Le pagine de il Cittadino ricordano a trent’anni dalla morte (25 aprile 1992/2022) il religioso padre Ernesto Balducci (1922-1992) dell’Ordine degli Scolopi, considerato tra i più autorevoli intellettuali del Novecento. E lo ricorda per mezzo di un grande protagonista della musica leggera italiana, Beppe Dati, autore di canzoni immortali interpretate da Marco Masini, Raf, Mia Martini, Paolo Vallesi, Laura Pausini, Francesco Guccini ecc.
Beppe Dati ha composto perfino alcune opere, delle quali ne ricordiamo due mirabili: “Il mio Gesù” e “Via Crucis”. Ben diciassette sue canzoni, dal 1989 ad oggi, sono state eseguite al Festival di San Remo.
D. Quale furono le motivazioni che la indussero a scrivere insieme all’indimenticato Giancarlo Bigazzi la canzone “Dio non c’è” interpretata da Marco Masini in relazione alla figura di padre Ernesto Balducci?
R. «Premetto: una domenica, anni 1985/86, capitai alla Badia Fiesolana di Firenze, dove officiava padre Ernesto Balducci e rimasi folgorato da quanto fosse gremita. Ogni domenica durante l’omelia, padre Balducci proponeva ai presenti una riflessione la quale, partendo dal Vangelo del giorno, si estendeva ad elementi di attualità e di quotidianità con l’aiuto di un pò di tenera rabbia e di seria e giusta considerazione della realtà; la cosa meravigliosa era questa.
Prima della canzone Dio non c’è, ne avevo scritta un’altra dedicata a questo popolo che frequentava la Badia Fiesolana ed è la canzone Le persone inutili, interpretata da Paolo Vallesi che vinse nella Categoria Giovani il Festival di San Remo del 1991.
Sono sempre rimasto affascinato da padre Ernesto Balducci, che poi ho conosciuto e frequentato. Ricordo soprattutto una bellissima cena a casa dell’amico comune Riccardo Del Turco dove fu invitato anche il poeta e grande intellettuale Mario Luzi. Ancora oggi ascolto e leggo spesso le omelie di padre Ernesto il cui messaggio in se stesso è sempre attuale e sempre valido. Sono omelie di un uomo illuminato, di un uomo che era molto avanti con il suo tempo come lo erano La Pira e don Lorenzo Milani… uomini che hanno vissuto la propria fede come un progetto di speranza, come una carezza per il cuore degli “ultimi”».
D. Qual è il senso dell’attualità di Ernesto Balducci a trent’anni dalla morte?
R. «Padre Ernesto era così avanti con i tempi che non lo abbiamo ancora raggiunto. Come non abbiamo ancora raggiunto don Milani, Ghandi, Francesco d’Assisi eccetera. Questi uomini saranno sempre attuali! Anzi, bisognerebbe continuare a studiarli, a parlarne, a raccontarli, ad ascoltarli».
D. Secondo lei, le grandi idee di un grande uomo come padre Ernesto Balducci possono morire?
R. «No, perché contengono semi di verità raccolti durante la sua esperienza di fede e di vita. Egli non si atteggiava a filosofo ma ad esempio, non accettava il “Nulla” nichilista e con le “ragioni” del cuore e della fede chiamava “Qualcosa” quel “Nulla” dei filosofi, cioè un luogo dove l’uomo deve realizzare la giustizia perché, ripeteva spesso: “È qua, nell’immanenza, che l’uomo ha bisogno di giustizia.”
Padre Balducci era comunque un intellettuale ma quando parlava dall’altare le sue parole erano semplici, erano le stesse che usava la sua gente, quelle di sua mamma e di suo babbo minatore.
Diventando prete e frequentando il seminario, padre Ernesto sfuggì alla morte a differenza di molti suoi compagni dell’ Amiata che vennero falciati dalla guerra o uccisi dai fascisti, ma tutto ciò egli non l’ ha mai dimenticato, come non ha mai dimenticato quel mondo misero. Avendo vissuto la povertà in prima persona le sue idee si sono formate ed hanno tratto alimento da quell’ esperienza di vita semplice che in lui è sempre rimasta.
