mi diedero quella di Grammatica italiana avanzata, più una segretaria, a mia disposizione per fare le fotocopie del corso che tenevo. Inutile che lo dica: la prima volta che vidi la Sonia – che così si chiamava ed era di Durham e pure ossigenata dappertutto, come avrei scoperto nella mia stanza di lì a poco – rimasi scioccato. Acqua ossigenata e tatuaggi ovunque.
La Sonia è una fiera e audace paladina della sua ultranovantenne regina. Mai una volta che abbia conosciuto una repubblicana in Inghilterra. Anzi, più sono belle, torbide, con uno o più intoppi nel cervello come me, o qualche problema trascinato da anni e mai completamente risolto e più sono fiere di portare in tasca o tra le puppe una foto, anche piccola, della loro amata sovrana, quasi servisse da amuleto. Ma stavo però dicendo della Sonia.
Ad un certo punto della mia presenza in terra inglese, le si gonfiò il ventre quasi come se fosse incinta. Il problema era che lo era davvero. E ad un tratto, dopo nove mesi, le uscirono dalla pancia gonfia che pareva un dirigibile, due gemelle, che adesso sono due superbe ragazzone assai più alte e pure più belle di me, ed anche loro attaccatissime alla regina Elisabetta II che voi non potete avere idea. Elisabeth e Victoria sono i loro nomi. La prima ha come secondo nome Anna, mentre la seconda, Mary. Se poi dopo il secondo nome aggiungete il cognome Mari non avete sbagliato. Ogni tanto mi scrivono lettere e mi allegano certe foto che ve le girerei volentieri, ma non posso. Hanno entrambe la loro bella pagina sull’Instagram.
Ma stavo dicendo della Scarlett e di Vanessa, sua sorella. Mi ripetevo continuamente in testa che tutte le donne sono uguali – e che tra la Rossy de Palma e la Dua Lipa, per esempio, non v’è differenza alcuna – e qualche sera dopo la Scarlett, la Vanessa ed io insieme con altre persone ed amici ci sedemmo fianco a fianco ad un lungo tavolo nel ristorante del mio amico pachistano Simon, che aveva certi occhi blu che sembravano due gocce di mare strappate dal golfo di Baratti.
Ho già raccontato questa storia alle mie amiche. Solo ora, a quasi vent’anni dai fatti, posso parlare di ciò che accadde in quella primavera del 2003, quando abitavo un poco a Londra, un poco a Lucca ed un poco a Stignano, colmando quei tre quartierini di libri, abbozzi di racconti, lunghi capelli di fidanzate isteriche che mi lanciavano addosso dozzinali portacenere in vetro, perché mi credevano stupido o matto. Non è che loro fossero migliori di me, intendiamoci.
Diciamo la verità: ho sempre cercato di far finta di essere matto o stupido. Se ci pensate un attimo è pure divertente. Si capiscono tante cose a passare per scemi o matti. Forse pure troppe.
Era la mia cifra caratteristica e le mie amiche ed amici lo sapevano. Perché mi piaceva vedere l’effetto che faceva. Si vede che ho studiato con un prete che ha fatto il Sessantotto. Anche ai preti piace vedere l’effetto che fa quando dicono che la messa è finita. Chissà i fedeli che cosa si aspettano che succeda dopo che il prete rientra in sacrestia. Chi va alla messa sa sempre come finisce. Anche se a dirla è il cardinale di Milano o il papa in persona.
Sanno praticamente tutto le mie migliori amiche, che poi sono sempre le solite da decenni – anche perché molte di loro c’erano quella magica sera quando la Scarlett, forse più emozionata di loro, si palesò in casa dell’Alessandra: la Paola Derenzini – sorella della mitologica Anna Maria –; la Silvia Degl’Innocenti – psicologa, che è la moglie di Alessandro Tredici –; la Stefania Berti, che insegna Lettere all’Agraria di Pescia; la Laurenzia Parenti, compagna di Stefano Ghilardi, e credo basti dire questo; la Lara Papini – che è la più bella di tutte perché sa anche disegnare –; l’Alessandra Cerchiai e la Michela Domini, entrambe veterinarie, ancora si ricordano di quella sera che suonai il campanello a fianco del portone dell’Alessandra – che sta nelle Capanne –, e la mia mano destra stringeva forte quella della Scarlett.
