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L’Arcobaleno | Franco Corsetti

 

L’ho notato, in modo abbastanza vistoso; la luce del giorno è declinata. Un po’ l’abitudine, un po’ l’età, la mia sve­glia si aggira verso le 5 del mattino, e mezz’ora dopo mi alzo. I riti, ormai, sono sempre gli stessi; le abluzioni; il vestir si; il té verde con un cucchiaio di miele; sistemare la gatta e salire verso il castello.

Spesso, dormo male per quei piccoli, fastidiosi “acciac­chi” che accompagnano la non più verde età; niente di grave, ma le belle, saporite dormite di anni fa sono un caro ricordo e niente più. D’altronde, non consumo più le energie necessa­rie per il lavoro, e il mio più piacevole impegno è quello di camminare.

 

Nella bella stagione, c’è il conforto del caldo, che mi permette -finalmente! – di non infagottarmi come un valligiano delle Alpi; il caldo, e la luce: l’accendo solo per abitudine, ma non ce ne sarebbe bisogno, e questo fatto mi conforta. E’ una spintarella al mio timido ottimismo, e la possibi­lità di poter riconoscere, e salutare, i pochissimi mattinieri che incontro, sempre gli stessi. Riposti in un vecchio armadio i grandi progetti, confusi con i desideri ed i sogni, accatastati un po’ alla rinfusa, rimangono i ricordi, e me-no male! Perché il problema più grosso è quello di recuperarli, accarezzarli, cercare di riviverli, e lo si può fare solo col bel tempo, e la temperatura che mi per metta di tenere le maniche della camicia rimboccate.

 

Ecco, la luce. Mentre quella si allunga, è quasi una sor­presa: esci di casa, ed è l’alba, col suo baluginare, all’inizio un po’ scialbo; poi, infochi minuti, acquisisce personalità, e la giornata parte con qualche pennellate di rosa. Tutto l’opposto, ovviamente, quando l’orizzonte è arcigno, con nuvoloni neri e minacciosi, e magari anche il vento? Che vuoi sperare? E se si raggiunge il culmine con la pioggia … va bene che sono un pessimista, ma questo clima blocca tutto quello che vorrei ripassare, e le memorie, già lontane, non riesco nemmeno a raggiungerle. Ecco, ho notato in questi ultimissimi giorni un appannarsi del lucore, che prima mi confortava, e mi spingeva avanti qua­si allegramente, con l’usuale concerto degli uccellini, che raggiungeva anche toni piuttosto alti, e al mio passare vicino a volte interrompeva.

 

Ero rimboccato, come si diceva una volta quando l’alta temperatura, o un lavoro manuale, faceva togliere o arrotolare le maniche della camicia nel mio caso, tanto per non contraddir­mi, indosso sempre una fruit: preferisco sudare che soffrire il freddo. Sono questi i momenti magici della mia immaginazione; circondato dagli olivi, dal verde, dal silenzio, con lo sguardo rivolto in alto, la mente se ne va e, seguendo le ricordanze, mi rivolgo ai punti cardinali, verso luoghi a me carissimi e carichi di una nostalgia che mi riconcilia col mondo, e mette benzina (gratis) nel motore del mio corpo e della mente. Poi, in una mattinata eccezionale, dopo un acquazzone estivo, che promette di annacquare l’orto e le piante -e non mantiene l’impegno, all’orizzonte, un arcobaleno; che meravi­glia!

 

Secondo le saghe nordiche, sicuramente quelle tedesche, dove l’arco toccava terra, là c’era una pentola piena di mone­te d’oro. Favole di secoli fa che, riportate ad oggi, affasci­navano i bambini, e qualche scrittore. In realtà, non ne sento più parlare perché ormai i nonni non le raccontano più; i ragazzi sono molto più svegli, purtroppo per loro, e magari fare una scoperta così ricca sarebbe difficilmente giustificabile per il nostro amatissimo fisco, che, senza il POS -si dice così’?- non puoi acquistare nemmeno un francobollo, altrimenti so no guai! Figurati un pentolone di monete d’oro!». Dove è finita la poesia? E’ rimasta nascosta in un angoli no del camino, ormai superflua e quindi eliminata. Invece, per chi ancora ha nel cuore un arcobaleno, e riesce a vederlo di persona, la mente s’infiamma e si rimane stupiti da questa vi­sione eccezionale, da quei colori, oggi simbolo di chi vince i campionati del mondo.

