Mi occupo di orientamento per conto della mia scuola, l’Istituto tecnico agrario “Anzilotti” di Pescia, ormai da tre anni, e so bene quanto sia difficile, per un ragazzino o una ragazzina di 14 anni, scegliere la scuola superiore da frequentare. In fondo è come mettere un’ipoteca sul proprio futuro: se ci si iscrive in un liceo in qualche modo si è già indirizzati verso l’Università, se invece ci si iscrive in un professionale l’idea molto probabilmente è quella di cercarsi un lavoro dopo l’Esame di Stato. E se strada facendo si cambiasse idea?
Se uno studente scoprisse, che ne so, una passione per la letteratura, un’attitudine per la chimica, una curiosità irrefrenabile per la cucina o i motori dopo aver passato cinque anni a studiare i presocratici, la leggi della fisica e i classici latini? Una persona che per colpa degli studi fatti non avrà mai la possibilità di dedicarsi a ciò che le interessa davvero sarà una persona infelice, o probabilmente dovrà accontentarsi di dar sfogo alle sue passioni in forma di hobby. Che è quasi peggio.
Ecco perché, consapevole di portare acqua al mio mulino, ovvero alla scuola in cui insegno da ben undici anni, sostengo con forza che se non si hanno le idee chiare è meglio scegliere un istituto tecnico di buona qualità, che consentirà dopo il diploma sia di frequentare qualsiasi corso universitario senza eccessive difficoltà che di fare il mestiere per il quale ci si è preparati, oppure impararne un altro direttamente sul campo.
In media stat virtus, dicevano saggiamente i latini; la mezura è il faro che deve guidare i nostri comportamenti, ribadivano i poeti provenzali, e l’istruzione tecnica è, nel sistema scolastico italiano, la via di mezzo tra licei e istituti professionali.
Chiaramente non tutte le scuole tecniche preparano allo stesso modo o alle stesse professioni: come si può verificare sul sito del MIUR gli indirizzi degli istituti tecnici sono undici, due nel settore economico, nove in quello tecnologico: grazie alla didattica laboratoriale e all’alternanza scuola-lavoro, che oggi si chiama PCTO (Percorsi per le competenze trasversali e di orientamento: al Ministero hanno intuito che gli stage rappresentano uno strumento utile per capire se si vorrà fare quel lavoro da grandi) gli studenti acquisiscono i risultati previsti dal profilo d’uscita dei singoli indirizzi.
Ma poi possono anche cambiare idea, se non sono più convinti fino in fondo di aver compiuto, cinque anni prima, la scelta giusta. Capita: raramente, ma capita. Ho ex alunni che si sono iscritti a Lettere, ma ne ho anche moltissimi che hanno continuato, all’Università, con la tipologia di materie studiate alla scuola superiore, o hanno cercato e trovato lavoro in quel settore.
Nel primo caso la motivazione può essere sia un mancato orientamento quando ci si è iscritti, che quindi ha portato a scelte sbagliate, sia il buon rapporto instaurato col singolo docente di una disciplina a cui ci si è appassionati strada facendo (che responsabilità enorme, abbiamo dunque noi docenti, nel bene e nel male, nei confronti dei ragazzi con cui facciamo un pezzo di strada!).
Nel secondo caso significa invece che l’orientamento ha funzionato, che si sceglie di far tesoro degli studi compiuti e delle competenze accumulate, che la nostra strada è proprio quella che si è scelta a 14 anni. Succede a tanti ma non a tutti.
Ecco perché chi fa orientamento deve essere sempre onesto: le scuole, almeno da noi insegnanti (visto che c’è già la politica a farlo), non devono essere considerate come treni su cui far salire il maggior numero di studenti dotati di biglietto, bensì come isole su cui c’è un delicato equilibrio tra popolazione e risorse. Non bisogna mai dimenticarsi che i ragazzi non sono clienti, e che siamo noi adulti, spesso, con una parola giusta o sbagliata, a decidere del loro futuro.
Basterebbe questa consapevolezza a indurci all’onestà nel dire: “questa scuola fa per te” oppure “secondo me sei più portato per un altro tipo di percorso”. E questo può accadere soltanto se facciamo una cosa che invece molti che svolgono il mio mestiere e si occupano di orientamento si dimenticano di mettere in pratica: ascoltarli sempre, qualunque cosa abbiano da dirci sui loro interessi e le loro passioni, anche quando vorremmo per loro un’altra scelta.