La quale, una volta entrata nel palazzo ed io ebbi chiuso l’uscio giù, poggiando l’esile mano sua destra al muro, con la sinistra, quasi in bilico, si tolse le décolleté Loboutin in vernice nera, che poi, una volta entrata su in casa dell’Alessandra, regalò alla Laurentia, perché fu la prima che si trovò davanti.
Tuttora la Lau conserva le Loboutin della Scarlett, che nemmeno il prete con l’ostia.
Avevo ovviamente avvertito l’Alessandra e le altre bimbe che sarei passato con la Scarlett per salutarle, ma poi la permanenza in zona tanto veloce non fu, come leggerete.
La Michela credo conservi ancora sul suo cellulare una foto dove si vede la Scarlett tutta sudata e strizzata in un LBD nero che beve del vino rosso dal bicchiere dell’Alessandra, con sullo sfondo il campanile di Santo Stefano. Io sono alla destra della Scarlett e lei mi guarda in tralice, un pochino emozionata, ma non è come pensate voi, se no avrei già messo gli annunci su tutti i muri e le piazzole della Valdinievole e voi sareste i primi a saperlo.
Quella serata fu memorabile.
Io e la Laurenzia ci demmo daffare ad apparecchiare in maniera decente sul terrazzo piccolo ma carino che da lì ti pare di abbracciare il campanile e di avere pure don Valerio a cena, mentre l’Ale prestava alla Scarlett il suo grembiale giallo-verde della contrada del Bruco quando lei le chiese dove tenesse il detersivo perché voleva lavare i piatti, credo della sera prima. La Scarlett è così. Non sta mai ferma un attimo e pure a Londra indossava sempre certi orribili guanti in lattice gialli e si metteva a lavare piatti o a spolverare con un pennacchio colorato in microfibra che avevo comprato per 80 centesimi. Non so perché ma ogni tanto mi diceva che era un peccato che non avessi la cittadinanza americana.
Le risposi che prima ero degli Alberghi, poi pesciatino ed infine italiano. La Scarlett spalancò i suoi occhioni e vedevo che non aveva capito un accidente di nulla. La Scarlett purtroppo è così. È bella da morire ma a volte non capisce quando io parlo e non sa distinguere quando scherzo o quando sono serio. Rimane comunque di una bellezza che ti toglie il respiro e ti lascia attonito.
Tornando a quella sera, ricordo bene come Stefano, Alessandro e Samuele, il marito della Stefania, mi guardassero con un pizzico di invidia, ma io, sinceramente, oramai ero abituato a trovarmi la Scarlett sempre tra i piedi. Lei mi diceva che bisogna fare pace con tutti, anche con la bellezza, e se lei era stata un pochino più fortunata delle altre ragazze e tutto il resto, non doveva fare altro che ringraziare il buon Dio che le aveva dato il dono della bellezza. In effetti aveva ragione. Lei è ancora una ragazza piuttosto bella. Tutti i presenti di quella sera sapevano come avevo conosciuto la Scarlett a Londra appena qualche settimana prima, perché li avevo tenuti aggiornati inviando loro lunghissime e-mail dal Dipartimento.
Cosa ricordo ancora di quella sera? La Michela che porta dei toast al formaggio e speck preparati con la Silvia; Stefano, Alessandro e Samuele che parlano con la Scarlett dell’ultimo film che sarebbe uscito di lì a poco (Lost in Translation); Griscia, il compagno della Michela, non c’era quella sera; mi pare fosse alla cena aziendale. Il lavoro è lavoro, ma non sa cosa si è perso quella sera. Ha poi conosciuto anche lui la Scarlett il giorno dopo.
Sapevo bene come tutte le mie amiche presenti quella sera facessero finta di non essere sorprese di chiacchierare, ridere e bere con la Scarlett, e del resto lei faceva di tutto per farti sentire a tuo agio, tutta strinta in quell’abitino dannatamente corto che lasciava ben poco all’immaginazione.
Tra l’altro, mangiava il doppio di tutte loro e trincava certi tumbler di vino rosso peggio di Stefano, Ale ed io (beh, quest’ultima è l’unica cavolata che ho scritto fino ad ora).