 

Ieri, un bel film la cui colonna sonora aveva come titolo; “Somewhere, over the rainbow”, “In qualche luogo, oltre l’arco baleno”, c’era un paese meraviglioso che riconciliava alla vi­ta, togliendole gli affanni. Uno spettacolo, comunque, ma che ora, in questi ultimi tempi, e lungo il mio percorso, offeso dalla scomparsa dei ci­gli, i “greppi”, frutto del sudato- lavoro dei nostri avi, e dell’aggressione dei cinghiali e degli istrici, che si spingono sempre più in basso alla ricerca di cibo. Addio poesia, e tut­to è diventato marrone, tutto è arato, e trovi sassi sulla strada tutte le mattine. Un problema, grosso. Il tenue, tenero arcobaleno; che gioia, decenni fa, alla sua prima comparsa, con la testa all’indietro e la bocca spa­lancata! Una meraviglia della natura, quella che oggi è di at­tualità, e quindi tutti ne parlano. Mille idee, mille soluzio­ni, mille impegni; chissà come finirà …

 

Piano piano, però, s’insinua quel piccolo tarlo che fa capolino in questo progresso inarrestabile che coinvolge tutto il mondo. Luci, velocità e macchine segnano il nostro futuro e si perdono inesorabilmente- il dolcissimo candore e la tenerezza fanciullesca. Allora, cominciavano le scelte da fare; ieri, quasi superflue perché quelle erano poche; oggi, ne devi affrontare molte di più, e cercare di risolverle rapidamente. Un dilemma, una serie di alternative, e la speranza(mai la certezza!) di trovare la soluzione giusta. Solo dopo, però, subentra una piccola incertezza, sì, ho fatto la scelta, ma cosa ho perduto? Cosa ho lasciato?

 

E il risultato finale, dopo i primi momenti di dolcezza, quel modesto rammarico si fa strada; poca, veramente, ma ti senti stranamente confuso, e solo col passare del tempo ritro­verai qualche sicurezza consolatrice, che assomiglia vagamente ad una pacata rassegnazione. E’ questo il nostro mondo, con le mille e più sfaccetta­ture dei suoi abitanti; dei progressi’enormi rispetto ad ieri; dei progetti futuri che si fanno sempre più globali e coinvol­genti; del “non c’è più tempo da perdere”; e correre, sciamare dai formicai in cui saremo relegati, verso un traguardo lonta­no e incomprensibile. Certo, ieri l’altro era più facile, più elementare, direi più umano. Oggi, la selezione è più crudele di ieri perché la tecnologia fa da spartiacque tra passato e futuro, tra la pen­na e la “macchina”, che già la Prima Rivoluzione Industriale (il carbone) metteva in risalto. La campagna si allontanava, la città si popolava.

 

Il retaggio dei nostri antenati è ormai incomprensibile per i “nuovi” arrivati, liquidato con un termine che non si discute; è “obsoleto”, cioè scaduto, passato di moda, come co­loro, i “superstiti”, che ancora lo ricordano seppur con tante lacune. Il tempo passa; a volte vola, in altre, si ostina quasi si ferma, e ci confonde. Confonde i ricordi, i volti, il futuro non sapendo più che ruolo recitare. Poche mattine fa, Luca Bernardini, compagno d’avviamento (sempre d.C., per i “nuovi”)? rivolgendomi un bel sorriso, mi ha detto: “Una volta eri più veloce, ti ricordi?”.

 

Mi ricordo. Cioè, tutti e due ce lo ricordiamo, immortala­ti nella piccola fotografia di fine partita giocata al Comuna­le nel giugno del 1959? della clamorosa vittoria per 2 a 1 contro le medie. Una foto così piccola e così sgranata che diver­si giocatori sono irriconoscibili. Non lui, Luca: nella fila in alto, è il primo a sinistra, ed è l’unico in borghese! Tutti, allora, eravamo più veloci se non più felici per­ché la vita che si aspettava era già segnata senza tanti fronzoli: Avviamento, e dopo un Professionale (c’era l’I.N.A.P.L.I.) magari l’Alberghiera. Però, era anche l’addio alla fanciullez­za, agli amici, ai giochi che riempivano i pomeriggi e le sere, e lo studio ne soffriva, tanto.

 

Crescendo, tutto diventava, ovviamente, più difficile, se non duro, ma il ragazzino che era rimasto dentro di noi non ci abbandonava. Il bagno alla Marcona, o alla Serra a Collodi; i primi batticuori per un bel visino con le codine; le paghette guadagnate erano piccole, ma davano grosse felicità, come un motorino. Poi, siamo andati avanti, non tutti, però. In gran parte ci siamo persi per che le strade si dividevano, e un po’ di nostalgia, forse troppa, ci prendeva dentro, e ci commuoveva. Perché si dice che invecchiando si ritorna bambini e perciò ci si intenerisce di più: hai voglia di trattenerti, ma quella è troppo spontaneo, e addolcisce quel passato. Però, i lucciconi di allora, per una bizza o una “bua”, avevano un sapore dolce come l’età; quelli di oggi, portano con sé le memorie più care del tuo passato.

 

E’ forse per questo che la scorsa settimana, durante la mia passeggiata, è apparso un arcobaleno: che grossa sorpresa! Non ho aperto la bocca, ma gli occhi si sono velati …..

Franco Corsetti