Ho raccolto con Andrea Cecconi in una apposita pubblicazione, edita dalla stessa Fondazione P. Ernesto Balducci di Fiesole, alcuni degli scritti più belli di padre Ernesto. Praticamente sono 365 frammenti, uno per ogni giorno a cui ho dato titolo “Pensieri per un anno”. Ritenni opportuno questo libro, adatto soprattutto per le scuole, proprio per far conoscere Ernesto Balducci ai ragazzi. A proposito di ciò il giorno 21 febbraio per esempio, recita: “O la scuola insegna ad essere liberi, anche liberi di ribellarsi, o essa è strumento del potere”».
D. A suo avviso, in una società come l’attuale dominata dai disvalori personali, del successo, del potere e del denaro rimangono spazi per i grandi ideali?
R. «Abbiamo almeno il dovere di provarci, preferendo all’egoismo e alla competizione l’incontro con l’altro, trasformando la paura e l’ estraneità ostile in una tenera e solida fratellanza. È troppo facile dar la colpa agli altri; fregandosene di Marx o Kant la filosofia del bar e il chiacchiericcio mediatico non fanno che ripetere la solita inutile solfa accusando politici e governati, capitalisti, economisti e quant’altri.
Ecco, forse dovremmo partire da qui, dalla scelta solitaria che ognuno di noi può fare nel suo cuore perché è nel cuore che avvengono le più dure battaglie, sta a noi scegliere i sogni, gli ideali, i desideri e le speranze per cui valga la pena vivere. Viviamo in un epoca di disincantamento ma è insieme agli altri che possiamo navigare controvento».
D. A distanza di qualche anno da quando lei scrisse con Giancarlo Bigazzi la canzone “Dio non c’è”, è ancora fermo su quelle posizioni? E quali emozioni prova?
R. «La morte improvvisa di Padre Ernesto colse tutti impreparati lasciandoci sbigottiti, smarriti. Appena capitò l’occasione dedicai a lui questo brano del quale fu scritto: “La canzone, anche se può apparire blasfema, è solo una reazione rabbiosa di un giovane che, da non credente, aveva cercato di avvicinarsi alla fede e proprio quando stava iniziando un nuovo luminoso percorso si sente tradito dalla vita e da un destino ingiusto che non fa sconti a nessuno e che gli ha rapito (la scomparsa di Balducci) quella possibilità di trovare la fede. E’ un brano che permette di riflettere sulla religione e che offre, quindi, a chi la ascolta il più bel dono che può fare una canzone ovvero quello di nutrire il pensiero. Data l’essenza del testo, alcuni versi sono stati letti da Giuseppe Dati al funerale di Giancarlo Bigazzi nel gennaio del 2012».”
D. Per quale motivo ai funerali di Giancarlo Bigazzi lesse alcuni versi di questa canzone?
R. «Mi sembrava un modo per ricordarlo più teneramente. L’ho fatto volentieri, perchè era una cosa alla quale avevamo lavorato tutti e due, e mi piacque leggerla in quel momento e in quella chiesa. Tra l’altro, fui io a suggerire alla Gianna (la moglie di Giancarlo) di fare il funerale di Giancarlo alla Badia Fiesolana…».
DIO NON C’ È
Cosa ci faccio in questa chiesa
io che non credo al tuo Gesù
con questo vuoto che mi pesa
adesso che non ci sei più
come facevi a fare il prete
fra comunisti e farisei
com’è lontano il monte Amiata
Ernesto non lo rivedrai.
Dio non c’è
non ci credo lo sai
Dio non c’è
non ci credo e tu non mi convincerai
Era un discorso lasciato a metà
quando io mi ero perso e non ero più io
la tua Chiesa in salita e la comunità
era almeno qualcosa una piccola luce nel buio
E ora Dio non c’è
e ho bisogno di lui
Dio non c’è
e bestemmio come una preghiera ormai.
Il mondo passa da Firenze
solo per prendere un caffè
e nell’imbecille indifferenza
muore la gente forte come te
Perché Dio non c’è
siamo soli quaggiù
ti dico che Dio non c’è
ma la tua voce ormai non mi risponde più!
L’ho cercato con tutta la mia volontà
ma la fede è soltanto un regalo di Dio
la domenica io lo sapevo eri là
eri almeno qualcosa una piccola luce nel buio.
Dio non c’è no Dio non c’è.
Ma cosa ci faccio in questa chiesa
piena di gente come te
che ancora vuole credere in qualcosa
mentre un silenzio disperato dentro me
grida Dio non c’è.